Libri Rari & d’Occasione by Libreria Aiace Roma Montesacro

Trompe L'oeil

Trompe-l’œil: Tecnica pittorica che crea illusione ottica

Il trompe-l’œil ( letteralmente “inganna l’occhio” ) è un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell’osservatore l’illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali, in realtà dipinti su una superficie bidimensionale. Il trompe-l’œil consiste tipicamente nel dipingere un soggetto in modo sufficientemente realistico, da far sparire alla vista la parete su cui è dipinto. Ad esempio, il trompe-l’œil trova il suo campo nella rappresentazione di finestre, porte o atri, per dare l’illusione che lo spazio interno di un ambiente sia più vasto. Se ne hanno esempi già nell’antica Grecia, nella società romana e nelle epoche successive, fino all’arte contemporanea. L’espressione trompe-l’œil pare sia nata nel periodo barocco, sebbene tale genere pittorico sia di gran lunga precedente ( si rammentino, ad esempio, opere come la Camera degli Sposi del Mantegna a Mantova, o il finto coro di Santa Maria presso San Satiro a Milano, del Bramante ). Dal punto di vista tecnico, il trompe l’œil richiede un’assoluta conoscenza del disegno, delle regole prospettiche, dell’uso delle ombre e degli effetti di luce, oltre alla perfetta padronanza dell’uso del colore e delle sfumature, tecniche ben precise e rigidamente sottoposte a regole matematiche e geometriche per ottenere l’effetto voluto. Lo studio del punto di vista dell’osservatore rispetto al dipinto è fondamentale. Pertanto, subito dopo avere scelto la superficie su cui operare l’intervento, l’artista dovrà individuare i punti di vista privilegiati, ossia i punti di vista da cui generalmente si osserva quell’area. Per esempio, se si decide di collocare il dipinto sulla parete di una stanza che sta di fronte alla porta di ingresso, si costruirà l’opera pittorica in modo da “ingannare” la percezione visiva di colui che entra nella stanza. Se l’artista desidera creare un’illusione prospettica, dovrà inoltre collocare il punto di fuga dell’immagine pittorica in corrispondenza del punto di vista dell’osservatore. L’illusione ottica è particolarmente efficace se l’osservatore si pone al centro della stanza, in corrispondenza del punto di fuga. È fondamentale, per raggiungere il massimo dell’illusorietà pittorica, tener conto delle reali sorgenti luminose dell’ambiente, la loro natura e la loro direzione, in modo che il soggetto rappresentato appaia come illuminato da quelle luci. ( Wikipedia )

Prigionieri italiani nei campi di Stalin

Il ritorno dei prigionieri, tra la seconda metà del 1945 e l’estate ’46, avvenne per lo più nell’indifferenza generale: troppe erano le ferite da rimarginare nel paese; al Nord tutti avevano combattuto o sofferto la guerra civile; ovunque la gente era impegnata nella ricostruzione e non c’erano né tempo né moti di compassione per i reduci dai lager sovietici. Di quel periodo dà oggi un quadro generale, in una ricostruzione efficace e convincente, Guido Crainz. Ad attendere i rimpatriati, pressoché a ogni arrivo alle stazioni delle diverse città, c’erano i genitori e le spose dei militari “dispersi”, di cui non si avevano più notizie, che mostravano ai reduci le fotografie dei loro cari domandando se li avevano visti e se ne sapevano qualcosa.

Il problema dei prigionieri italiani in Urss determinò nella popolazione forti tensioni sin dai primi passi compiuti dal governo Bonomi nel Regno d’Italia liberato dagli Alleati, nell’estate 1944; il motivo stava evidentemente nella assoluta mancanza di notizie su tutti i dispersi, di cui non si sapeva se fossero ancora vivi e prigionieri o se fossero morti e dove. L’esame delle carte diplomatiche italiane da quell’anno 1944 fino al 1954, compiuto di recente, ha dimostrato che il governo italiano, pur nella frammentarietà delle notizie, era tuttavia a conoscenza con una certa precisione che i prigionieri detenuti dai sovietici erano in numero ben minore di quanto l’opinione pubblica italiana sperasse. La questione dei prigionieri in Urss era trattata con particolare cautela, sia per la precaria posizione dell’Italia, almeno sino alla definizione del trattato di pace, sia per la difficoltà di rapportarsi con uno Stato molto diverso per forma di governo, per costumi e per ideologia, che considerava i prigionieri di guerra (compresi i propri cittadini detenuti in quel momento da altre potenze) come traditori della patria indegni di qualsiasi forma di attenzione. ( Tratto da Biblioteca Persicetana )

