UN TRAGICO DISTACCO

Quando  il sole dei primi di agosto, percorrendo il suo apparente tragitto, si accaniva ancora sopra i prati già ingialliti del Parco della villa Borzino, sulla piazza della Stazione Ferroviaria di Busalla l’aria sembrava ferma, il calore opprimente, l’asfalto già lacerato e ingobbito per una rara manutenzione tendeva a bollire. In quel lontano estate 1944, alla vigilia di avvenimenti decisivi per la Nazione, quando era già intuibile una possibile Liberazione dal Fascismo e dall’occupazione Nazista, per noi ragazzi era impossibile immaginare che il solido Palazzo della Ferrovia dello Stato, sul lato orientale della piazza, sarebbe diventato dopo molto tempo anche sede dell’ Istituto Primo Levi per Ragioneria.

Al centro della piazza aveva facilmente trovato spazio un’aiuola con al centro due pini, di ragguardevoli dimensioni, un piccolo prato arricchito di fiori estivi, protetti parzialmente dall’ombra degli alberi stessi, un curioso chiosco di forme arabesche per la rivendita di giornali, alcune banchine in ferro battuto colorate di verde scuro. Su un lato dello spazioso ristoro, in parte gratificato dall’ombra dei rami dei pini, si apriva una scala di ridotte dimensioni che, scendendo a chiocciola di circa quattro metri, portava ad un locale interrato dove erano stati ricavati due servizi igienici che gli anziani del paese si vantavano di chiamare vespasiani. Si poteva essere certi che tale denominazione dei due cessi,  spesso poco accoglienti e mal curati da limitati pubblici servizi comunali, non derivava da una sia pur  approssimativa conoscenza della storia dell’antica Roma da parte   degli abitanti di Busalla, ma da un semplice passa parola acquisito.

Gram parte degli uomini validi erano in guerra. Molti erano i ferrovieri, uomini esonerati dal servizio militare perché addetti ad un servizio considerato essenziale dal punto di vista militare, o perché troppo avanti negli anni per imbracciare un fucile. La vita scorreva inutile in attesa dei soliti bombardamenti degli aerei alleati, con la speranza che la guerra terminasse e le famiglie si ricomponessero.

Su di una banchina di ferro color verde dei giardinetti della Stazione Ferroviaria, di fronte agli ampi spazi della piazza sottostante la villa Borzino, con le sue carrozze a cavalli, sedevamo, nella tarda mattinata di quasi ogni giorno dell’estate  1944, io e Andrea, di quattro anni più anziano di me, toscano di Grosseto, studente in vacanza, ogni anno ospitato da certi zii residenti da poco a Busalla. Tutti sarebbero disposti a pensare che due ragazzi parlassero, per esempio, di sport o di particolari esperienze di vita a Busalla o altrove. E invece l’argomento preferito delle loro conversazioni era la storia, prevalentemente quella della nascita del fascismo e della sorte dei partiti politici che avrebbero potuto riapparire dopo la caduta del Regime. Quella che ricevevo sotto il pino dei giardinetti era una iniziazione abbastanza severa ed intransigente perché Andrea sembrava provenire più da una scuola di partito che da un Istituto Superiore di Grosseto.  Si era stabilita un’amicizia vera anche perché tra me e lui erano evidenti alcune somiglianze di carattere e, malgrado la differenza di età, di conoscenze e di aspirazioni. Andrea era un ragazzo molto alto, dinoccolato. che guardava sempre in giro quasi aspettasse qualcuno cui dover nascondere verità o segreti impossibili per un giovane come lui. Aveva dei momenti di grande lucidità, altri di torpore, quasi di stanchezza che non facevano però pensare ad una qualche malattia. Io coglievo in quei frangenti di debolezza una ragione legata alla povertà della sua famigli, sia di quella che lo ospitava nella via Vecchia di Busalla, sia di quella che lui stesso confessava essere la sua condizione famigliare a Grosseto.

Dopo ogni incontro attraversavamo il breve tratto tra la banchina colore verde scuro e il Grande Albergo Appenino e,  proseguendo una cinquantina di metri, proprio  davanti alla villa Sciello, svoltavamo a sinistra in via Luigi Nino Malerba, entrando nella parte più vecchia  e più povera  del Paese, disposta parallelamente alla linea ferroviaria dei Giovi  e al torrente Scrivia, allora molto devota a San Rocco nella Chiesetta costruita sulla via principale di Busalla, con particolarmente affollati festeggiamenti il 16 agosto, grazie anche al generale contributo dell’intera popolazione del quartiere.

Un giorno di fine agosto di quel 1944, preceduti da un prolungato fischio della sirena che annunciava il possibile sorvolo di aerei alleati (angloamericani) sulla nostra Valle, comparvero in effetti a volo radente alcuni caccia bombardieri che avevano evidentemente il compito di creare panico rea la popolazione, in mancanza di obiettivi di qualche rilievo a Busalla. Così il dramma si esauriva con qualche bomba sganciata a casaccio e con mitragliamenti a bassa quota di nessuna pretesa bellica , ma pericolosi per persone sfortunatamente esposte casualmente al fuoco.

Sul ponte delle Cascine, dove era salito con i suoi parenti, come molti facevano al fischio della sirena per allontanarsi almeno dalla linea ferroviaria e dalla deserta via principale del Paese, proprio Andrea veniva colpito da una raffica della mitragliatrice di un caccia in picchiata. Ferito gravemente veniva trasportato in Ospedale, non ho mai saputo quale. Non lo rividi più, ne ebbi più notizie di lui.

CB

LASCIARE ARENZANO

Ho assistito all’abbandono di una villa nella Pineta di Arenzano, posta in vendita da amici quando la località da pregiata stava perdendo, più di quindici anni fa, l’originale attrattiva. In quella circostanza non ho riscontrato lacrime, non ho notato ripensamenti e rincrescimenti, ma solo la volontà di trasferire l’investimento in un isola in mezzo al mare, lontana da strade congestionate, allora meta esclusiva di personaggi assai noti e di sporadici tentativi di approdo sulle sue coste di fuggiaschi africani in cerca di libertà.

Anche ricordando la tranquilla esperienza, poi riferita con ricchezza di particolari dai giovani amici alla ricerca di qualcosa di più esotico per l’estate, pensavamo che mettere in vendita la nostra casa di Arenzano, dopo averla posseduta per trenta tre  anni ,non ci avrebbe procurato ripensamenti di sorta.

Non è andata così quando, valutando tra l’altro i crescenti pesi dei trasferimenti da e verso il nostro paese, dovuti anche all’età, decidemmo che la seconda casa di Arenzano, aperta di fatto nell’estate del 1985, come sta ad indicare prosaicamente un tappo di brut legato ad un quadro di Malagò, chiara esaltazione della cucina ligure nella sua essenzialità, risultando poco utilizzata, gravata da costi di amministrazione eccessivi, soggetta  a forme di tassazione sempre più onerose, doveva inevitabilmente essere venduta.

