Letture Estive by Libreria Aiace Roma Montesacro

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Le Mura del Cinquecento di Lucca

Le mura di Lucca sono il secondo maggior esempio in Europa di mura costruite secondo i principi della fortificazione alla moderna che si sia conservata completamente integra in una grande città. Nicosia, capitale di Cipro, detiene il record con una cerchia muraria di 4,5 km con 11 bastioni e tre porte.

L’attuale cerchia muraria di Lucca, lunga esattamente 4 chilometri e 223 metri, è frutto dell’ultima campagna di ricostruzione, partita nel 7 maggio del 1504 e terminata solamente un secolo e mezzo dopo, nel 1648. I lavori hanno avuto luogo anche nella seconda metà del Seicento, con aggiornamenti strutturali basati sulle nuove conoscenze e tecniche costruttive. Mai utilizzata a scopo difensivo, la struttura moderna si articola su 12 cortine ed 11 baluardi. Questi sono visti come un forte segno di identità culturale e come contenitore per la memoria storica del territorio.

Le mura furono concepite anche come deterrente. In particolare la Repubblica di Lucca temeva le mire espansionistiche prima di Firenze e, successivamente, del Granducato di Toscana. Tuttavia non si arrivò mai ad una vera guerra aperta contro il Granducato. Vi furono conflitti con il Ducato di Modena (secoli XVI e XVII), ma esclusivamente in Garfagnana, perciò Lucca non dovette mai subire alcun assedio. L’unica occasione in cui le mura furono messe alla prova fu durante la disastrosa alluvione del Serchio nel 18 novembre del 1812. Le porte furono sprangate e con l’ausilio di materassi e pagliericci fu garantita una relativa tenuta all’acqua del centro di Lucca. La stessa Elisa Bonaparte, Principessa di Lucca e Piombino, per entrare nella città fu fatta issare con una sorta di bilanciere per non aprire i battenti sprangati alla furia delle acque.

La struttura fu convertita in passeggiata pedonale da Maria Luisa di Borbone-Spagna (in carica dal 1815 al 1824), in modo da svolgere il ruolo di grande parco pubblico, soprattutto grazie alla sua lunghezza di oltre 4 chilometri. Il nuovo impiego delle mura si ripercosse anche sugli spazi esterni antistanti, i quali furono convertiti in grandissimi prati. Il percorso sopra la cinta muraria viene attualmente utilizzato per passeggiare e fare attività fisica, ma nella bella stagione si pone anche come palcoscenico naturale per spettacoli e manifestazioni.

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Mostra della Maiolica

Monte San Savino è un centro di antica tradizione ceramica, specializzato nella produzione di oggetti d’uso e gusto popolare. Il museo, allestito nel 1989 nella trecentesca Rocca del Cassero, attribuita a Bartolo di Bartolo, è nato dalla Mostra della Ceramica, promossa dal Comune, che si svolge annualmente dal 1971. Al materiale via via raccolto, di artisti moderni, si sono aggiunte le ceramiche arcaiche e le maioliche dal medioevo all’Ottocento, per un totale di 250 oggetti. Sono anche esposti reperti degli scavi dal Cassero, un bel Crocifisso ligneo di scuola senese del XIV secolo e una Madonna col Bambino, in marmo, del XVI secolo. È possibile visitare anche l’attigua chiesa di S. Chiara (1652), ex convento di clausura delle Clarisse, con opere di rilievo del Sansovino, dei Della Robbia e del Vasari. ( Tratto da Touring Club )

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Gastronomia: Dizionario Enciclopedico della Buona Cucina

La cucina romana tradizionale è fondata su ingredienti di derivazione rurale e contadina, di origine vegetale ed animale, preparati secondo ricette spesso tramandate di generazione in generazione in ambito familiare. Poiché si è sempre trattato di pietanze ricavate da una terra molto fertile e produttiva, destinate a soddisfare le esigenze energetiche dell’uomo impegnato nel lavoro nei campi e spesso consumate nell’ambito di una o al massimo due sedute alimentari quotidiane, le preparazioni della cucina romana sono idealmente associate a piatti particolarmente nutritivi, somministrati in porzioni abbondanti. I capisaldi di questa cucina sono i primi piatti, sia asciutti sia in brodo. Questi ultimi sono preparati con della pasta con verdure o legumi ( ceci, patate, broccoli, fagioli ), e il cosiddetto “quinto quarto”. Nei giorni di festa erano molto comuni l’abbacchio e la carne di capretto, forniti direttamente dai pastori locali. Roma è stata da sempre un mercato di consumo e non di produzione, ma la cucina romana ha avuto a disposizione le produzioni tipiche della regione, dall’olio ai maiali dell’Umbria ( i macellai che vendevano maiale si chiamavano, infatti, norcini, e fino agli anni cinquanta il maiale non si vendeva da dopo Pasqua a novembre ). Il burro nella vera cucina romana è praticamente uno sconosciuto: per ingrassare e anche per friggere si usava casomai lo strutto di maiale. Ma il condimento d’elezione è l’olio, ancora presente tra le produzioni tipiche del Lazio. Nell’antica Roma la cucina era molto semplice, a base di cereali, formaggi, legumi e frutta. Le spezie più usate erano il piper cubeba, cumino e il lingustico. I “piatti forti”, consumati dai ricchi, erano a base di carne, soprattutto di maiale. ( Wikipedia )

