DISOCCUPATI E PENSIONATI -UNA STORIA SOLA

Deve sembrare piuttosto curioso che per un breve accenno ad un presunto contrasto di interessi tra giovani disoccupati e pensionati si prendano le mosse dalla storia del west, tra mito e dura realtà. L’accostamento si giustifica rammentando che nel far west la giustizia era improntata al  fai da te, anche se le poche leggi conosciute venivano rispettate e i banditi temibili come il leggendario Jesse James erano rari. Proprio ad ad ovest del Mississippi, alla fine del 1800, si diceva che quando un uomo con la pistola incontrava sulla sua strada un uomo con il fucile, quello con la pistola era un uomo morto. E’ proprio possibile che tra disoccupati e pensionati le modalità del contrasto siano queste?

Ci si rende conto della superficialità della metafora, tuttavia utile perché i conflitti, quelli veri e quelli immaginari, appaiano meno aspri, essendo, tra l’altro, non personali, ma tra categorie, tra tanti disoccupati o sottoccupati e altrettanti pensionati, tutti comunque a carico del famoso Istituto, e assistiti da un sistema sanitario e farmaceutico che, così come son messe le cose, non li aiuta certo a campare protetti e sereni. Invece di un saggio, a saperlo scrivere, che risulterebbe comunque modesto ad illustrare una delle dicotomie del nostro sistema socioeconomico, quella dei “dei senza lavoro in età di doverlo avere” e quella, molto articolata, di “coloro che sono in pensione non avendo un lavoro regolarmente censito”, sembra meno ambizioso, più comprensibile ricorrere ad un <atto unico>, seguendo rispettosamente, sulle complicate strade della Vallescrivia, un noto giovane disoccupato che in sella ad una Olmo da corsa, compiutamente accessoriata, sale da Camarza di Busalla verso Crocefieschi. Senza particolare fatica, alzandosi raramente sui pedali, godendo dell’aria sempre più pulita lungo la salita al colle e assaporando già il piacere di una lunga discesa in Valbrevenna, tra boschi e reperti di una antica civiltà contadina. Sta scritto già nei libri  pubblicati all’epoca in cui la bicicletta aveva una ruota anteriore molto più grande di quella posteriore o viceversa che fermarsi in discesa, per quanto evidentemente possibile, non è del tutto facile e frequente, come se una forza attirasse verso il basso.

Una riprova, proprio agli estremi, come si suol dire, per volutamente esagerare, dell’attrazione che il vuoto provoca sulle persone è la pericolosa tendenza a rovistare nel passato per riscoprire forme totalitarie come il fascismo, il franchismo, il nazismo, il comunismo condannate dalla storia, ma sempre serpeggianti, esercitando indiscusso fascino e discrete adesioni anche nelle verdi Vandee dell’entroterra genovese che però, in termini di consensi elettorali contano poco, e difatti hanno poco.

Si sa che a Casella, qualcuno, più di uno, è incredibilmente salito sul pulpito della Chiesa Parrocchiale per lanciare alla tradizionale buona borghesia del Paese un appello al Duce del Fascismo (qui e là sta prendendo consistenza), come avvertimento nel caso vi fosse la tendenza ad incamminarsi su una strada in Italia inesplorata, dando fiducia a forze politiche radicali in qualche modo associate ad altre resuscitate tradizionalmente di sinistra. Il ciclista riflette su quella provocazione, sente il bisogno di una sosta avvertendo l’avvicinarsi di una strada, la stessa di prima, ma definita recentemente metropolitana, sempre più pericolosa per i ciclisti.

Piomba a Busalla, il suo paese, dove regna il caos, e si ritrova in piazza Enrico Macciò,  accolto da un nugolo di pensionati di età diversa, a secondo delle finestre di uscita dal lavoro trovate aperte, che discutono di gossip paesano. Viene salutato con qualche sfottò perché i disoccupati di una volta non si potevano certo permettere una bicicletta luccicante e tecnologica come la sua. Ma poi, perché i disoccupati non dovrebbero pratica una attività sportiva e attendere in salute un posto di lavoro? Piuttosto, che dire di pensionati che stanno prosciugando le riserve dell’Istituto e pretendono aumenti e indicizzazioni ? Dibattendo senza astio, quasi recitassero una commedia dell’arte, non mancavano però di sfiorare i nodi che rendono così duramente radicata la disoccupazione in Italia e così ingiusto il nostro sistema pensionistico. Una società in cui la ricchezza è distribuita in modo assurdo come la nostra non può esprimere una politica solidaristica, veramente democratica, neppure cristiana. Piace pensare che disoccupati e pensionati siano tutti, o almeno una gran parte, d’accordo sull’analisi della situazione. Salvo poi dividersi sulle strategie proposte da chi intende conservare il sistema e da chi invece intende favorire cambiamenti di fondo.

CB

ISOLA DEL CANTONE SUGLI SCUDI

E’ doveroso riferire perché tra tanti termini elogiativi a disposizione si è voluto far ricorso per Isola del Cantone alla alzata sugli scudi come una acclamazione per farla sentire importane agli occhi sensibili dei lettori. Si legge negli annali dell’antichità della usanza di portare in trionfo il condottiero vincitore di una battaglia decisiva sul suo stesso scudo. Al punto che trattandosi di un generale alla testa del suo esercito vittorioso e assettato di potere, il condottiero veniva portato direttamente nella sala del trono e, senza indugio, alcuna formalità e men che meno senza indizione di alcun referendum su alcunché, incoronato ufficialmente.