Passeggiando adesso, a cose quasi fatte, nelle caratteristiche vie strette del centro storico e rispondendo ai saluti di molte persone del posto ci si rende conto,  avendone un sottile piacere, che un certo grado di appartenenza ad Arenzano viene apertamente riconosciuto  dagli sguardi di simpatia, forse anche di stima, ci si illude, che sembrano però purtroppo non ripagare i costi eccessivi e la scarsissima utilizzazione dell’appartamento di piazza Golgi. De resto una immedesimazione nelle vicende positive e purtroppo anche in quelle negative della cittadina e dei suoi abitanti era gradatamente avvenuta, facendo conoscenze, aprendo colloqui genuini, frequentando prima i bagni Pizzo  e poi i Miramare durante la stagione balneare, osservando i risultati dell’attività Municipale con un certo interesse e costante discrezione, nell’avvicendarsi puntuale dei Sindaci dopo la reggenza dell’ amico Nazario Gambino durante la quale avvenne l’acquisto dell’appartamento dalla allora solida impresa Mario Valle.

Tanto che l’unica occasione nella quale fummo costretti a preferire Bonassola ad Arenzano fu nell’anno 1991 quando la petroliera Haven s’incendiò e affondò davanti a Capo San Martino rendendo impraticabile turisticamente la bella città del ponente ligure.

Le persone conosciute durante così tanti soggiorni, per quanto di solito piuttosto brevi, sono state molte, appartenenti ad ogni ceto sociale, liguri,  lombardi, piemontesi, in prevalenza, e tutte sarebbero meritevoli di essere ricordate per l’educazione e la cordialità. Soprattutto con i vicini di casa sono ovviamente nati i primi rapporti di conoscenza, in particolare con l’amico Bartolomeo Valle, duttile Alpino in meritato congedo da lungo tempo, sempre disposto ad offrire la sua competente vigilanza. Una simpatica sintonia nacque, non proprio nei primi anni, con il colto, simpatico Gregorio Caviglia libraio di <Sabina>, esercizio che si apre accogliente e ricco di volumi proprio dove via Capitan Romeo s’impenna per sfociare sulla strada che porta al Santuario del Bambino di Praga. Dopo la pubblicazione  dei miei due libri, il primo alla fine del 2014, il colloquio con Gregorio si fece più stretto, forse perché avevo l’impressione di essere entrato, un pò tardi, veramente, nel mondo degli scrittori. In realtà, devo confessare, una mia speranza di vedere presentato il primo < Cronache   dalla Costa D’Avorio>, storia di nostri molti soggiorni, ospiti del Centro per handicappati fisici di Bonoua della Congregazione di Don Orione, in terra di Missione, proprio in una città, Arenzano che è patria straordinaria di tanti Sacerdoti  e Missionari.

Così che “Nemo profeta in patria”, abusato motto latino, sembra valere non solo per il Comune di nascita o di stabile residenza, ma anche per quello che incassa una parte dei tributi imposti sulla seconda casa di proprietà e beneficia degli inevitabili impegni reddituali. Senza sottovalutare che i riconoscimenti vanno in effetti meritati indipendentemente dal possesso di una seconda e più case; vanno conquistati e non ottenuti per semplice simpatia e sapiente uso di divertente dialettica. Molte altre conoscenze, generalmente liguri, risalgono al periodo dei bagni Pizzo quando si arrivava con l’auto nel limitato spazio ricavato sotto la roccia senza che vi fossero preoccupazioni di una incombente frana, Dopo molti anni, proprio nel giorno della classica Milano-Sanremo, una frana metteva fine all’epoca dei Pizzo e di un altro spicchio non da poco dell’economia  arenzanese.

Arrivava per noi il momento dei bagni Miramare con i suoi gestori, la famiglia Sacco, i suoi fedeli frequentatori, la stessa cucina, almeno per un po’ di tempo, quella, assai apprezzata dei vecchi e giovani Mitta. E proprio nel ristorante, durante la stagione estate 2017, una giovanissima arenzanese, Miriam Damonte, universitaria a Pavia, impegnata come inserviente ai tavoli, assieme a Marta, giovane signora, laboriosa madre di tre figli, attiravano la nostra curiosa e rispettosa attenzione. Tanto dall’aprire con Miriam, la giovane dagli occhi luccicanti, un simpatico dialogo destinato addirittura a farla viaggiare con noi, a gennaio 2018, ospiti del Centro handicappati fisici Don Orione di Bonoua,  in Costa D’Avorio, per una sua esperienza originale, anche se limitata nel tempo, che ha messo in evidenza la sua predisposizione per la guida e l’assistenza di minori, anche se affetti da patologie varie assai diffuse in Africa.

Le persone incontrate nella città dei pavoni sono state tante altre, tutte meritevoli di essere elogiate per la gentile ospitalità, commercianti di vicinato, esercenti bar e trattorie, pensionati, parrocchiani,  amministratori comunali. Lasciare Arenzano non significa dunque dimenticare tante persone, tanti volti, tante gentilezze ricevute. La tentazione è quella di racchiudere le immagini di queste persone entro una immaginaria cornice: da un lato il mare e dall’altro i sentieri che salgono  agli incombenti monti del Parco come nella premiata poesia di Angelo Guarnieri.

CB

L’AIUTO PER SMETTERE DI FUMARE

E’ difficile dimenticare le angosce sofferte solo all’idea di dover,  alla fine di  tante incertezze, prendere la decisione,  comunque  vissuta come  una vera rinuncia, di smettere definitivamente di fumare.

Più il ricordo è ricorrente, più l’abitudine di fumare, soffocata dalla volontà, continua ad esercitare nella memoria un suo insidioso fascino. Tanto che la pratica di inalare fumo di tabacco di varia qualità viene sin dai tempi remoti considerato un vizio, circondato da una certa distinzione sulla cui pericolosità si è fatta piena luce solo con studi, indagini scientifiche ed esperienze cliniche prolungate sul campo. Allo stato attuale delle conoscenze, istituti specializzati ed organismi mondiali per la tutela della salute concordano sulla notevole diffusione di ogni genere di patologie ricollegabili al fumo di sigaretta e ad altri elementi nocivi presenti nell’ambiente.

Smettere, o meglio non iniziare a fumare, forse non garantisce una buona vecchiaia, ma rappresenta una polizza assicurativa contro l’insorgere prematuro di malattie. Che poi ammalarsi vuol dire anche impoverirsi, in taluni casi non potersi curare adeguatamente, soffrire e coinvolgere nelle sofferenze familiari e amici.  Significa anche constatare amaramente che il sistema sanitario pende paurosamente per la medicina privata, quella più costosa e riservata al ceto medio e ricco borghese, fenomeno assai accentuato accanto a quello della medicina all’estero, una curiosa forma di delocalizzazione equiparabile a quella capitalistica di capitali e imprese.