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Le Vie della Sete

Le “Vie della Sete” sono i sentieri tortuosi percorsi da Ardito Desio durante le scorribande scientifiche che fece, a partire dal 1926, fino al 1940 quando lo scoppio della seconda guerra mondiale gli impedì di continuare le ricerche. Attraversò più volte le aride distese del Sahara a piedi, a dorso di cammello, in camion o in aereo, per cercare, nelle viscere del deserto, le ricchezze naturali nascoste. Questo libro si legge come un romanzo, con la differenza che le avventure che vi sono descritte sono vicende vere, riprese dai suoi diari, che invitano il lettore curioso ed amante delle sensazioni forti a ripercorrerne gli itinerari. Chi viaggia oggi nel deserto libico ritrova i luoghi descritti da Desio, taluni irriconoscibili come le città e i villaggi, altri rimasti immutati nel tempo. Il nome di Ardito Desio viene generalmente legato alla spedizione italiana che ha guidato nel 1954 alla conquista del K2, la vetta più alta del mondo dopo l’Everest. Ma la conquista del K2 è solo una delle numerose imprese importanti della sua vita; un’altra, – più importante soprattutto per gli sviluppi che ha avuto a partire dall’immediato dopoguerra – è la scoperta, nel 1938, del petrolio nel Sahara libico, descritta appunto in questo libro.

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Storia della Danza Occidentale

Il testo delinea una storia della danza in Occidente assumendo come punto di partenza le forme sviluppate nell’antica Grecia per giungere sino alle esperienze a noi contemporanee. L’evoluzione della danza nelle diverse epoche è stata analizzata secondo una prospettiva largamente interdisciplinare che tiene conto non solo del mutare delle coordinate storiche e culturali dei vari secoli, ma anche della complessa rete di relazioni intercorse con il settore delle arti visive, del teatro, della musica e della letteratura. Nel suo percorso storico la danza cambia modi espressivi e funzioni, passando dalle originarie valenze magiche a componente essenziale dei rituali festivi e della pratica religiosa, per poi entrare a far parte delle forme dell’intrattenimento sociale e della sfera più direttamente spettacolare, stabilendo stretti rapporti con il mondo della lirica e del teatro, prima di giungere ad affermare la propria autonomia linguistica come espressione d´arte che trova in se stessa le ragioni della propria validità. Un percorso ampio e sfaccettato che può offrire più di un motivo d’interesse non solo per gli studenti universitari che si accostano per la prima volta a questa disciplina ma a tutti coloro che a vario titolo desiderano sviluppare una conoscenza della storia dell’arte della danza. ( Tratto da Carocci Editore )

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Il Miraggio della Terra

La prima novità è l’arco temporale, che si dilata sino a raggiungere il 1767. Cioè sino a includere il riformismo borbonico, che quell’anno caccia dall’isola i gesuiti e progetta di distribuirne le terre a «gente di campagna», così come sta accadendo nel regno di Napoli. Sono disposizioni in linea con la più avanzata cultura agraria europea, ma nell’isola la loro applicazione incontra molte resistenze. I componenti della Giunta preposta a decidere le assegnazioni assicurano che la Sicilia è «scarsa anziché abbondante di abitatori», soprattutto manca la manodopera specializzata. Assicurano che le terre dei gesuiti è meglio darle a censo «a corpo sano», senza cioè frazionare le grandi tenute: nonostante da Napoli si ordinasse di dividere i fondi ai contadini, per gran parte delle terre la Giunta rifiuta di applicare le disposizioni regie. E quando – nel 1776 – il siciliano Giuseppe Beccadelli Bologna diventa primo ministro a Napoli, subito si affretta a scegliere per sé i feudi migliori: le terre erano già state distribuite, ma il potente ministro manda i soldati per cacciare i contadini; gli insolventi, anche per piccole somme, si ritrovano con gli attrezzi e i poveri arredi confiscati. La storia tornava a scorrere nei vecchi binari, il sogno della terra era di nuovo un miraggio. ( Tratto da Repubblica )

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Simone Weil: Ritratto di un’Ebrea che si volle esiliare 

