Philip Roth e Marcel Proust

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“A proposito di modelli giganteschi, non so se sia mai stato notato ma la prima parte di Pastorale Americana è un’esplicita parodia della Recherche proustiana, a cominciare dal titolo: Paradiso ricordato. La differenza più vistosa è che Roth inizia il suo libro dove Proust lo termina: da una rimpatriata con i vecchi amici di una vita, un Big Chill fuori tempo massimo.

Condizioni e stati d’animo dei due scrittori si somigliano parecchio. Sia Marcel che Nathan vivono lontani da tutto. Finché spinti da nostalgia, noia e curiosità, decidono di dare un’ultima chance al vecchio mondo partecipando a una festa: si tratta per entrambi di una matinée. Circostanza che permette loro di constatare che ne è stato della comitiva trascurata per così tanti anni. Marcel, rientrato a Parigi dopo un lungo soggiorno in casa di cura, si reca dai principi di Guermantes; Nathan abbandona il rifugio di montagna per raggiungere la quarantacinquesima riunione degli ex allievi della sua scuola, che ha luogo in un country club in “un sobborgo ebraico lontano dalle strade del quartiere della nostra infanzia”.

Sia il palazzo Guermantes che il country club pullulano degli amici di un tempo, tutti irrimediabilmente male in arnese, se non proprio sull’orlo della tomba. Trovarseli lì, acciaccati, sfigurati, scatena sia nel Narratore della Recherche che in quello di Pastorale Americana sentimenti che oscillano tra incredulità, ribrezzo e commiserazione (in questo preciso ordine). “A volte mi sorprendevo a guardare tutti i presenti come se fossimo ancora nel 1950” scrive Roth “come se 1995 fosse solo il tema futuristico di un ballo in costume al quale avevamo partecipato tutti portando sulla faccia spiritose maschere di cartapesta raffiguranti le facce che avremmo avuto alla fine del Ventesimo secolo. Quel pomeriggio il tempo era stato inventato solo per ingannarci”.

L’inganno ottico di cui Nathan è vittima è lo stesso in cui un’ottantina di anni prima era incappato Marcel; anche lui, infatti, si era sentito a dir poco raggirato dalle sue vecchie conoscenze mondane, tanto da sospettare che, spinte dall’occasione festosa, si fossero sottoposte a un sapiente maquillage: i capelli cosparsi di cipria e talco, il piombo nelle scarpe. Per rendere palese il suo omaggio, Roth/Zuckerman si appropria di espressioni proustiane parecchio impegnative tipo “l’angelo del Tempo” (si noti la maiuscola). Del resto, anche lui, come il collega francese, non si lascia sfuggire l’occasione di soffermarsi penosamente su rughe, capelli bianchi e infermità permanenti. Bisogna dire che se lo sguardo di Marcel è crudele, chirurgico, quello di Nathan è languido e indulgente. Forse perché il primo, a dispetto del secondo, non ripone alcuna fiducia nell’amicizia; ciò non di meno, al netto di una maggior delicatezza, Nathan stesso non può fare a meno di infierire su Abe Meisner, Shelly Minskoff, Jerry levov, ovvero su coloro che senza saperlo incarnano il Tempo perduto”.

tratto da un articolo di Alessandro Piperno, pubblicato su la Lettura Corriere della Sera 12 maggio 2019.

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Le illustrazioni sono di Antonello Silverini

Ma longue absence de Paris n’avait pas empêché d’anciens amis à continuer, comme mon nom restait sur leurs listes, à m’envoyer fidèlement des invitations, et quand j’en trouvai, en rentrant – avec une pour un goûter donné par la Berma en l’honneur de sa fille et de son gendre – une autre pour une matinée qui devait avoir lieu le lendemain chez le prince de Guermantes, les tristes réflexions que j’avais faites dans le train ne furent pas un des moindres motifs qui me conseillèrent de m’y rendre. Ce n’était vraiment pas la peine de me priver de mener la vie de l’homme du monde, m’étais je dit, puisque le fameux « travail » auquel depuis si longtemps j’espère chaque jour me mettre le lendemain, je ne suis pas ou plus fait pour lui, et que peut-être même il ne correspond à aucune réalité. À vrai dire, cette raison était toute négative et ôtait simplement leur valeur à celles qui auraient pu me détourner de ce concert mondain. Mais celle qui m’y fit aller fut ce nom de Guermantes, depuis assez longtemps sorti de mon esprit pour que, lu sur la carte d’invitation, il réveillât un rayon de mon attention, allât prélever au fond de ma mémoire une coupe de leur passé, accompagné de toutes les images de forêt domaniale ou de hautes fleurs qui l’escortaient alors, et pour qu’il reprît pour moi le charme et la signification que je lui trouvais à Combray quand passant, avant de rentrer, dans la rue de l’Oiseau, je voyais du dehors, comme une laque obscure, le vitrail de Gilbert le Mauvais, sire de Guermantes”.

Marcel Proust, Le temps retrouvé