Il ricordo della lunga fase di incertezze, di dubbi sulla mia capacità di lasciare il fumo è  dopo tanto tempo ancora  assai vivo a dimostrare la compenetrazione profonda del vizio nell’organismo.

Nel mio caso i primi accenni di una bronchite ostruttiva cronica comparvero sulla quarantina, forse, appena poco significativi,  anche un po’ prima, mentre le sigarette bruciate ogni giorno si aggiravano sulla trentina. I medici consultati, compreso quello di famiglia, erano naturalmente disposti a suggerire controlli radiologici tranquillizzanti, cure adeguate, ma tutti erano concordi nel ritenere indispensabile smettere subito di fumare. Una parola quella di smettere, quando nessuno dei sanitari possedeva la chiave necessaria per vincere lo straordinario bisogno di fumo di sigaretta dopo un periodo pur breve di astinenza. Erano alla portata e venivano consigliati prodotti farmaceutici vari che avrebbero dovuto avere una funzione sostitutiva o, per lo meno, attenuante, del desiderio irresistibile del fumo. Tutto risultava ad ogni tentativo, fatto in due, deludente richiamo alla realtà della forza del fumo, droga definita leggera di difficile abbandono. Si deve poi considerare il fattore ambientale cioè distinguere tra i tentativi portati avanti per anni in ufficio, durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, in condizioni di stress o in vena creativa, a casa, durante il periodo feriale, in stato di pacifica convivenza oppure in evidente sofferenza nervosa. Per constatare che qualsiasi stato psichico, neppure un stato di grazia  accompagnato da chiaro benessere era risultato sinora favorevole per vincere consapevolmente il desiderio di fumare. D’altra parte viene avanzata la tesi che i fumatori sono spesso persone con spiccate valenze nervose e una creatività superiore alla media. Riconoscere che molti uomini di scienza, artisti di assoluto valore, scrittori insigniti di premi prestigiosi, banchieri geniali, capitani d’industria invincibili erano stati fumatori incalliti non mi  liberava dal pensiero che dovevo fare uno sforzo immane per appartenere alla categoria degli ex fumatori.

Così si procedeva in quella fase di mezzo della vita tra grandi impegni seguiti da ottimi risultati, la Laurea conseguita brillantemente a 43 anni, l’incarico di Tesoriere del Comune di Genova, qualche promozione di grado dopo la bella e faticosa  prova data all’Ufficio Consulenza della Banca nello studio e nella divulgazione della Riforma Visentini. Con un originale intermezzo nel 1979 con la candidatura alle Elezioni Politiche Nazionali accettata dalla Segreteria Regionale per puro servizio e conclusasi con uno straordinario 10° su 22. Purtroppo, soprattutto negli ultimi anni di permanenza negli uffici della Banca, i rapporti con il Direttore Generale Giovanni Berneschi  e con il suo Vice Giuseppe Mongiardino non erano certo i migliori per ragioni che tra l’altro riusciva difficile capire. La circostanza, non di poco conto, delle autorevoli ostilità  contribuiva a rendere il clima carico di ulteriori problematicità e tensioni nervose, tale da rendere obiettivamente  più difficile lo smettere di fumare. Delle particolari difficoltà incontrate dopo la nomina a Collettore delle Esattorie della CARIGE e della faticosa convivenza con una Direzione ambigua e incompetente imposta dai due vertici ho sufficientemente raccontato nel mio <Cronache dalla Costa D’ Avorio>  2014, dopo aver elogiato l’opera e la persona di Franco Bovio, amico  gentiluomo. Vale la pena di soffermarsi su alcune pagine delle Cronache per capire che quando l’ostilità preconcetta viene da personaggi così potenti il clima in cui si lavora diventa carico di elettricità negativa, i risultati declinano, certamente vengono meno le condizioni per smettere di fumare. Così si continua, magari fumando meno, e si accetta un altro gravoso impegno: quello di Consigliere Comunale del proprio paese nel 1980 che non contribuisce a rendere la vita più tranquilla.

Si arriva così, con sempre più accentuati sintomi di una cattiva respirazione, agli anni che precedono il pensionamento. Nel 1995 successe quello che era nell’aria da tempo, sapientemente tenuto segreto con una manfrina dei soliti Direttori Generali. Le Esattorie della Carige venivano trasferite ad un Gruppo San Paolo capitanato dal  noto politico democristiano Marco Desiderato. Un strano passaggio di consegne che lasciò Genova e la sua Provincia priva per molti mesi di un minimo  presidio esattoriale, in uno stato di totale disorganizzazione, per ragioni rimaste oscure, anche se in virtù di una norma di legge. Se la cessione di Esattorie in perdita, così come concepita, si prestava a varie critiche e poteva sollevare dubbi di ogni sorta alle Autorità del settore, per me fu inizialmente una liberazione. Per poco, perché in una situazione di assoluta confusione e disorganizzazione, i nuovi padroni diedero sfogo alla loro ostilità verso i nuovi venuti sicuramente istigati dalla Direzione Carige. Questa precaria situazione nella realtà della San Paolo Esattoria mi convinse ad accelerare i tempi per un liberatorio pensionamento

Incominciò una fase nuova, all’inizio non del tutto felice, malgrado la mia volontà di applicarmi in attività congeniali alla mia formazione. Un modesto ritorno alla politica mi consentì  l’assunzione di alcuni incarichi. Riprese forte il desiderio di smettere di fumare anche perché l’intensità del vizio sembrava diminuita. Forse le ripetute permanenze in Costa D’ Avorio, iniziate proprio dopo il pensionamento, presso la Missione di Don Orione a Bonoua, giovò alla causa del vizio da scacciare, immersi come eravamo anno dopo anno, in una società fatta di tanti poveri, insidiati da malattie che non favorivano il ricorso al fumo. Tra un viaggio e l’altro, in vacanza ad Arenzano avvenne una specie di improvviso miracolo. Il ricordo del giorno in cui si smise entrambi di fumare è quello della Madonna dell’Assunta, il 15 agosto. Ci è  invece negato misteriosamente di ricordare l’anno in cui, raccomandandoci al Santo Don Luigi Orione e per suo tramite alla Madonna, ottenemmo l’aiuto sperato e necessario per vincere le resistenze ad abbandonare il vizio.

CB

MIX NEWS BUSALLA

Stanno per entrare nel vivo in Vallescrivia, con una serie di programmate Assemblee, i lavori delle locali Sedi della CGIL -SPI per l’elezione dei delegati ai Congressi intermedi in preparazione di quello Nazionale di Bari previsto per l’inizio del prossimo 2019. Naturalmente le Assemblee della SPI-Pensionati si propongono di esaminare l’operato del Sindacato soprattutto  dall’ultimo appuntamento alla situazione attuale, in tutte le attività svolte secondo le norme statutarie, in vista degli obiettivi che la CGIL Confederale si propone presentando un corposo documento al quale si è dato un nome riassuntivo, affascinante e incisivo: IL LAVORO E’.