Fatte le premesse apparentemente superflue sugli scudi e sulla presa di potere senza referendum si può riconoscere che a Isola del Cantone, escludendo gli avvenimenti carichi di patos e di grande emotività del giorno della Liberazione, con Giovanni Guido Triulzi, figura ieratica di avvocato antifascista, presente in tutti i cortei della Vallescrivia e del genovesato, chissà da quanti ricordati (!), si può convenire che non vi fosse stato altro di paragonabile per drammaticità, sino al momento che incauti assessori regionali liguri decidessero di destinare su terreni siti nel Comune isolese un moderno biodigestore affiancato da altra struttura per il primo trattamento dei rifiuti solidi e la trasformazione di quelli umidi. La reazione del Sindaco Giulio Assale è stata immediata nell’opporsi fermamente all’impianto in odore di deturpare l’ambiente e di costituire possibile fonte di inquinamento. La opposizione del Sindaco venne seguita da una presa posizione dura, senza riserve, di associazioni di diverso colore politico e della stessa generalità pubblica. Semmai che una saldatura così spontanea tra l’Autorità comunale e la cittadinanza non merita un plauso sincero da pare del giornalismo cartaceo e web ! Vorrebbe dire non riconoscere un afflato assai raro in una società ingiusta, delusa dai politici, sospettosa che dopo averti preso un dito vogliano tutto il braccio! Nel Comune più settentrionale della Regione Liguria c’è dell’altro che attrae il plauso degli osservatori : l’Isolajazz al Vecchio Scalo non può certo essere derubricato ad una meccanica e fredda  diffusione musicale, sia pure interessante, trattandosi invece di musica dal vivo offerta in una cornice impensabile da prestigiosi protagonisti e con organizzatori e critici competenti. Non va neppure sottovalutato il recente progetto di sistemazione della antica facciata della Chiesa Parrocchiale di Santo Stefano e Sant’Innocenzo, sulla parte del territorio sempre stata con Genova e la sua combattiva Diocesi, rispetto il Cantone che sta sul lato destro dello Scrivia. Imminente risulta l’ inaugurazione di un Centro Culturale, sulla piazza dedicata a Giacomo Matteotti, s’immagina per iniziativa dell’amico Sergio Pedemonte che, in questi ultimi tempi, sembra proprio deciso a tirare fuori gli attributi culturali, che non dovrebbero essere affatto trascurabili. per metterli a servizio dei giovani che vogliono uscire dal provincialismo e dal culto del banale assai diffuso nelle Valli dello Scrivia, del Brevenna e del Vobbia., soggiacendo tra l’altro al tallone opprimente di una Metropolitana tutta scivolata verso la Città e la Costa Ligure.

Chi sembra aver capito bene la lezione che sta venendo  da Isola del Cantone è <Busalla Informa> web che, viene adombrato da cauti fiancheggiatori, si sarebbe trasformato in una cooperativa a responsabilità limitata senza fini di lucro, dopo taluni contrasti di natura squisitamente politica. Non si riesce a intendere, per farsi solo un legittima domanda, se il Comune di Busalla, magari con delega all’assessore alla Cultura Fabrizio Fazzari, abbia una qualche quota e voce in capitolo. Casa della salute non pervenuta. Quel che sembra certo e positivamente valutabile è l’influenza notevole del Comitato# Possibile attraverso “Valli delle Rose” una compagine progressista presentatasi, tra l’altro, alle elezioni di secondo grado della Città Metropolitana con “Coalizione Civica”, riuscendo a far eleggere la sua Daniela Tedeschi e ottenendo che la fotografia della bionda Signora di Arenzano nata, sarà un caso, a Isola del Cantone, figuri giustamente sul giornale web.

CB

LA FATTORIA DEGLI ANIMALI E IL SERVIZIO R.A.I.

Si racconta che in qualche quartiere di Busalla, per fare un esempio l’alta Ghiacciaia, sono sempre stati riscontrati impedimenti a ricevere determinati segnali televisivi. Si tratta della interposizione tra il ripetitore a servizio anche della Vallescrivia e il limitato numero di utenti oscurati parzialmente del monte Cappellino, simpaticamente slanciato dal colle del Santuario della Madonna della Vittoria verso Busalla, propaggine morbida, argillosa, ricca di balze verdi e rigogliosa vegetazione, ma imperforabile dai segnali del ripetitore del monte Maggio che non si rendono così visibili a certi sfortunati televisori. In tempi passati si era rimediato con un rimbalzo da una antenna privata generosamente disposta, situata ben sopra il glorioso ex Ospedale Frugone, una sorta di colpo di biliardo che prevedeva una triangolazione dei segnali, qualcuno diceva secondo uno dei teoremi del grande matematico Euclide, che in verità non c’entrava per nulla, neppure a voler fare sfoggio di conoscenza della geometria piana. Tra l’altro, la cortese disponibilità avrebbe potuto interpretarsi come prestazione di un servizio fatta, come vuole certa legge ai più sconosciuta, a titolo oneroso, in via presuntiva, e quindi in plateale evasione d’imposta : l’antenna di soccorso cessò un bel giorno di mandare segnali e si ripiombò nella situazione di non ricezione di taluni canali, come per esempio quello regionale.