 

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Uguaglianza e Lavoro: la Società ideale di San Leucio

Una vera e propria società ideale sancita dalle “leggi del buon governo” di quello che è noto come “Il Codice Leuciano” di Ferdinando IV Re delle Sicilie. Si tratta delle emanazioni reali che sancivano le modalità comportamentali degli abitanti della Real Colonia ispirate al dispotismo illuminato della fine del ‘700.

Il sito di San Leucio era stato acquistato dai Borbone come residenza di caccia ma Ferdinando, dopo la morte prematura del suo primogenito, lo adibì a sito per la lavorazione su scala industriale della seta. Oltre alle abitazioni per i lavoratori, il progetto prevedeva strutture educative e sanitarie. Una siffatta città ideale necessitava di un codice di leggi contenente i principi fondamentali che avrebbero dovuto guidare la comunità e favorirne il florido sviluppo. Fu così che nel 1789 nacque lo Statuto di San Leucio o Codice Leuciano, un chiaro esempio di dispotismo ispirato ad ideali di uguaglianza sociale e di solidarietà. Diverse fonti riportano che il codice fu redatto dall’intellettuale Antonio Planelli, appartenente all’entourage della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena.

Il Codice Leuciano è composto da 5 capitoli e 24 brevi paragrafi e descrive una società fondata sulla pari dignità tra i lavoratori e sul merito.

“Essendo voi dunque tutti Artisti, la legge che Io v’impongo, è quella di una perfetta uguaglianza”, si legge nel codice, l’unica distinzione tra i lavoratori è quella “che deriva dal merito”. “Nessun di voi pertanto – prosegue – sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrassegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A quest’oggetto per evitar la gara nel lusso, ed al dispendio in questo ramo quanto inutile, altrettanto dannoso, comando che il vestire sia uguale in tutti”. ( Tratto da CasertaNews.it )

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I Nobili Spiriti: Pascoli D’Annunzio e le Riviste dell’ Estetismo Fiorentino

I nobili spiriti cosí suggestivamente dipinti da Pascoli e assurti a dignità titolografica nel libro di Oliva sono i frequentatori del circolo culturale animato da Angiolo Orvieto intorno alla rivista fiorentina Marzocco; raffinati esteti rosi dal tarlo della poesia e della Bellezza , definisce l autore questi giovani intellettuali appassionatamente orientati al recupero di un ideale artistico epurato degli eccessi del tecnicismo positivistico. Vale la pena di seguire passo passo il dipanarsi dei capitoli per meglio comprendere metodologia, qualità e valore dell operazione analiticamente condotta dal critico. Le prime due sezioni del volume sono dedicate rispettivamente ai nuovi goliardi , giovani smaniosi di sapere, dediti al nomadismo intellettuale, che si muovevano tra storicismo e carduccianesimo, redattori della rivista da cui essi prendevano nome (il cui programma si leggeva nel fascicolo d apertura, 1877), seguaci del Bartoli, del Trezza, del D Ancona, e spesso non indifferenti al verbo socialista di Andrea Costa. Accomunati nel segno del ribellismo bohémien, generoso anche se un po folkloristico, e rinnovatori dell aria stantia di biblioteca , ce li dipinge un comprimario di quegli anni, Giulio Salvadori, che militerà poi nella fila degli animatori dei fogli romani sorti dietro l impulso del bizantino Angelo Sommaruga: raccolti in tre grosse divisioni, ripartiti in cento altre minori, sotto cento bandierine di carta, i ribelli furono in arme . Battaglieri contro gli sdilinquimenti della letteratura rosa di un Ferdinando Fontana, nemici del sentimentalismo deamicisiano, schierati a difesa di Carducci (di cui la rivista fiorentina ospita il Preludio delle Odi barbare) in opposizione ai suoi detrattori, tra cui il vate catanese Mario Rapisarda. Agiva in essi infatti anche l eredità degli studi severi di filologia ed erudizione di cui alti esempi Pascoli, D Annunzio e le riviste dell estetismo fiorentino 299 aveva fornito il poeta e critico cui facevano prevalentemente riferimento; eredità che trovava espressione nel prezioso lavoro informativo e divulgativo che tali goliardi dell età moderna svolgevano stilando schede, recensioni, presentazioni e sommari delle maggiori pubblicazioni periodiche italiane ed europee (di paleografia, linguistica, storia…), cosí ragguagliando i lettori sulle novità librarie, sprovincializzando cultura e gusto e preparando il campo per altri gruppi vitalissimi a Firenze, quello costituito dai redattori della Vita Nuova (Angiolo Orvieto, Giuseppe Andrea Fabris, Severino Ferrari, Ugo Fleres, Giovanni Marradi, Guido Mazzoni, Cesare Musatti, Giovanni Pascoli…), e quello del cenacolo del Marzocco  ( Tratto da Rita Verdirame )