A Busalla l’Assemblea si terrà il 25 luglio con la probabile illustrazione di almeno un documento integrativo di quello principale “il Lavoro è”, proprio per riconoscere tutti gli specifici, molteplici aspetti e problemi della categoria, per aprire una libera discussione sui temi del pensionamento in ogni particolare realtà e congiuntura : quelle del passato e quelle del futuro, per votare infine i delegati al Congresso.

Mai come adesso il Sindacato ha assunto una posizione autonoma nella contesa politica, tale da non poter più essere accusato, come nel passato, di una  posizione di collateralismo. Questa distanza, s’intende relativa, della CGIL da ogni partito, non da ogni ideale, dovrebbe favorire una partecipazione numerosa di cittadini interessati di sapere della evoluzione normativa recente e di quella incorso in materia di lavoro e di pensioni.

Viene colta al volo, con indubbia sorpresa, la news che Adelio Broggi sarebbe stato radiato dall’elenco dei soci della Pubblica Assistenza Croce Verde Busallese per aver svolto attività lesive della P.A. stessa. Il definitivo provvedimento, almeno così pare si voglia considerarlo, sarebbe sstato assunto dagli Organi competenti della P.A. in seguito ad una denuncia di Adelio Broggi diretta afar dichiarare irregolare, con tutte le conseguenze del caso, laa “struttura mobile” realizzata a suo tempo sul terrazzo della Sede. E’ indubbiamente sorprendente che Adelio Broggi , attivissimo Presidente del Sodalizio, per tanti anni, primo instancabile attore nella realizzazione della Sede di via Suardi, sia stato giudicato addirittura non degno di ricevere la tessera dell’Associazione. Aprendosi, si immagina, un contenzioso che va ad aggiungersi ai diversi problemi che l’assistenza sanitaria, in tutti i suoi aspetti, tenta di risolvere a Busalla e in Valle Scrivia, si deve auspicare una risoluzione del caso che non umili, ma che non intralci  l’ essenziale operatività della Croce Verde Busallese  e non pregiudichi il suo futuro.

Interessante news viene dall’Oratorio della Chiesa Parrocchiale S. Giorgio di Busalla dove, accatastati in un angolo, sono stati rinvenuti parecchi pacchi  di libri dello scrivente: < Cronache dalla Costa D’Avorio>, li’ giacenti evidentemente dall’inizio del 2014, anno in cui il libro venne presentato nella Sala del Consiglio Comunale di Busalla, con grande interessamento dell’Assessore alla Cultura di allora, Antonello Barbieri, essendo Sindaco di Busalla, alla fine del secondo mandato il Dott. Mauro Valerio Pastorino. La curiosità del ritrovamento di un centinaio e più di quei libri dipende dal fatto che nessuno sa perché siano finiti nell’Oratorio, come noto destinato ad altre conservazioni ed attività. Una spiegazione possibile è che una buona quota di libri sia stata affidata , per una distribuzione quasi gratuita, ad un gruppo di persone volenterose che avrebbero poi versato l’importo realizzato al Centro di Ascolto  Vicariale della Vallescrivia o alla San Vincenzo. Si consideri infine che l’aver affidato i libri da vendere a persone dell’ambito Parrocchiale  era pienamente giustificato dalla circostanza che le <Cronache> hanno un costante punto di riferimento ad una importante struttura della Chiesa nella Missione di Don Orione in Costa D’Avorio dalla quale l’autore muove le sue disinteressate esperienze analizzando quel pianeta sofferente,

Come è stato scritto per la XIV Domenica dell’Anno, per  quanto oppressi  dalla loro umana debolezza   ed incapacità, ciascuno deve accettare i suoi limiti: se i libri non stati venduti, non hanno trovato acquirenti, non si deve farne una colpa all’Oratorio che li ha bene nascosti e conservati.

Colta anche la seguente fuori dagli ambienti destinati alle ordinarie attività di culto della Chiesa Evangelica Missione Busalla, merita di essere segnalata la ripetizione del Busalla Gospel Night con inizio del concerto alle ore 21 del 14 luglio nella piazza Enrico Macciò. Anche quest’anno viene confermato che l’organizzazione della serata sarà a cura della Chiesa Evangelica Missione Busalla, realtà ormai trentennale della nostra Valle, in partnership con Aldea Onlus e la collaborazione dei ragazzi aderenti al progetto: <io sono di Cristo.>

CB

LE CAMPANE DI DON ALDO VITI

Sono trascorsi circa quattro mesi da quando Don Aldo Viti decano della Congregazione di Don Orione è ritornato in Costa D’ Avorio nella Missione di Bonoua dopo il consueto necessario periodo di riposo al Paverano di Genova.

Siamo informati dei vivaci, sinceri, entusiastici festeggiamenti dei tanti giovani della cittadina, assieme ai Missionari, ai Confratelli, ai volontari sulla Collina del Santuario Notre Dame de la Garde, venerdì 18 gennaio scorso, sera, mentre il sole , è stato scritto, tramontava ancora caldo dalla parte di Abidjan, il grande porto lagunare della Costa D’Avorio. C’è chi si chiede come Don Aldo, uomo di 95 anni, con lunghe esperienze di varia responsabilità in Italia, abbia scoperto in Africa il modo più autentico di essere se stesso avvicinandosi con spontanea generosità ai giovanissimi in cerca di una strada, agli ammalati poveri, ai bisognosi.

Probabilmente questa dedizione, per altro coltivata sempre, rientra in un disegno misterioso, inimmaginabile, che pone Don Aldo al servizio della giustizia, di chi è nel bisogno in quel Continente al centro di grandi appetiti, lotte etniche, guerre continue, tanta disperazione e desiderio di fuga verso l’ignoto.

Avevamo incontrato personalmente Don Aldo, prima che partisse, nella saletta della biblioteca comunale di Busalla a gennaio del 2017, il giorno della presentazione del <Il falchetto dello Scrivia>, libro senza pretese, localistico quel tanto da non lasciare proprio indifferenti i timonieri comunali, con spunti sulle modeste esperienze dell’autore durante circa 20 anni in Costa D’Avorio, storiche presenze scacchistiche irripetibili a Busalla negli anni 50/60, una autolesionistica esercitazione con esempio di imposta patrimoniale immobiliare progressiva, come proposta estrema al risanamento almeno parziale dei conti pubblici italiani.

Viene alla mente che certo non per il contenuto decisamente localistico del libro, non con sensibile riguardo e neppure con semplice curiosità per molti aspetti sulla recente storia di Busalla prese inaspettatamente parte all’incontro con un pubblico limitato ma attento e libero l’Assessore alla Cultura Fabrizio Fazzari evidentemente intenzionato a portare un saluto al vecchio Missionario, si deve arguire, senza averne la certezza, a nome del Comune. Del resto quella mattina c’era anche la Signora Anna Lindner Vice di Maieron della quale, esperta geografa, si constatò l’apprezzamento per l’impegno profuso nella stesura del libro e si esprimeva stima per Don Aldo Viti.

