40 anni da selvaggi perbene

Duran Duran | Denis O'Regan Photographer

Il 5 novembre i Duran Duran entreranno nella Rock&Roll Hall of Fame: con alle spalle quarant’anni di carriera sono la band più longeva della storia del pop. Simon Le bon, John Taylor, Nick Rhodes, Roger Taylor, e il fuoriuscito Andy Taylor, hanno segnato un’epoca proponendo un mix di rock, new wave e funk, per poi evolversi fino ad arrivare al rock giapponese. Ovviamente, si è evoluto anche il look che ora predilige una certa sobrietà “in nero” con qualche concessione glam. Del resto i magnifici quattro hanno sessant’anni, ma è difficile non convenire che per tutti resteranno i wild boys degli anni Ottanta.

Le foto sono di Denis O’Regan che seguì la band nelle 86 tappe del Sing Blue Silver World Tour durato 6 mesi.

DURAN DURAN, Simon Le Bon Abbey Road, 1986 | Denis O'Regan Photographer

Simon Le Bon

Duran Duran | Denis O'Regan Photographer

John Taylor

Silicone Soul — Photos of John Taylor on Duran Duran's Sing Blue...

Nick Rhodes

Duran Duran 1984 world tour - in pictures | Music | The Guardian

Roger Taylor

Duran Duran | Denis O'Regan Photographer

Andy Taylor

Preferisci i Beatles o i Rolling Stones?

Beatles e ai Rolling Stones tra le “Rock Stories” a Maranello Eventi a Modena

Ma che domanda è “Beatles o Rolling Stones?”, si chiede Gino Castaldo nel libro Beatles e Rolling Stones. Apollinei e dionisiaci. La risposta la trova in un’altra domanda: perché schierarsi? Già, perché farlo quando si potrebbero amare gli uni e gli altri, o perlomeno suonarli in base all’umore o alle circostanze? Per una questione squisitamente anagrafica fui risparmiata da quella che in campo musicale può essere considerata a pieno titolo la domanda delle domande, tuttavia mi toccò scegliere tra Duran Duran e Spandau Ballet, ma quando Save a Prayer divenne la ballad del mio primo amore, tutto gelosia, sesso e lampi di felicità – frammenti di quello che sarebbe diventato un discorso amoroso con un altro ragazzo – capii da che parte stare. Va da sé che ora spiattellare d’essere stata una duraniana mi crea qualche imbarazzo, giacché affinare il gusto ha per contropartita quello di ricordarti quanto sei stata rozza, ma tant’è. A ciascuno la sua boy band.

Non mi arrendevo. Quando saltava fuori la questione mi innervosivo anche un po’. Ma che domanda era? Per quale ragione al mondo io, ragazzo baciato dalla fortuna di crescere insieme ai Beatles e ai Rolling Stones, in tempo reale, in perfetta sincronia generazionale, avrei dovuto scegliere per forza l’uno o l’altro? Perché mi si chiedeva di rinunciare a una parte di quell’Eldorado, di limitare quell’offerta così generosa e irripetibile che i tempi mi concedevano? Detto altrimenti: perché schierarsi? Insensata, illogica, eppure quella sciocca domandina non c’era verso di abbatterla, rispuntava fuori, fastidiosa almeno quanto quella della zia che ti chiedeva inesorabile se volevi più bene a mamma o a papà. A tutti e due nello stesso identico modo, ti toccava rispondere. Appunto. La zia si accontentava, in fondo era la risposta che voleva sentire, gli appassionati di musica no. Loro pretendevano una scelta. Fastidio, noia, disturbo. Mi si chiedeva di rinunciare a una metà del cielo rock, di pronunciarmi, di dire necessariamente a quale delle due mi sentivo di appartenere con più passione e convinzione, come se fossero due squadre di calcio che chiedevano tifo esclusivo e non condivisibile. Dunque: preferisci i Beatles o i Rolling Stones? Da che parte stai?“.

Gino Castaldo, Beatles e Rolling Stones. Apollinei e dionisiaci