Al riguardo, c’è da ritenere che la mancata o cattiva ricezione sia tuttora fenomeno diffuso negli anfratti scoscesi, nelle gole ombrose dei torrenti del montuoso Parco dell’ Antola, nelle case sparse, in mezzo a boschi bellissimi  della Valbrevenna e della Valle Vobbia, lungo i sentieri tracciati e curati per gli appassionati camminatori che forse, godendo di paesaggi incantevoli nella natura, di fioriture stagionali fantastiche, sfuggono, più o meno inconsapevolmente, alle drogate programmazioni della R.A.I. e non solo di quella.

Piace equiparare la bucolica situazione con lo straordinario ambiente della “Fattoria degli animali”- <Animal Farm> di George Orwell, classe 1903, morto all’età di 46 ani di tubercolosi. Il libro di grande successo fu pubblicato in Italia nel 1947, quando gran parte, forse tutti, gli amministratori comunali della Vallescrivia non erano ancora nati e senza che quest’ultima circostanza rivesta un qualche rilievo per la morale del post e per la comprovata parzialità del servizio televisivo pubblico della R.A.I. La “Fattoria degli animali” è, come noto, un libro altamente allegorico. Mr. Jones è il proprietario della fattoria che maltratta gli animali. Oggi diremmo un Sindaco arrogante che non vuol sentire parlare di rifugiati economici oppure no. In un ambiente di campagna, Old Major, il maiale più anziano della fattoria racconta agli altri animali di un suo sogno in cui tutti gli animali erano liberi dal controllo degli esseri umani così da poter decidere del loro destino. Purtroppo l’anziano maiale morì il giorno dopo, perché fosse chiaro che la rivoluzione socialista democratica di Orwell non era un traguardo facile da raggiungere. Nella fattoria degli animali non poteva esserci la televisione e la stessa radio era agli esordi. Il pensiero, le idee, i programmi si trasmettevano di persona, pardon di animale, evitandosi le contaminazioni di affabulatori logorroici, di vecchi miliardari, di politici corrotti.

La partenza del treno di Matteo Renzi, originale modo di portare il proprio programma elettorale e la propria persona sulla rete ferroviaria italiana, offre alla Rai e ad altre libere emittenti la ghiotta occasione di cogliere, ogni santo giorno, il politico fiorentino in una situazione nuova, stimolante, nel bel mezzo di un mondo, quello dei ferrovieri e dei servizi accessori alla ferrovia. Questa circostanza consente di rievocare simpaticamente un personaggio non del tutto minore del Romanzo/Film “Il Dottor Zivago”, il comunista leninista Strelnikov che guidando una locomotiva sbuffante, con una bandiera rossa ben piantata sul fronte del locomotore, va incontro alla reazione dei controrivoluzionari cosacchi-Bianchi e sparisce nel bianco accecante della steppa russa.

CB

UN CONTABILE DI ENRICO MACCIO’

Attraversava di fretta il ponte sullo Scrivia una gelida mattina di uno dei primi giorni di dicembre del 1940 diretto alla stazione ferroviaria di Busalla il contabile della viteria della quale era titolare a Sarissola Enrico Macciò. Prima di imboccare il il solito ponte aveva anche tolto dal cappello la mano libera, l’altra reggeva una cartella di cuoio consunta, per salutare Francesco Macciò, detto Checcu, cugino del suo datore di lavoro, fermo sul portone della sua avviata rivendita di ferro. Salutato come si doveva il signor Francesco, diede anche uno sguardo al campo di calcio del Paese, proprio sulla sua destra ed ebbe un brivido di freddo a pensare che giovani paesani potessero correre dietro un pallone esposti alla corrente gelida del vicino torrente Scrivia. Un forte vento di libeccio accompagnava una burrasca già nelle prime ore di quella mattina tardo autunnale, ma non nevicava. Il contabile  sarebbe volentieri rimasto in fabbrica, vicino alla stufa, che le cose da verificare erano parecchie, ma il principale, il signor Enrico, doveva far avere certe carte all’indirizzo di Sampierdarena, proprio vicino al palazzo Comunale, scritto su un foglietto a parte dal Macciò.

A metà del ponte una anomala folata gli sradicò il cappello dalla testa pelata. Il cappello volò via in modo assolutamente vertiginoso assumendo una traiettoria che sembrava ripetere quella della via principale di Busalla. Finì decisamente lontano, addirittura nel bar del dopolavoro ferroviario dove il gestore non riusciva a capacitarsi da dove e da chi provenisse. Si organizzò subito una caccia al proprietario del cappello iniziando le ricerche dalla stazione ferroviaria e dintorni per poi risalire, badando bene di non creare assembramenti, verso la piazza del Podestà. Si trascurarono le Cascine anche perché i signori villeggianti a dicembre se ne stavano a Genova o addirittura sceglievano mete ancora più temperate. Si capì subito che il cappello, di un grigio chiaro, non poteva essere del dottor Guidobono, mitico medico condotto del Paese, ne di qualcuno dei funzionari dell’Enel o di altri che si potevano permettere un Borsalino di gran lusso. Il contabile del signor Macciò arrivò trafelato all’altezza della antica farmacia Lasagna, recuperò dal signor Pino in persona il cappello e coprì la sua testa nuda ed arrossata.

Le traversie del contabile non erano però finite perché il treno che lo doveva portare a Sampierdarena stava per arrivare in stazione e non lo avrebbe di certo aspettato. I treni erano sempre in perfetto orario. E poi c’era l’incarico fiduciario della busta da recapitare che il contabile intuiva contenesse documenti estranei alla vita dell’opificio del quale lui era fidato dipendente da diversi anni. Riuscì a salire sul treno dopo una bella corsa, ringraziando il Padre Eterno che la poca neve caduta nei giorni precedenti era stata diligentemente scopata via dai marciapiedi dagli stessi operosi e collaborativi commercianti.

