La scrittrice che visse due volte

Bette Howland, Author and Protégée of Bellow's, Dies at 80 - The New York Times

Sembra un racconto di buoni sentimenti, di quelli che riportano alla mente La casa nella prateria o il libro Cuore, credibili finché dura l’innocenza. E invece no, è pura cronaca. Nel 2013 Brigid Hughes, ex direttrice del The Paris Review, curiosando in una libreria dell’usato, si ritrova tra le mani un libro. Lo legge tutto d’un fiato, ha un fiuto infallibile per le parole incastrate armoniosamente, e così si mette alla ricerca di tutto ciò che la talentuosa sconosciuta Bette Howland aveva pubblicato fino ad allora. Per renderle merito, fonda una casa editrice e fa stampare il materiale rinvenuto. Ora in libreria, Storie di vite diverse – col titolo che sembra un’allusione a quella che è stata la parabola umana di Holland – è una raccolta di undici racconti a metà strada tra saggistica e narrazione, e riscatta definitivamente la scrittrice americana dall’oblio.

La casualità è quella cosa che può premiarti anche fuori tempo massimo. Magra consolazione? Non è detto. Hai visto mai che dall’al di là il successo non sia ancora più bello?

foto: Bette Howland

Abito in un piccolo monolocale in cima a un palazzo alto, fatto quasi tutto di finestre. Un’amica lo chiama il posatoio per uccelli perché non chiudo mai le persiane. Ultimamente tutti quelli che vengono a trovarmi dicono di desiderare un appartamento proprio come il mio. «È perfetto» dicono. Cosa che mi fa pensare che vorrebbero tutti arrampicarsi sull’asta portabandiera, levarsi di torno. E c’è qualcosa di alieno nella mia situazione. Per esempio, riesco a vedere gli elicotteri che supervisionano gli ingorghi, pencolando sulla città. Nelle giornate come questa sembrano scoppiettare in un denso bagliore grigio come motori fuoribordo. Il rumore occupa tutto il cielo. Forse perché i dettagli non erano stati più specifici, perché ai miei occhi la vittima era senza nome e senza volto, perché non riuscivo a individuare il punto esatto dell’incidente, ma all’improvviso sono scomparsi i confini. Era successo lì fuori: non ero tenuta a sapere dove.

Bette Howland, Chicago blues

Il sesso che verrà

A quasi cinque anni di distanza dal ciclone #MeToo, Katherine Angel prova a fare il punto su quale sia stata realmente la portata del movimento che ha fatto luce sulle molestie sessuali subite dalle donne sul posto di lavoro. Ne Il sesso che verrà auspica che le donne diventino sempre più consapevoli della propria sessualità, superando la questione del consenso prima e durante l’atto sessuale, a favore di un “consenso entusiasta”, che non ha paura di dire a chiare lettere “questo mi eccita” o “questo non mi va”. Forse i nuovi uomini, guidate dall’inedita consapevolezza femminile, capiranno una volta per tutte che eiaculazione e penetrazione in coppia fanno solo rima.

“Nel 2010 una ragazza inglese vince un concorso per girare una scena con James Deen, star della pornografia. Attrazione, ritrosia, audacia, pudore. Sottoposta agli sguardi altrui, oscilla tra quelli che spingono agli eccessi e quelli censori, che la fanno indietreggiare. Quali sentimenti passano nel mezzo? Quali modelli culturali?”.

 Katherine Angel, Il sesso che verrà

Foto di Lilia Carlone

Noi e il nostro doppio

Colui che è solo è anche nel mistero”. Intorno a Gottfried Benn - Pangea

Gottfried Benn scrisse:

Abbiamo vissuto qualcosa di diverso da quel che eravamo, scritto qualcosa di diverso da quel che pensavamo, pensato qualcosa di diverso da quel che ci aspettavamo, e quel che è rimasto è qualcosa di diverso da quel che avevamo in mente“.

In coscienza, gli daremmo torto se sapessimo guardare al passato con oggettività? Non sono parole amare quelle di Benn, ma celano – ammesso fosse questo il suo intento – l’esortazione a coltivare “la doppiezza della propria personalità”. Del resto è con quella parte spesso in ombra che conviveremo fino alla fine dei nostri giorni, e forse dovremmo tenerla in maggior considerazione, giacché è molto probabile che sia a parte di certe verità. Quelle indigeste all’ego visibile di cui andiamo tanto fieri.