Ricordare avvenimenti abbastanza lontani, ma significativi e istruttivi per capire taluni comportamenti apparentemente non  significativi, può apparire pretestuoso, un modo per criticare prese di posizione solidificate. In realtà serve a giudicare l’operato di chi è preposto a valutare quello degli altri e non sembra proprio equanime.

Ritornato a Bonoua, Don Aldo Viti ha ripreso la sua intelligente attività e proprio ieri è arrivata la notizia documentata da fotografie della collocazione delle 5 campane nel vano loro assegnato del campanile del Santuario Notre Dame de la Garde sulla base di un progetto italiano: quello dell’architetto Paolo Granara di San Bartolomeo di Savignone, lavorando sul campo in misure, consuetudini locali e idee da sviluppare. Don Aldo aggiunge alle fotografie dei mezzi meccanici impegnati ad alzare le campane italiane un breve: le senti le campane? Vieni qui e le sentirai !

CB

DA MASONE A BUSALLA

Se scrivendo un contributo per la ricorrenza del 25 Aprile, a Busalla, capitasse per caso a qualcuno di citare in un patriottico testo la via Giuseppe Mazzini, politico della “Giovine Italia”, nessuno potrebbe considerare tale circostanza come una curiosa originalità, essendo l’ottocentesco personaggio  largamente conosciuto. Stravagante invece è stato probabilmente considerato dal permanente locale Comitato per la  Celebrazione del 25 Aprile una evocazione di Enrico Macciò nella quale l’autore si sofferma incidentalmente , per modeste ragioni di parentela, su una via di Sarissola da molti anni dedicata a Giacinto Macciò.

“Il contabile di Enrico Macciò”, questo il titolo del breve scritto, comparsso su <vallescrivia blog> alla vigilia del 25 aprile stesso, oggetto anche di diretta divulgazione ad un discreto numero di appassionati lettori, aveva oltre che il significato commemorativo della partecipazione attiva alla Resistenza e del conseguente tragico sacrificio della vita di Enrico Macciò, quello di aprire uno spiraglio sulle origini di alcuni rami di famiglie Macciò di Busalla, tra i quali quello per altro già noto di Enrico Macciò stesso.

Ci si rese conto che per confermare l’esistenza di rapporti di parentela già abbastanza sicuri, secondo una tranquilla tradizione orale, occorreva fare qualche istruttiva trasferta a Masone, dove, tra l’altro, se uno non fa di cognome Ottonello, è Macciò! C’era per altro verso la consapevolezza di avviare una ricerca abbastanza semplice,  in Comune della Valle Stura e al Museo Civico del Ferro -Andrea Tubino di Masone, ma i cui risultati potevano apparire  non del tutto assimilabili con quelli ottenuti, sotto lo stesso profilo, nell’elogiato libro <Il padrone sovversivo> Sagep 2014.

In realtà qualche giustificata preoccupazione si sentiva di dover avere circa la lettura del documento che il Comune a Busalla avrebbero potuto fare i custodi della Storia e della Cultura Paesana, assieme ad altri entusiasti come loro della Festa della Liberazione, a fronte, per altro, di semplici constatazioni, di discendenze di dati anagrafici che tendevano, non tanto ad esaltare una Famiglia, come si è tentato miserabilmente di ridurre il contributo, quanto di affermare delle verità sulle origini di Enrico Macciò, sul ricordo lasciato dal padre Benedetto e dallo zio Giacinto, sia a Busalla che a Masone come benefattori, dopo essere stati loro umili manovali della lavorazione dei chiodi, insieme al capostipite, il famoso cespite del Codice che ne tiene molti uniti, Giovanni Battista Macciò. Sensibili alla sofferenze altrui dunque per la loro vicinanza umanitaria ai poveri e agli infermi, tanto da non potersi escludere che Enrico stesso abbia vissuto questa inclinazione famigliare verso la classe dei meno abbienti come un bisogno di cambiare la società ingiusta della quale lui stesso faceva parte.

Poche scoperte nel <Il contabile di Enrico Macciò > che integrano bene quello che di molto organico è stato già scritto del concittadino morto a Mauthausen per essersi opposto attivamente al Regime Fascista. Poche affermazioni sicure dal Comune di Masone che forse per la prima volta viene chiamato a dare un suo modesto contributo per meglio conoscere le radici di Enrico Macciò.

CB

IL RITORNO DI PEPE CARVALHO

Era già stato in Vallescrivia almeno un paio di volte, in questi ultimi anni, Pepe Carvalho, suscitando sempre interrogativi interessanti. Nessuno immaginava che ricomparisse a Busalla proprio il giorno della Solennità di Pentecoste, lui che nato, come lo scrittore Vasquez Montalban che lo fece diventare famoso, nel quartiere Raval di Barcellona, povera periferia antifranchista, un mondo di perdenti della Guerra Civile, atei, vagabondi mutilati. delusi dalla rivoluzione. Pepe Carvalho era sempre alla ricerca della verità e il suo arrivo quando la Chiesa universale, nella quale lui cercava di credere, si affermava come l’antifigura della Torre di Babele non poteva avere un significato per gli scopi che hanno portato l’anziano detective dalla Catalogna in bilico all’entroterra genovese. Non poteva essere casuale infatti che, riprendendo i fili annotati di una per altro inutile ricerca fatta un  paio di anni prima, ha voluto ancora andare alla ricerca di un prete, Don Cicci Pastorino, la cui fama di bontà era almeno pari a quella di usare sovente uno slang discutibile che lo poteva far apparire in contraddizione con la sua dedizione, quasi missionaria, per i giovani drogati, i poveri sistemici,  al punto da considerarlo, almeno per i laici come Pepe, in odore di santità.

Non poteva infatti essere casuale che vagando con la vecchia Mercedes, presa in prestito a Torino in una grande rivendita vicina, altro caso, al Duomo dove viene conservata la Sacra Sindone, trovò, non proprio senza difficoltà,  in Valbrevenna, un dipendente di quel Comune pronto a chiarire che Don Cicci aveva purtroppo esaurite le sue energie vitali e veniva ospitato con cura alla Castagna di Don Orione di Genova.

L’aria frizzante dell’Antola, filtrata dal polmone verde della Valle percorsa dal limpido torrente Brevenna, gli aveva accentuato l’appetito. Ritornando verso l’Albergo di Busalla, dove alloggiava in prossimità dello svincolo autostradale, non mancò di passare con soddisfazione dalla frazione di San Bartolomeo di Savignone, dedicata ad un Santo, lui che sta facendo sforzi enormi per essere un vero credente, che non gli è indifferente anche perché ad esso è devota una sua cara vecchia zia materna di Madrid . Non cerca il ristorante sulla Guida, il suo intuito lo porta nel centro di Busalla. Pepe Carvalho è gastronomicamente inclassificabile: alla base dei suoi gusti c’è il ricordo di una cucina popolare povera, essenziale, ma lui sa apprezzare anche tentativi riusciti di una cucina di avanguardia. Pepe non ama cenare da solo, cerca sempre una compagnia, preferibilmente femminile. La trova in una Signora sola nell’hotel attratta dall’anziano signore catalano secondo una legge non scritta che gli uomini misteriosi ono calamite per le donne senza impegni fissi. E proprio alla Signora, durante la tranquilla cene,  Pepe Carvalho svela le ragioni del suo ritorno in Vallescrivia e il contenuto dell’incarico ricevuto da soggetto da non nominare di Busalla per il recupero della Medagli d’oro al Valore Militare conferita al Partigiano Salvarezza Giuseppe “Pinan”, di Sarissola, sottratta misteriosamente al Comune di Busalla.