Nota: Il personaggio del contabile è immaginario.

CB

PER I PENSIONATI CLIMA INCLEMENTE

C’è chi ha definito la pensione come l’inverno della vita o, proprio considerando il lato più roseo della realtà , l’autunno dell’esistenza del lavoratore quando, sollevato dai stringenti obblighi di un rapporto spesso diseguale, sembra dapprima rifiorire per poi avviarsi alla cruda stagione della vecchiaia. Non avrebbe probabilmente introdotto meglio l’argomento il grande intellettuale Giacomo Leopardi da Recanati, massimo poeta dell’ottocento romantico, tormentato alla fine della sua breve esistenza da un pessimismo corrosivo, se anche lui, come noi, fosse vissuto al tempo di un Governo piagnucoloso e crepuscolare come quello che sta portando il Paese alle elezioni. Si sa che l’inverno della vita assomiglia molto a quello della stagione che le rotazioni del nostro bistrattato pianeta sull’eclittica fanno sì che si presenti regolarmente dopo le altre tre, decisamente migliori, portando, almeno tra i monti del Parco dell’Antola, freddo, neve e gelo.

Ma non è di inconvenienti stagionali, per i quali si deve pure ammettere la predisposizione particolare di chi è avanti  negli anni e magari in pensione, ma della assoluta noncuranza che anche questo Governo dimostra nei confronti dei pensionati, non proprio di tutti s’intende. In un Paese dove le iniquità sono diventate insopportabili, non mitiga il giudizio negativo sull’azione di Governo, anzi lo rafforza, la ben nota circostanza che vi sono anche pensioni da capogiro, buonuscite miliardarie, vitalizi generosi, e pensioni anche accettabili, il tutto determinato negli anni, praticamente subito dopo l’entrata in vigore della nostra democratica Costituzione. Una delle principali ragioni della politica della lesina a danno dei ceti più deboli della popolazione, per cui già a giugno scorso un Ministro all’Economia, splendido affabulatore ex comunista, sentito per le vie brevi dal Giornale La Repubblica, riferiva l’impossibilità ragioneristica di mettere in cantiere interventi virtuosi nell’intricato comparto pensionistico, proprio in ragione della penuria di soldi freschi e di un debito pubblico che negli ultimi esercizi di bilancio è aumentato in modo preoccupante. Tutti gli osservatori accreditati e i commentatori dei media, per quanto asserviti ai loro editori e padroni, non esitano nell’indicare il debito strutturale e gli interessi passivi su di esso come una sorta di peso da trascinare faticosamente come fanno i peggiori condannati a vita nella Caienna.

Le diverse visioni della politica in una società come la nostra in grave deficit  di sviluppo si evidenziano però quando alla diagnosi impietosa dei processi economici nazionali ed europei seguono i diversi modelli per trovare delle soluzioni equilibrate, non in tempi biblici, secondo i principi fondamentali della nostra Costituzione. Anche chi non ha la pretesa di vestire la giubba dell’economista deve prendere in considerazione, sia pure con tutta la prudenza possibile, una misura legislativa di prelievo della <ricchezza nazionale>, da non confondersi con una patrimoniale vera e propria, in genere, quest’ultima, considerata imposizione punitiva, posta in essere da un esecutivo ispirato ad ideologia totalitaria. Viene allora in mente che Paolo Cirino Pomicino, prestigioso parlamentare democristiano dal 1976, politico ancora sulla scena, dotato di una chiarissima visione degli errori del passato e della capacità di superare i luoghi comuni, ha recentemente invocato il coraggio delle forze politiche di programmare un< prelievo sulla ricchezza nazionale>

Un semplice capitolo del < Falchetto dello Scrivia> Ed. 2016, pagina 76, scritto addirittura nel 2013, mi esonera dall’obbligo di riprodurre il datato interesse di una parte della politica per un tributo che nella galassia dei prelievi possibili, tenuto in debito conto anche del grave fenomeno dell’erosione e dell’evasione, non può essere trascurato. In un momento cruciale, come questo, della vita nazionale, si sta lasciando un po troppo facilmente da parte, chi per timore di reazioni scomposte o per indolenza, chi per ovvia convenienza personale o di contrada un tributo, magari “una tantum”, che potrebbe far affluire nelle esangui casse dello Stato un consistente flusso di denaro, difficilmente quantificabile, secondo l’incisività del prelievo, tanta manna per abbassare il debito e per una vera politica di investimenti statali che invertano il ciclo economico e aprano prospettive serie per i giovani e per gli anziani. Non prendere in considerazione un prelievo, che dovrebbe essere tra l’altro rispettoso della progressività del sistema tributario voluta dalla Carta, senza avere naturalmente i caratteri di una ingiusta espropriazione, appare una un inutile procrastinare la grave situazione in cui il Paese versa.