Kindness

sara robin 2

Quando avevo cinque anni, una domenica nel nostro quartiere arrivò un venditore ambulante con una cesta di bambù piena di pulcini. Io seguivo mio padre, stavamo andando a fare la spesa settimanale dei generi alimentari razionati, e quando il venditore ambulante mi mise nel palmo della mano un pulcino, il cui piccolo corpo soffice e caldo tremava incessantemente, piansi prima di riuscire a chiedere a mio padre di comprarmelo. Non eravamo una famiglia ricca: mio padre lavorava come custode, e mia madre, malata da che avevo memoria, non lavorava, così avevo imparato presto a contare bene, con mio padre, le monete e le banconote di piccolo taglio prima di andare a fare la spesa. Deve essere stata una cosa dolorosa per quelli che conoscevano la nostra storia vedere l’angoscia di mio padre, infatti due donne si offrirono di comprarmi ognuna un pulcino.

Mio padre, mentre tornavamo a casa, mi avvisò con dolcezza che i pulcini erano troppo piccoli per sopravvivere più di un giorno o due. Con una scatola da scarpe e dei giornali strappati costruii una casetta per i pulcini, a cui diedi da mangiare chicchi di miglio ammollati nell’acqua; poi, il giorno dopo, siccome avevano l’aria di stare male, somministrai loro dell’aspirina sciolta nell’acqua. Morirono due giorni dopo; quello che avevo chiamato Punto, e marchiato con dell’inchiostro sulla fronte, se ne andò per primo, seguito da Fungo.

Rubai due uova in cucina mentre mio padre era da un vicino per aiutarlo con un lavandino che perdeva – mia madre in quel periodo non si vedeva spesso in giro – e le ruppi cautamente eliminando tuorlo e albume; ma nonostante tutti  i miei tentativi non ci fu verso di rimettere i pulcini nei gusci, e ancora oggi ho davanti agli occhi il mezzo guscio sulla testa di Punto, che come un buffo cappellino gli copriva la macchia d’inchiostro.

Da allora ho imparato che la vita è così, ogni giorno finisce come un pulcino che non si lascia rinfilare nell’uovo“.

Yiyun Li, Kindness

Patire un dolore nell’età dell’innocenza, ovvero in quella fase della vita in cui la mente è impossibilitata a comprendere il perché di uno strazio, è funzionale a sottrarci alla stupefazione dei futuri dolori. Al momento opportuno, grazie al riemergere del già stato, si imparerà che l’allora è ora, e la narrazione del quotidiano sarà un déjà vu.

Come Eva da una costola di Adamo

Certe volte, come Eva da una costola d’Adamo, una donna nasceva nel mio sonno da una falsa positura della mia coscia. Formata dal piacere che ero sul punto di gustare, m’immaginavo che fosse lei ad offrirmelo. Il mio corpo, sentendo nel suo il mio proprio calore, voleva ricongiungersi ad esso; mi svegliavo. Gli altri esseri umani mi apparivano molto lontani se li confrontavo con questa donna lasciata da pochi attimi appena; la mia guancia era ancora calda del suo bacio, il mio corpo indolenzito dal peso del suo corpo. Se, come a volte succedeva, il suo volto era quello di una donna che avevo conosciuta nella vita, ero certo che mi sarei consacrato a un unico scopo: ritrovarla, come chi intraprende un viaggio per vedere con i suoi occhi una città di cui ha desiderio, e s’immagina di poter godere in una cosa reale il fascino di una cosa sognata. A poco a poco il suo ricordo svaniva, avevo dimenticato la fanciulla del mio sogno“.

Marcel Proust, Dalla parte di Swann

Il tempo, così come lo concepiamo nello stato di veglia, si dilata nel sogno, dove non sono possibili correzioni o aggiunte. Se sia preferibile lo stato di coscienza a quello del sogno è difficile a dirsi; di certo c’è che le trame dei sogni che si moltiplicano all’infinito sono un dono del cielo. Un’ombra più profonda che non deve spaventare.

P.S. Nemo, questo post è solo per te.