LE CAMPANE DI DON ALDO VITI

Sono trascorsi circa quattro mesi da quando Don Aldo Viti decano della Congregazione di Don Orione è ritornato in Costa D’ Avorio nella Missione di Bonoua dopo il consueto necessario periodo di riposo al Paverano di Genova.

Siamo informati dei vivaci, sinceri, entusiastici festeggiamenti dei tanti giovani della cittadina, assieme ai Missionari, ai Confratelli, ai volontari sulla Collina del Santuario Notre Dame de la Garde, venerdì 18 gennaio scorso, sera, mentre il sole , è stato scritto, tramontava ancora caldo dalla parte di Abidjan, il grande porto lagunare della Costa D’Avorio. C’è chi si chiede come Don Aldo, uomo di 95 anni, con lunghe esperienze di varia responsabilità in Italia, abbia scoperto in Africa il modo più autentico di essere se stesso avvicinandosi con spontanea generosità ai giovanissimi in cerca di una strada, agli ammalati poveri, ai bisognosi.

Probabilmente questa dedizione, per altro coltivata sempre, rientra in un disegno misterioso, inimmaginabile, che pone Don Aldo al servizio della giustizia, di chi è nel bisogno in quel Continente al centro di grandi appetiti, lotte etniche, guerre continue, tanta disperazione e desiderio di fuga verso l’ignoto.

Avevamo incontrato personalmente Don Aldo, prima che partisse, nella saletta della biblioteca comunale di Busalla a gennaio del 2017, il giorno della presentazione del <Il falchetto dello Scrivia>, libro senza pretese, localistico quel tanto da non lasciare proprio indifferenti i timonieri comunali, con spunti sulle modeste esperienze dell’autore durante circa 20 anni in Costa D’Avorio, storiche presenze scacchistiche irripetibili a Busalla negli anni 50/60, una autolesionistica esercitazione con esempio di imposta patrimoniale immobiliare progressiva, come proposta estrema al risanamento almeno parziale dei conti pubblici italiani.

Viene alla mente che certo non per il contenuto decisamente localistico del libro, non con sensibile riguardo e neppure con semplice curiosità per molti aspetti sulla recente storia di Busalla prese inaspettatamente parte all’incontro con un pubblico limitato ma attento e libero l’Assessore alla Cultura Fabrizio Fazzari evidentemente intenzionato a portare un saluto al vecchio Missionario, si deve arguire, senza averne la certezza, a nome del Comune. Del resto quella mattina c’era anche la Signora Anna Lindner Vice di Maieron della quale, esperta geografa, si constatò l’apprezzamento per l’impegno profuso nella stesura del libro e si esprimeva stima per Don Aldo Viti.

Ricordare avvenimenti abbastanza lontani, ma significativi e istruttivi per capire taluni comportamenti apparentemente non  significativi, può apparire pretestuoso, un modo per criticare prese di posizione solidificate. In realtà serve a giudicare l’operato di chi è preposto a valutare quello degli altri e non sembra proprio equanime.

Ritornato a Bonoua, Don Aldo Viti ha ripreso la sua intelligente attività e proprio ieri è arrivata la notizia documentata da fotografie della collocazione delle 5 campane nel vano loro assegnato del campanile del Santuario Notre Dame de la Garde sulla base di un progetto italiano: quello dell’architetto Paolo Granara di San Bartolomeo di Savignone, lavorando sul campo in misure, consuetudini locali e idee da sviluppare. Don Aldo aggiunge alle fotografie dei mezzi meccanici impegnati ad alzare le campane italiane un breve: le senti le campane? Vieni qui e le sentirai !

CB

DA MASONE A BUSALLA

Se scrivendo un contributo per la ricorrenza del 25 Aprile, a Busalla, capitasse per caso a qualcuno di citare in un patriottico testo la via Giuseppe Mazzini, politico della “Giovine Italia”, nessuno potrebbe considerare tale circostanza come una curiosa originalità, essendo l’ottocentesco personaggio  largamente conosciuto. Stravagante invece è stato probabilmente considerato dal permanente locale Comitato per la  Celebrazione del 25 Aprile una evocazione di Enrico Macciò nella quale l’autore si sofferma incidentalmente , per modeste ragioni di parentela, su una via di Sarissola da molti anni dedicata a Giacinto Macciò.

“Il contabile di Enrico Macciò”, questo il titolo del breve scritto, comparsso su <vallescrivia blog> alla vigilia del 25 aprile stesso, oggetto anche di diretta divulgazione ad un discreto numero di appassionati lettori, aveva oltre che il significato commemorativo della partecipazione attiva alla Resistenza e del conseguente tragico sacrificio della vita di Enrico Macciò, quello di aprire uno spiraglio sulle origini di alcuni rami di famiglie Macciò di Busalla, tra i quali quello per altro già noto di Enrico Macciò stesso.

Ci si rese conto che per confermare l’esistenza di rapporti di parentela già abbastanza sicuri, secondo una tranquilla tradizione orale, occorreva fare qualche istruttiva trasferta a Masone, dove, tra l’altro, se uno non fa di cognome Ottonello, è Macciò! C’era per altro verso la consapevolezza di avviare una ricerca abbastanza semplice,  in Comune della Valle Stura e al Museo Civico del Ferro -Andrea Tubino di Masone, ma i cui risultati potevano apparire  non del tutto assimilabili con quelli ottenuti, sotto lo stesso profilo, nell’elogiato libro <Il padrone sovversivo> Sagep 2014.

In realtà qualche giustificata preoccupazione si sentiva di dover avere circa la lettura del documento che il Comune a Busalla avrebbero potuto fare i custodi della Storia e della Cultura Paesana, assieme ad altri entusiasti come loro della Festa della Liberazione, a fronte, per altro, di semplici constatazioni, di discendenze di dati anagrafici che tendevano, non tanto ad esaltare una Famiglia, come si è tentato miserabilmente di ridurre il contributo, quanto di affermare delle verità sulle origini di Enrico Macciò, sul ricordo lasciato dal padre Benedetto e dallo zio Giacinto, sia a Busalla che a Masone come benefattori, dopo essere stati loro umili manovali della lavorazione dei chiodi, insieme al capostipite, il famoso cespite del Codice che ne tiene molti uniti, Giovanni Battista Macciò. Sensibili alla sofferenze altrui dunque per la loro vicinanza umanitaria ai poveri e agli infermi, tanto da non potersi escludere che Enrico stesso abbia vissuto questa inclinazione famigliare verso la classe dei meno abbienti come un bisogno di cambiare la società ingiusta della quale lui stesso faceva parte.

Poche scoperte nel <Il contabile di Enrico Macciò > che integrano bene quello che di molto organico è stato già scritto del concittadino morto a Mauthausen per essersi opposto attivamente al Regime Fascista. Poche affermazioni sicure dal Comune di Masone che forse per la prima volta viene chiamato a dare un suo modesto contributo per meglio conoscere le radici di Enrico Macciò.

CB