<E’ come se una tribù di Beduini del Sahara spintasi troppo in profondità nel deserto alla ricerca di un’oasi forse inesistente, sprecasse energie irrecuperabili alla ricerca di un’ improbabile ricca sorgente d’acqua in superficie, trascurando il tentativo di scavare subito in profondità un pozzo dove l’acqua è rintracciabile, anche in quelle lande sabbiose, sparsa in ragnatele di rivoli che portano la vita ad organismi celati al forte calore della superficie.>

Per avvalorare la tesi che c’è molta reticenza a chiamare il popolo ad uno sforzo comune, ad una prova di intelligente generosità che potrebbe essere un punto fermo per un futuro di maggiore giustizia sociale,basta constatare che nessun politico parla di un prelievo sulla ricchezza della nazione, neppure per chiarirne i contorni, gli effetti, i limiti inevitabili di una manovra così incidente sulla ricchezza. Sembra venuto il momento che le forze politiche che aspirano a governare dopo le prossime elezioni mettano al centro del loro programma una seria riforma tributaria.

CB

IL PASSAGGIO DELLE CARTE E I SERVIZI PUBBLICI

E’ risaputo che certe simpatie giovanili possono  evolversi in vere e proprie inclinazioni e morbosi attaccamenti,avendo per così dire, zoccoli diversi: esempi di cattivi maestri, complesse o elementari esperienze di vita, come quella di  osservare, quasi divertiti, sempre di sfuggita, un quadro esposto in una osteria del paese,  non in una famosa galleria d’arte dove si respira un’aria di intellettualismo che inebria i cultori della materia e attira gli amministratori alla cultura.

Il caso vuole che nell’Osteria di Agostino Tavella, detta “dau Tavellun”, all’inizio del quartiere operaio di Casarino -vulgo Casein, a Busalla, siamo nei primi anni quaranta del secolo scorso, vi fosse esposto, sulla destra entrando da via Luigi Nino Malerba, un quadro di discrete proporzioni raffigurante una partita a scopa tra quattro giovinastri vestiti, per allora in modo vagamente originale, tanto da poter collocare il momento della partita agli inizi del 900, dunque prima dell’avvento del regime Fascista, se non addirittura prima della Grande Guerra. Il quadro rappresentava un momento topico del gioco, quando due dei quattro giocatori, con circense maestria e con evidente disonestà, si trasferivano qualche carta utilizzando i piedi nudi cavati da sandali di cuoio, nella assoluta inconsapevolezza degli altri due intenti evidentemente e ingenuamente a strategie di gioco basate sulla memoria e sul calcolo. Ai giovanissimi del nucleo storico di Busalla, che all’incirca va da quella Osteria, vicina alla Strada Principale, sino al Ponte della Madonnetta, e poi proseguendo sino alle case adagiate sotto la Chiesa Parrocchiale, era consentito sbirciare da Tavellun e, almeno ai più curiosi, di interrogarsi sul quadro dei giocatori sleali.

Non si esclude, a pensar male, che già i giovani di allora guardassero all’astuta mossa degli imbroglioni con il compiacimento e l’approvazione di chi eredita una atavica propensione all’inganno anche nelle questioni di poco conto, dove i valori e gli interessi in gioco sono insignificanti. S’immagini nella politica, nella cura della cosa pubblica, dove, distorcendo allegramente autorevoli insegnamenti come quello di Nicolò Machiavelli, tanto per citarne solo uno, molto datato, il tradire con ignavia i programmi con i quali ci si è proposti all’elettorato per il governo della Città, della Regione o dell ‘intero Paese sta diventando pratica diffusa. Per non scrivere, attività che astutamente si è programmaticamente riservata ad altri canali giornalistici di ben più ampia portata, di continui, esasperanti casi di male affare e di ricorso al necessario intervento repressivo della magistratura accusata poi di alterare l’equilibrio dei poteri.

Per esempio, nel settore fondamentale della Sanità si riscontrano, anche nella nostra Valle, deficienze che con il passare del tempo si accentuano e sono rese ancora più insopportabili dal verificarsi di casi di ruberie rese note soprattutto da certa encomiabile stampa. Si subisce un sistema a costi e tempi d’intervento  crescenti che spesso indirizza verso il <privato> se non addirittura verso l’estero.

Proprio in materia di emergenza sanitaria si deve segnalare e commentare una recente denuncia dello USB- Coordinamento Nazionale Vigili del Fuoco- che sostanzialmente evidenzia una sorta di cortina fumogena sparsa su < Elisoccorso VVF Ligure> definito un servizio di elisoccorso ed eliambulanza che risulterebbe fornire il più alto livello di sicurezza su tutto il territorio nazionale. Il comunicato stampa mette nel giusto rilievo il pericolo che il processo di privatizzazione, tanto vantato come risolutore di ogni problema, tradisca in fine il pericolo che, inaridendosi i canali di finanziamento il servizio muoia.

La lettera dei Vigili del Fuoco USB contiene un insieme di valutazioni circa per esempio il volo notturno, la necessità di addestrare personale idoneo per il particolare servizio, l’acquisizione programmata dei mezzi occorrenti per una generale copertura del territorio. Proprio sulla reale, attuale disponibilità della Regione Liguria dei mezzi finanziari necessari al mantenimento di Ospedali, Pronto Soccorsi, Automediche estese alle 24 h, si avanzano, sempre nel documento,  dubbi piuttosto fondati, tanto che nello stesso documento si profetizza un collasso generale dei tre pilastri emergenziali e di cura.

In Vallescrivia, con l’istituzione del servizio <Automedica GOLF 7> 12 h l’intervento emergenziale si è avviata verso l’istituzione di un servizio efficiente. Naturalmente la funzionalità del servizio dipende essenzialmente dall’impegno costante e professionalmente positivo degli 8 Siti d’intervento, 4 verdi e 4 rossi. Dalla abnegazione dei volontari che negli 8 Siti dispongono comunque moderne di autoambulanze ed altre vetture pronte ad affiancarsi <all’Automedica Golf 7> .