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Il Mito di Merlino

Il mago e chiaroveggente Merlino ( in bretone: Merzhin, in gallese: Myrddin, in francese e inglese: Merlin ) è uno dei personaggi centrali del ciclo bretone e delle leggende arturiane. Fu lui l’artefice della Tavola Rotonda: grazie a un suo incantesimo, inoltre, Uther Pendragon giacque con Ygraine e così fu concepito re Artù. Fu ancora lui ad allevare Artù e condurlo fino all’ascesa al trono. Sua allieva (e rivale nelle versioni più recenti dei racconti arturiani) fu Morgana ( Morgan Le Fay ), un altro personaggio magico importante della tradizione arturiana.

Nella letteratura in lingua gallese vi sono in effetti due diversi personaggi di nome Merlino ( Myrddin ): Myrddin Wyllt ( Merlino «il Selvaggio» ), un pazzo nordico che non ha alcuna relazione specifica con il ciclo di Artù, e Myrddin Emrys ( Merlino «il Saggio» o Caledonensis ). La rappresentazione standard di questa figura comparve per la prima volta nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth ( 1136 circa ) ed è basata sulla fusione di precedenti figure storiche e leggendarie: Goffredo, infatti, combinò le storie esistenti su Myrddin Wyllt con i racconti su Ambrosio Aureliano per formare la figura che egli chiama Merlino Ambrosio. Fu proprio Goffredo a porre in relazione per la prima volta Merlin con la saga arturiana, di cui Merlino divenne in seguito uno dei personaggi più importanti.

La versione goffrediana di questa figura divenne subito popolare e gli autori successivi ampliarono poi questi elementi così da produrre un’immagine più completa del mago. La sua biografia tradizionale lo vuole figlio di un demone e di una donna mortale che alla nascita ereditò dal padre i suoi poteri. In alcune versioni delle leggende fu il consigliere di Artù fino a che fu imprigionato dall’allieva di cui era innamorato, Viviana (la Dama del Lago), mentre in altre egli se ne andò lontano per vivere felicemente con lei.

Se il pubblico moderno conosce Merlino secondo lo stereotipo del mago buono con cui viene rappresentato, tra l’altro, da Walt Disney ( nella Spada nella roccia ), molte fonti medievali forniscono di questo personaggio un’immagine ben diversa: egli appare inquietante, calcolatore, imperscrutabile, talvolta persino diabolico. ( Wikipedia )

 

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Libreria Aiace in via Ojetti 36 Montesacro Talenti – Roma

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri Rari & d’Occasione by Libreria Aiace Roma Montesacroultima modifica: 2020-06-23T18:00:48+02:00da tiberis1