Pepe Carvalho sa delle polemiche anche recentemente sollevate su  presunti contrasti tra nime diverse e a volte confliggenti all’interno del movimento Partigiano, sino al punto di ipotizzare l’eliminazione fisica di compagni di lotta scomodi, a liberazione avvenuta. Raccoglie informazioni ovunque vi possa essere l’interesse a ritrovare la preziosa Medaglia, ma si fa convinto che l’offesa subita dalla Comunità Busallese-Sarissolese non sia stata poi così grave se è vero, come sembra chiaro, che a distanza di qualche mese dall’evento non se ne parla assolutamente più. Pepe Carvalho non esclude l’offesa all’ ANPI, che non è tra l’altro il soggetto che lo ha investito dell’indagine privata, ma propende per il gesto poco nobile di una persona che adesso si troverebbe nella seria difficoltà di restituire la Medaglia. L’anziano detective è infatti convinto che durante un sonno agitato, per esempio successivo ad una cena abbondante con libagioni esagerate, o al risveglio di una eventuale anestesia un malcapitato possa rivelare qualsiasi bruciante segreto, e che il ladro ne sia assolutamente consapevole.

Pepe Carvalho, direttamente chiamato all’uopo da Barcellona, o per interposta persona di sua assoluta fiducia, si offre come disinteressato intermediario, per una segreta consegna della Medaglia”Pinan” al Sindaco Loris Maieron , nel luogo e all’ora che il Primo Cittadino di Busalla riterrà più convenienti.

CB

DON ALDO VITI RITORNA IN COSTA D’AVORIO

Come era stabilito a gennaio scorso, Don Aldo Viti Missionario di Don Orione in Costa D’Avorio si prepara a lasciare l’ospitale Paverano di Genova per ritornare a Bonoua nella casa Africana della Congregazione da dove Don Aldo, dopo la costruzione del Santuario <Notre Dame de la Garde>, continua a sostenere iniziative e a curare evangelizzazione.

Già si preannunciano vivaci festeggiamenti sulla Collina del Santuario della cittadina di Bonoua peer il suo arrivo previsto per il tardo pomeriggio di venerdì 18 prossimo. Saranno soprattutto i bambini della parte più povera  di Bonoua a far sentire la loro gioia sincera, a dare il benvenuto al Missionario che interpreta il Vangelo dando aiuti e attenzione a chi è nella miseria, nella sofferenza, con particolare riguardo ai giovani, sostenendoli ai vari livelli scolastici con tutti i mezzi a disposizione.

Viene il dubbio che a Busallanon siano poi molti coloro che hanno avuto l’opportunità di conoscere personalmente Don Aldo Viti e che perciò abbastanza superflua possa apparire la notizia del suo ritorno  in Costa D’Avorio per un altro ciclo africano al Noviziato della Collina, avendo compiuto il 17 aprile scorso la bella età di 95 anni. In effetti, però sovviene che Don Aldo Viti era a Busalla, nella saletta della biblioteca comunale, gentilmente concessa, il 28 gennaio 2017, giorno della presentazione del mio <Falchetto dello Scrivia>, libro che mostra scorci interessanti della Costa D’Avorio e della Missione di Don Orione nel sud est di quel Paese monsonico, insieme naturalmente a molti brevi sul nostro Comune, la sua storia recente, i personaggi meritevoli di menzione, qualche capriccio di pensionato, numerosi sguardi alla Vallescrivia  e alcuni spunti  sulla Città di Arenzano.

Di fronte ad un pubblico certamente non numeroso, ma interessato c’era stato, tra l’altro irritualmente (non previsto dal programma),  ma molto gradito, l’intervento dell’Assessore alla Cultura di Busalla Fabrizio Fazzari, a dimostrare, almeno così era logicamente sembrato, l’interesse dell’Amministrazione per gli argomenti ( magari non tutti) non banali del volume e soprattutto per la straordinaria presenza del Vecchio Missionario, costretto ad alternare periodi immerso nel clima sub sahariano a soste di riposo e cura in Italia. Questa particolare, positiva circostanza della partecipazione all’evento, durante il cui svolgimento lo stesso Padre Aldo Viti prese la parola, non per tessere elogi od eccessivi ringraziamenti, ma per fare il punto sulle attività svolte dalla Missione di Don Orione a Bonoua e dintorni, suggerisce un cauto ottimismo sul favore con cui la notizia della sua partenza può essere percepita da molti più amici di quelli presenti nella saletta della biblioteca Bertha Von Suttner, Chiappa 1, di quella mattina di gennaio 2017. E anche più di quelli che lo hanno conosciuto attraverso la lettura del libro in fabula e di un altro mio precedente, <Cronache dalla Costa D’Avorio>, frutto di dirette ripetute, coinvolgenti esperienze sul terreno, nel quale lo sguardo si allarga il più possibile ad una realtà assai complicata: quella della Costa D’Avorio, soprattutto alla sua parte di sud est, alle etnie della zona, ai suoi contrasti sociali, alle sue contraddizioni politiche e alle sua possibilità di riscatto completo dopo i danni di un colonialismo superato, ma non del tutto, alle sue innegabili ricchezze e alla possibilità di una crescita culturale e democratica.

CB

BIANCANEVE SI CANDIDA

Dopo che su web un opinionista ha fatto chiaramente capire che sarebbe forse giunto il momento di proporre alla carica di Sindaco di Busalla una donna, ad alcuni segnali, appena percepibili, di condivisione di tale auspicio, sono seguite categoriche assicurazioni di giuochi ormai fatti, dove le donne comunque sarebbero chiamate solo a votare un Sindaco uomo.