L’elisoccorso potrebbe coadiuvare l’opera delle Croci Verdi e Rosse rendendo più tempestivo l’intervento sopratutto nelle aree montane (che ne pensano quelli del Parco Antola?) e in caso di incidenti che richiedano trasporti urgenti negli Ospedali della Città. Quello che si deve effettivamente respingere è il teorema secondo il quale ciò che è privato funziona meglio di ciò che è pubblico. Non può comunque accettarsi l’idea che si possa trattare la cosa pubblica passandosi le carte sotto il tavolo come nel quadro della vecchia onorata Osteria da Tavellun.

CB

I DIPENDENTI ILVA NEL LETTO DI PROCUSTE

Può succedere di associare fantasticamente personaggi o eventi dell’oggi a figure mitologiche della Grecia antica impresse nella memoria da lontani e felici studi giovanili. L’esercizio di un così inedito parallelo può in realtà servire, soprattutto in un caso che rattrista come quello dell’ ILVA, per rendere gli eventi odierni più comprensibili e degni di essere valutati anche nei loro risvolti crudeli.

Nella Grecia mitologica antica succedeva che un brigante di  nome Damaste, o anche Polipemone, aggrediva i viandanti e li straziava battendoli con un martello su un incudine a forma di letto. I malcapitati venivano infatti stirati a forza se troppo corti, o amputati se troppo lunghi e sporgevano dal letto. Con la locuzione “letto di Procuste”, derivata appunto dal mito greco, si indica il tentativo di ridurre le persone a un solo modello, un solo modo di pensare e di agire. Più genericamente s’intende rappresentare una situazione difficile e intollerabile per chi si trova succube di un potere assoluto che induce ad una condizione di spirito tormentosa, travagliata, incerta.

In un <letto di Procuste>, predisposto dal colosso dell’acciaio Mittal-Marcegaglia, nuovo proprietario di ILVA, sono forse abbandonati i dipendenti delle diverse Sedi dell’industria ? Si può infatti immaginare, scriviamolo francamente, la posizione dei lavoratori dell’ ILVA come non somigliante a quella dei mitici viandanti sulle strade di Atene con incombente il brigante Damaste ? Sarà che qualcuno troverà l’accostamento un azzardo, un modo giulivo di sdrammatizzare una vicenda che se da un lato non può che produrre sofferenza e preoccupazione ai lavoratori, dall’altro metterà alla prova la capacità del Governo di contemperare le esigenze del colosso industriale con i legittimi diritti degli operai, compresi quelli acquisiti che si vorrebbe ledere con un gioco di prestigio basato sul Job Act.

E però, vi sono pochi dubbi, che un passaggio doloroso, ma illuminante nella sua crudezza può far sì che i lavoratori, anche quelli apparentemente in sella, prendano coscienza della loro estrema fragilità, della loro endemica esposizione al ricatto. Il colosso Mittal – Marcegaglia, che si era aggiudicata ILVA in amministrazione straordinaria ha finalmente svelato all’opinione pubblica e ai lavoratori delle Sedi di Taranto, Genova -Cornigliano e Novi Ligure alcune intenzioni che scaturirebbero da un esame attento dello stato della produzione nelle varie Sedi. Intanto si prevederebbero 4.000 esuberi complessivi da facilitare con qualche intervento normativo da parte del Governo. Poi, e qui la procedura assumerebbe veramente i chiari contorni del mitologico <letto di Procuste>,, i fortunati restanti 10.000 verrebbero licenziati in virtù, se si  può vedervi un che di virtuoso, della normativa JOB ACT, per poi riassumerli. La brillante operazione consentirebbe alla proprietà di usare la Cassa Integrazione da zero ore, mentre i lavoratori perderebbero l’anzianità maturata e l’integrativo.

La reazione immediata e decisa dei lavoratori delle varie Sedi ILVA ha stupito, tra gli altri, attenti osservatori forse abituati a pensare che gli operai, come gli animali preistorici, fossero stati inceneriti da meteoriti piovute dal profondo spazio, o convertiti alla fede dell’ultra liberalismo e  pronti a qualsiasi sacrificio pur di conservare un complesso industriale sempre sull’orlo del baratro. La reazione del Ministro allo Sviluppo Economico. di fronte alle barricate è stata altrettanto sorprendente, quanto quella dei Sindacati. Il tavolo preparato per un incontro è stato annullato con una improvvisa dichiarazione, apparsa ai più collerica, del Ministro, tutto teso a dimostrare che il Governo non era al corrente del progetto reso pubblico dalla proprietà.

CB

IL RITORNO IN VALLE DI PEPE CARVALHO

Nessuno poteva immaginare che l’anziano detective privato catalano, Pepe Carvalho, improvvisamente ricomparisse in Vallescrivia proprio all’inizio dell’autunno, quando i colori  della natura arsi dal sole contrastano con quelli ancora splendenti sul mare della sua Catalogna, avvolta in un turbine secessionista fatto per gente dal cuore giovane e spregiudicato. Pepe Carvalho deve essere proprio vicino agli ottant’anni perché certe fonti lo danno per nato nel 1939, come del resto lo scrittore che lo fece diventare famoso, Manuel Vasquez Montalban, entrambi nel quartiere Raval di Barcellona, periferia povera e antifranchista, un mondo di perdenti della Guerra Civile e della vita, di vagabondi e mutilati le cui leggende hanno evidentemente alimentato e scolpito le infanzie dei due personaggi

E’ plausibile che Pepe, vezzeggiativo di Josè, il nostro Beppe, non sia venuto in Vallescrivia per svolgervi qualche misteriosa indagine, ma per estraniarsi dalla caotica situazione della sua amata Catalogna in una parte dell’entroterra genovese che aveva già conosciuto e che gli era rimasta nel cuore.

Alloggiando in un Albergo vicino allo svincolo autostradale di Busalla, dove sapeva di trovare cordiale accoglienza e un’ottima birra, dopo un approssimativo riposo, volle subito rispettare il suo programma andando alla ricerca di un Prete, Don Cicci Pastorino, la cui dedizione per i giovani drogati e i poveri sistemici lo faceva sentire in una sorta di laico odore di santità. Pepe, che in fondo, malgrado un’anagrafe impietosa, rimaneva pur sempre un detective, non si accontentava di mere dicerie, ricercando ostinatamente e intelligentemente una qualche verità. Aveva casualmente saputo del gergo popolaresco, a volte scurrile, di Don Cicci, derubricato probabilmente dalla Gerarchia a Prete da marciapiede, amato invece da molti cattolici come lo fu il defunto Don Gallo della Comunità di San Benedetto al Porto. Pepe Carvalho sale con la Mercedes, avuto in affitto a Milano, lungo la tortuosa strada della verde Valbrevenna. Don Cicci non è a Senarega, non è in nessun posto della Valle. Pepe cerca comunque inutilmente di lasciare un segno della sua presenza in Valbrevenna; non sa che potrebbe forse trovarlo in Farmacia. Non si perde d’animo e ritorna con circospezione sui suoi passi, sarebbe più realistico dire sulle sue ruote.

L’aria frizzante dell’ Antola, filtrata dal bellissimo polmone verde della Valle percorsa dal torrente Brevenna, senza nulla togliere alla supervisione dell’Ente Parco, gli ha accentuato l’appetito sempre gagliardo. Pur apprezzando la cucina dell’Albergo dove alloggia, sente di doversi permettere una cena un po diversa, in un ambiente che induca alla riflessione. Non prende informazioni perché ha capito che gli abitanti della Vallescrivia, non tutti per fortuna, sono pacifici, creduloni, opportunisti, ma quando devono indicare un ristorante sicuro ad uno straniero gioiscono cinicamente nell’indirizzarlo al peggiore e più costoso.  A Busalla, dopo aver superata qualche difficoltà a posteggiare la vecchia mercedes, trova una soluzione proprio nel centro del Paese.

Circondato da mille attenzioni perché, è già stato scritto che un uomo misterioso è come una calamita, Pepe Carvalho cena con soddisfazione provando l’unica delusione di non poter bere il suo Vina Real- Rioja Crianza 2013 che, scontato, avrebbe pagato, lui aveva tutto in testa, circa 10 euro a bottiglia. Circa l’attrazione della calamita che lo stesso Pepe avvertiva ormai senza un vero compiacimento, il detective era solito sostenere che certe astuzie maschili potevano avere successo su giovani inesperte e docili alle parole, ma non con donne di notevoli esperienze, con le quali, come scrive  Honoré de Balzac, un uomo deve essere capace di non gridare quando, se nascosto in uno spogliatoio, la cameriera gli spezza due dita nella commessura di una porta. Lasciò la linda trattoria subito dopo aver bevuto un caffè che, malgrado fosse stato su sua richiesta raddoppiato al massimo, gli parve come quello che beveva in Argentina quando era sposato con una intellettuale fanatica comunista che, lo raccontava lui, parlava di politica anche quando facevano all’amore. Scambiò quattro parole con un signore che seduto al tavolo vicino si dichiarò un Busallese deluso e capì che il Paese era aggrappato ad una Raffineria, a poche altre industrie di  medie e piccole dimensioni, con i commercianti al tubo del gas e quattro grandi super mercati probabilmente in cartello.

Il giorno dopo Pepe si recò all’altro capo della Vallescrivia, ad Isola del Cantone, che, sapeva, aver recentemente  saputo resistere alla decisione dell’Autorità regionale ligure di installare su una parte del suo territorio un biodigestore, misterioso impianto per la parziale eliminazione dei rifiuti umidi, dopo una accurata selezione della carta, della plastica, dei materiali ferrosi. Processo, si dice, in via di perfezionamento,  certamente necessario, da effettuare in zone idonee , ma che ogni Comune lo vorrebbe sul territorio di un altro. A  Pepe il Paese era noto sopratutto per la lunga ospitalità data ad un insigne studioso, nato a Ronco Scrivia, Lorenzo Tacchella e alla sua Signora Statunitense avente un ruolo al Pentagono. A Pepe Carvalho l’idea che un piccolo Paese dell’entroterra genovese, malgrado la sua fragilità e difficoltà a gestire un bilancio con la così detta lesina, trovi le energie e le convergenze per opporsi ad una iniziativa già assunta dall’Autorità Regionale, nella sua qualità di Ente Programmatore in materia, sembrava sintomo di rispettabile dignità.

Pepe Carvalho, non si sa il perché, pensava di trovare ad Isola del Cantone la pasticceria “Cacian”, ma subì un altra piccola delusione.