Eppure, eleggere una donna a Sindaco di Busalla potrebbe rappresentare per il conservatore e distratto Paese del Fondo Valle, tormentato snodo cruciale della Vallescrivia, una prima valida cura, una scossa benefica contro l’immobilismo ereditato da molte delle  amministrazioni sin qui sperimentate. Per chi tende a privilegiare, forse intelligentemente, soluzioni lontane dalla politica dei Partiti e manifesta questa tendenza preferendo legittimamente godersi gli eventi locali di qualche interesse ludico, di sport, di giusta attenzione per i giovanissimi, la soluzione ideale potrebbe essere quella di BIANCANEVE SINDACO, avendo, e non è poco, i 7 NANI a disposizione come Assessori di una Giunta all’insegna della gioia, in una comunità felicemente rinnovata, capace di superare di incanto  le criticità attuali di Busalla

Per chi non crede, purtroppo, nelle favole, la ricerca della donna da elevare a primo cittadino di Busalla dovrebbe avvenire con particolare riguardo alla professionalità, all’impegno sempre dimostrato nel pubblico e nel privato, al così  detto polso che nelle donne sa essere irriducibile come quello dei PILOTI DI FORMULA 1. L’idea che vi possa essere a Busalla una Signora in grado di svolgere con imparzialità e competenza, preferibilmente risultando svincolata da Partiti, il ruolo di Sindaco, dopo che sia concluso il mandato in corso di Loris  Maieron, ha turbato i sonni di  possibili candidati per il momento occultati dietro ampi, comprensibili dinieghi, ma probabilmente già rassicurati da influenti appoggi. Del resto è presente la convinzione che Busalla non sia ancora pronta ad avere un Sindaco donna e si sostiene che proprio le donne del Paese sarebbero le più critiche e intransigenti nel rifiutare tale innovativa soluzione amministrativa.

Chi ha conoscenza dell’evolversi delle esperienze amministrative a Busalla successivamente alla Liberazione ricorda che dopo il primo Sindaco eletto, un Partigiano Comunista, la Democrazia Cristiana, avvalendosi anche di una capillare organizzazione e beneficiando dell’arrivo di un elevato numero di Istriani fuggiti dalle angherie delle milizie di Tito, riuscì a rovesciare definitivamente i rapporti di forza e a diventare punto di riferimento del ceto borghese, del padronato industriale assai rilevante a Busalla, nonché delle organizzazioni parrocchiali sulle due sponde dello Scrivia. La DC governò da sola per diversi mandati, finché anche in conseguenza degli sviluppi nazionali, ritenne di accogliere nella maggioranza comunale socialisti e socialdemocratici (poi diventati indispensabili in Consiglio) dando vita al così detto Centro Sinistra e lasciando all’opposizione il solo PC. L’aver per tanti anni avuto maggioranze comunali uniformi, per molti aspetti disponibili in larga misura ad operazioni intraprese sul territorio da una classe imprenditoriale aggressiva, senza la richiesta di consistenti contropartite da parte del Comune, ha sicuramente contribuito a lasciare una pesante eredità negativa che condiziona l’esito di qualsiasi politica di rigenerazione di Busalla. Bisogna prendere le mosse dalla storia delle lontane contrapposizioni dei partiti e dalle scelte operate nel tempo dalle amministrazioni comunali per ammettere che l’idea di una Donna Sindaco a Busalla, dopo le consultazioni del 2019, non può essere classificata solo come originale, ma presupposto di un serio tentativo di rigenerare l’Ente.

CB

IL CONTABILE DI ENRICO MACCIO’

SCRITTO PER L’ANNIVERSARIO DEL 25 APRILE 2018

Il contabile della viteria di Sarissola della quale era titolare Enrico Macciò si apprestava ad attraversare di fretta il ponte sullo Scrivia, una gelida mattina di uno dei primi giorni di dicembre dell’anno 1940, diretto alla Stazione Ferroviaria di Busalla. Prima di imboccare il ponte, con la mano libera, l’altra reggeva una cartella di cuoio piuttosto consunta, si era tolto il capello per salutare Francesco Macciò, cugino del suo datore di lavoro, fermo sul portone del suo magazzino di rivendita di ferro, proprio dove si concludeva via Navone, anche quella mattina in attesa che ritornasse dal giro obbligato con Tom, il grosso cane boxer, Giuan U Quaranta incaricato delle spedizioni di ferro dalla Piccola Velocità Ferroviaria. Un forte vento di mare accompagnava una burrasca già nelle prime ore di quella mattina tardo autunnale, ma non nevicava. Il contabile sarebbe volentieri rimasto in fabbrica, vicino alla stufa, che le cose da verificare erano parecchie, ma il Signor Macciò doveva far avere certe carte ad un particolare indirizzo di Sampierdarena, proprio vicino al palazzo comunale, scritto su un foglietto a parte dal titolare. Non fu un trasferimento facile, a metà del ponte una anomala folata di vento gli sradicò il cappello dalla testa pelata, il cappello volò via e miracolosamente non finì nello Scrivia. Il contabile arrivò trafelato all’altezza dell’antica farmacia Lasagna, salutò il Dottor Pino e si apprestò all’ultimo sforzo per raggiungere la Stazione. I treni andavano in perfetto orario, non si poteva fare affidamento su ritardi dovuti alla neve  e al vento. E poi c’era l’incarico fiduciario della busta da recapitare che il contabile intuiva contenesse documenti estranei alla vita dell’opificio del quale lui era fidato dipendente da diversi anni.

Del frequente passaggio del contabile di Enrico Macciò di fronte al magazzeno del ferro e del cordiale scambio di saluti succedeva che Francesco Macciò riferisse casualmente in casa, durante le pause e al momento del pranzo. In famiglia tra l’ altro tutti avevano, secondo una costante tradizione orale, considerato che Enrico Macciò fosse il loro cugino o, per meglio dire, il cugino di tutti i i figli di Giacinto Macciò nato il 23/2/1852 a Masone, da Macciò Giobatta e Macciò M. Caterina, come il fratello Benedetto Giuseppe nato il 30/4/1848, anche lui a Masone, abitando la famiglia nel quartiere “Autra di qua” del paese, prima che si trasferisse a Busalla, lui chiodando, lei filatrice, come risulta da preziose notazioni di un Frate a favore dell’archivio del Comune di Masone e da quest’ultimo rese adesso disponibili per una puntuale verifica. Viene confermato che il trasferimento a Busalla dell’intera  famiglia Macciò Giobatta (7 figli dei quali 2 morti in età infantile) venne dettato dalle difficili condizioni di vita e dalla speranza di dare più proficuamente il via alla realizzazione di attività imprenditoriali nella lavorazione e nel commercio di materiali ferrosi. Poi cresciute entrambe in modo esponenziale nel periodo della prima guerra mondiale e dopo di essa a seguito del loro coinvolgimento in forniture per l’esercito prima e nella disponibilità di acquistare materiale da convertire ad usi privati poi.

Benedetto Giuseppe e Giacinto Macciò erano dunque due fratelli, personaggi cruciali per la definizione dei rapporti di parentela, e non solo di quelli, dei quali si occupa, con impegno e con ricchezza di interviste, il bel libro <Il padrone sovversivo> edito Sagep 2014 ( Autori: Mauro Valerio Pastorino- Lorenzo Torre-Giovanni Traverso). E’ appena il caso di notare che Giacinto Macciò ( dal quale nacquero 4 figli: Giovanni Battista- Giacinto- Caterina- Benedetto Francesco),  morto a Busalla il 7/3/1928, coltivava in vita larghissimi rapporti commerciali, tanto da possedere l’ abbonamento Ferroviario per tutta la Rete Italiana e risultare, senza che l’Ufficio archivio e stradario del Comune oggi lo sappia, intestatario di una via a Sarissola per riconosciuti meriti di benefattore. Del resto anche Benedetto Macciò e lo stesso Giacinto non dimenticarono il paese di origine, tanto che anche a Masone due strade ricordano la generosità verso i più sfortunati dei due fratelli che a Busalla avevano trovato lavoro, fortuna e costituite nuove famiglie.