CB

LA P.A. CROCE VERDE BUSALLESE HA UNA PROPOSTA

Il Presidente della Croce Verde Busallese Giuseppe Coniglio e i suoi più stretti collaboratori, molto soddisfatti del servizio emergenziale fornito con “Automedica- Golf 7” del resto accolto con favore da tutte le Sedi di intervento della Vallescrivia e apprezzato, a quanto viene pubblicamente dichiarato, anche dagli otto Comuni dell’Unione dello Scrivia e dei suoi affluenti, tanta manna per l’Asl 3 genovese, ritengono sia giunto il momento di un ulteriore passo avanti del circuito emergenziale, fatto, si può ben dire, in buona parte in casa.

La proposta avviata -erga omnes- ai soggetti interessati e, si deve immaginare, portata a conoscenza delle autorità sanitarie regionali,  è preceduta da alcune constatazioni sulle difficoltà che il servizio incontra a causa della particolare accidentalità del territorio, in gran parte montano e abbastanza decentrato rispetto al fondovalle, attraversato da ferrovie e da autostrada, anche in contorta, solida versione camionale mussoliniana, con numerosi insediamenti industriali, tra i quali la Raffineria Iplom, come noto, industria a rischio rilevante.   S’intravvede da parte del Presidente della Croce Verde Busallese, che dimostra sempre oltre un encomiabile attivismo, anche una buona dose di ponderato ottimismo, soltanto si consideri che non solo si  prevede il prossimo passaggio a 7 giorni su 7 del Servizio, ma addirittura non si esclude l’inserimento nel circuito emergenziale in 24 ore, che alla nostra latitudine significa tutto il santo giorno. Si coglie anche una pacata, forse velata, tuttavia significativa denuncia di una latitanza di talune delle 8 Sedi emergenziali della Vallata al punto di dover constatare l’intervento di ambulanze di Sedi esterne al territorio, risultando così compromessa l’immagine del soccorso indigeno, con conseguente dilatazione dei tempi d’intervento. Per il Presidente della Croce di Busalla l’immedesimazione nel Servizio, soprattutto dopo il positivo avvio concordato appieno con tutte le parti del così detto “Golf 7”, è totale.  Del resto si riconosce, a parole, che tutti i cittadini, senza distinzione di censo ed altro, hanno diritto ad un Servizio emergenziale, appendice insopprimibile del Servizio Sanitario tout court, prestato da persone competenti, responsabili, esperte nell’utilizzo di tutti i congegni e gli strumenti, 24 ore su 24, salvo che una improbabile, Dio ce ne scampi e liberi, catastrofe in Vallescrivia renda necessari ben più dei mezzi disponibili sul campo.

La stella polare della Croce Verde Busallese è la creazione di equipaggi formati solo da volontari in formazioni miste provenienti da tutte le Croci di Vallata e composte da giovani soccorritori. Tre ambulanze costituirebbero le spina dorsale della linea di soccorso: una a Busalla, punto di partenza ideale di tutti i target, in prima o seconda uscita. La seconda tra Isola del Cantone e Ronco Scrivia; la terza tra Casella e Montoggio. Al progetto, che non esclude l’utilizzo di un dipendente assieme al volontario, piace dare il nome di Consorzio Emergenza Vallescrivia. E’ quello che in vero sembrerebbe il più fattibile, rispetto ad altre due soluzioni subordinate che vedono l’assunzione di personale in misura superiore e probabilmente anche in contrasto con il principio secondo il quale la Sanità è materia di competenza della Regione tenuta perciò a sostenere- per esempio: su un territorio tavola rasa- gran parte degli oneri anche del trasporto traumatizzati, incidentati, infartuati e così via. Le P.A., sia quelle Verdi che quelle Rosse, insediate nei Paesi dell’Unione hanno il merito di aver progettato, contrattato e realizzato il Presidio dell'<AUTOMEDICA GOLF 7>che è andato, se vogliamo essere obiettivi, con un eufemismo, incontro al momento obiettivo di difficoltà della Regione che non sarebbe stata probabilmente in grado di offrire un gran che alla Vallata.

Nel momento che  la P.A. Croce Verde Busallese si è attivata alla ricerca di un consenso dalle altre Croci e dalle Amministrazioni comunali della Valle sul suo progetto, che potrebbe richiedere soltanto qualche aggiustamento, arriva tramite il Secolo XIX di Genova del 29 settembre u.s. la notizia che ARTE-Azienda Regionale del Territorio-  porrebbe in vendita, probabilmente a trattativa privata, i famosi immobili, oggi per lo più ruderi, che, sollevati dal vincolo sanitario il lontano 21/11/2011, erano stati trasferiti dalla ASL 3 genovese al patrimonio disponibile della Regione. Storia vecchia, ma istruttiva. Si era da diverse parti avanzata la considerazione che l’acquisto di  una parte di tali immobili da parte di ARTE fosse in realtà da considerarsi illegittima: in tal senso si è infatti recentemente ed autorevolmente pronunciata con sentenza (in attesa degli sviluppi) la Corte dei Conti. L’Amministrazione Comunale di Busalla si adopererà, così  s’immagina, per agevolare l’operazione di alienazione degli immobili – la casetta con 2 capienti box e altri 4 box tra i quali la indecorosa camera mortuaria dell’ex ospedale Frugone, in via Roma- Lo deve perché siano utilizzati beni altrimenti esposti allo sguardo critico dei cittadini, perché siano sfruttate risorse latenti, per confermare una tendenziale generale assonanza con l’Amministrazione Regionale Ligure.

CB