Di Enrico Macciò, rispetto al quale tutte le considerazioni svolte intorno alla sua genealogia sembrano rilevanti per conoscere le radici sostanzialmente umili della sua provenienza, le attitudini, le inclinazioni, si sono invece occupati storici, politici per illustrare la sua complessa personalità, per capire fino in fondo le scelte fatte a sostegno di una parte sociale che poteva apparire estranea al suo mondo, per le amicizie coltivate pericolosamente durante il Regime Fascista e per le sue iniziative sovversive durante la Lotta di Liberazione sino alla sua improvvisa deportazione nel campo di Bolzano e poi in quello di sterminio di Mauthausen, sino alla sua morte sopraggiunta nel 1945 in modo drammatico.  Di Lui si conoscono oggi molti particolari della sua vita, dei suoi gusti, delle sue frequentazioni, delle sue amicizie formative di una coscienza addirittura rivoluzionaria così lontana dal mondo imprenditoriale e borghese di allora. E’ sembrato di poter fare ancora un modesto servizio alla memoria di Enrico Macciò  volgendo lo sguardo alle sue origini, a talune vicende e a qualche interrogativo sorto in ordine alla sua parentela e a presunte responsabilità sulla sua cattura, da parte sella Milizia Fascista,  a dicembre del 1944. Tra l’altro dal 1945, anno della morte di Enrico Macciò, sino agli anni ottanta del secolo scorso,nella Villa, di proprietà dell’imprenditore sino all’ apertura della successione, era rimasta la vedova Signora Adalgisa Repetto, circondata dall’affetto dei suoi parenti. La Villa rappresentava una specie di scrigno ancora da aprire per conoscere meglio il proprietario morto eroe della Resistenza.

Successivamente all’acquisto della Villa di Enrico Macciò da parte del Comune di Busalla,  si volse prioritaria attenzione al recupero strutturale della Villa stessa, confidando su uno scrupoloso esame già effettuato di ciò che il particolare de cuius aveva lasciato e che andava attentamente esaminato. Chi cedeva la proprietà al Comune era la figlia della sorella della Signora  Adalgisa Repetto, moglie e vedova di Enrico, ossia la cortese Signora Sara Pertile Costaguta, affine di Enrico Macciò. Tanto più che Enrico Macciò, non avendo avuto figli, essendo presumibilmente morto senza aver predisposto un testamento, e non essendovi legittimari, i suoi beni, mobili e immobili, andarono alla vedova Adalgisa Repetto, compresi tutti i documenti esistenti nella Villa di cui l’erede e i suoi famigliari ebbero completo ed esclusivo dominio, ben prima che il Comune di Busalla acquistasse l’immobile dagli eredi e anche prima che qualcuno vi corresse con encomiabile spirito di ricercatore storico. Per giustificare, semmai ve ne fosse il bisogno, la circostanza dell’ assenza di un testamento, per esempio olografo, si deve riconoscere che il carattere di Enrico Macciò era sostanzialmente volto “all’ottimismo della volontà” e che,  malgrado Egli svolgesse pericolosa attività contraria al Regime, niente lo frenava dall’assumersi rischi crescenti senza pensare che la sua vita potesse spezzarsi di colpo. Quella casa era stata, è noto e documentato, un importante centro di attività clandestina e sovversiva, Enrico vivente, soggetta forse al discreto controllo della Polizia Fascista, e malgrado il costante pericolo, dedita, soprattutto dopo il settembre del 1943 al sostegno fattivo delle Bande Partigiane in montagna. Ma anche luogo discreto e generoso di accoglienza di personaggi antifascisti ricercati dalla Milizia Fascista

Ricorda queste semplici notizie il bollettino del “Ventennale della Liberazione 1945-1965” assieme alla testimonianza del poeta intellettuale Sem Benelli, poi ripresa dal citato volume <Il Padrone sovversivo>  assieme ad altre, con lucidità e ricchezza di elementi, per tentare di penetrare nell’intimo di Enrico Macciò , di capirne la profondità e la sincerità della dedizione alla causa del Partito.  Chi trovò dimora nella Villa dell’antifascista industriale busallese lo descrive in definitiva come uomo dal portamento ardito, avventuroso, buono, cavalleresco.

Macciò Enrico nacque a Busalla il 13 novembre 1883 da Macciò Benedetto Giuseppe e Morotino Luigia, avendo come fratelli Macciò Gisberto e Macciò Riccardo. Zio di Enrico era Macciò Giacinto, coniugato con Maria Vittoria Martignone, cugini tutti i figli nati da questo matrimonio e i loro discendenti diretti, in un rapporto di legale parentela. Non se ne tenne conto da parte del Comitato 50° della Liberazione quando il 25 aprile 1995 venne con grande ufficialità affissa una bianca lapide marmorea (e quasi parlante) nelle mura dell’Industria Bundy (ora T.I. Automotive) dove un tempo ormai lontano aveva sede la viteria di Enrico Macciò, dalla quale prendeva le mosse il contabile dell’opificio quando andava svelto alla Stazione Ferroviaria di Busalla per assolvere gli incarichi ricevuti dal suo titolare. Tra l’altro non sembra aver avuto alcun rilievo, e non doveva comunque averlo, al riguardo la circostanza della quale si è sentito parlare di un parente che avrebbe seri dubbi sull’antifascismo di Enrico Macciò, propendendo, costui, per un doppio gioco del Macciò, che per altro lo portò dritto allo stabilimento di Mauthausen, come non si voleva dimostrare! Del resto, gli autori del corposo e pregevole <Il Padrone sovversivo>, pur avvicinandosi, attraverso una penetrante ricerca, con interviste di notevole interesse come quella alla Signora Martelli, amica di Olga Tavazza, moglie di Benito Macciò, Signora ora novantenne residente a Roma, lucidissima nel ricordare il rispetto parentale per i figli di Giacinto da parte appunto del marito Benedetto Benito figlio di Riccardo Macciò ; oltre che per i molti amici di Busalla che capitavano ospiti negli alberghi di gran lusso da Lui diretti, sino al momento della sua morte prematura avvenuta nel 1979 a Roma.

Le genuine testimonianze di un gentiluomo come Benito Macciò, che aveva larga conoscenza del mondo, ma che era rimasto legato al suo Paese, alle sue radici rendono rendono tra l’altro evidente il perché la Signora Adalgisa Repetto vedova di Enrico Macciò lo avesse sempre chiamato appropriatamente “caro nipote”.

Scritto con la disponibilità Ufficio Archivio Comune di Masone

CB