Simone Adolphine Weil ( Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943 ) è stata una filosofa, mistica e scrittrice francese, la cui fama è legata, oltre che alla vasta produzione saggistico-letteraria, alle drammatiche vicende esistenziali che ella attraversò, dalla scelta di lasciare l’insegnamento per sperimentare la condizione operaia, fino all’impegno come attivista partigiana, nonostante i persistenti problemi di salute. Sorella del matematico André Weil, fu vicina al pensiero anarchico e all’eterodossia marxista. Ebbe un contatto diretto, sebbene conflittuale, con Lev Trotsky, e fu in rapporto con varie figure di rilievo della cultura francese dell’epoca. Nel corso del tempo, legò se stessa all’esperienza della sequela cristiana, pur nel volontario distacco dalle forme istituzionali della religione, per fedeltà alla propria vocazione morale di presenziare fra gli esclusi. La strenua accettazione della sventura, tema centrale della sua riflessione matura, ebbe ad essere, di pari passo con l’attivismo politico e sociale, una costante delle sue scelte di vita, mosse da una vivace dedizione solidaristica, spinta fino al sacrificio di sé. La sua complessa figura, accostata in seguito a quelle dei santi, è divenuta celebre anche grazie allo zelo editoriale di Albert Camus, che dopo la morte di lei a soli 34 anni, ne ha divulgato e promosso le opere, i cui argomenti spaziano dall’etica alla filosofia politica, dalla metafisica all’estetica, comprendendo alcuni testi poetici. ( Wikipedia )

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Tavole Iguvine

Iguvine, tavole Sette tavole di bronzo, trovate presso il teatro romano di Gubbio nel 15° sec. e conservate nel palazzo dei Consoli, alcune scritte in alfabeto etrusco, altre in alfabeto latino, contenenti un testo in lingua umbra, che è il più importante documento per lo studio della lingua e della civiltà umbre. Risalgono in parte al 3°, in parte al 2° sec. a.C., ma la redazione del testo originale è assai più antica. Contengono descrizioni di sacrifici e statuti di una confraternita sacerdotale, che è detta dei fratelli Atiedi. ( Treccani )

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Gubbio, il fascino delle tavole eugubine

Civiltà dei Monti: Valle di Carnino

Fin dall’epoca longobarda vi operarono i monaci della potente abbazia di San Colombano di Bobbio ed al suo ricco feudo reale ed imperiale monastico, cui dipese l’abbazia di San Dalmazzo di Pedona. È costituito dalle borgate di Piaggia (capoluogo), Upega e Carnino, ossia da quella porzione del Comune di Briga Marittima che, essendo situata nell’alto bacino del Tanaro, è rimasta italiana dopo il passaggio dell’alta Val Roia alla Francia. L’attuale comune di Briga Alta mantiene il toponimo Briga in ricordo del vecchio comune, mentre Briga Marittima, attualmente denominata La Brigue, è passata alla nazione transalpina dopo la seconda guerra mondiale insieme al comune di Tenda per gli effetti dei Trattati di Parigi del 10 febbraio 1947. La vicenda è raccontata nel docufilm E ci si trova dall’altra parte di Nicola Farina. Come parte del comune unico di Briga, il territorio di Briga Alta fu parte del Dipartimento delle Alpi Marittime durante il periodo napoleonico dal 1796 al 1814. ( Wikipedia )

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Libreria Aiace Roma in via Ojetti 36 Montesacro – Nomentana – Talenti

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Aggiornato al 17 Settembre 2022 

 

 

Leggere Leggere by Libreria Aiace Roma Montesacro

Montesacro Roma.1

Mondi Futuri

Tutti noi, quotidianamente, prevediamo o tentiamo di prevedere in qualche modo il futuro. La maggior parte delle persone, però, si interessano esclusivamente ai problemi personali e si limitano a guardare verso il futuro immediato. Soltanto pochi individui si spingono più in là, occupandosi dei problemi che riguardano gli altri abitanti del pianeta e relativi a un futuro non vicino. Eppure, avere una prospettiva globale, prevedere il futuro a lungo termine della società e del mondo intero, non è per l’«Homo technologicus» attuale solo il modo per soddisfare delle curiosità innate; bensì, ora più che mai, rappresenta soprattutto un esercizio utile per la propria sopravvivenza. Oggi, infatti, ci troviamo in una crisi di «intelligibilità»: si è creato uno scarto profondo tra ciò che bisognerebbe capire e i mezzi concettuali necessari alla comprensione, dovuto alla diversa velocità di crescita tra la tecnologia e la cultura. Il libro parla quindi del futuro dell’attuale stato di cose sul nostro pianeta, collocando l’argomento in un contesto via via sempre più ampio, soffermandosi sul futuro della civiltà tecnologica, su quello dell’Homo sapiens, del pianeta Terra, della Galassia e, infine, sul destino dell’intero universo. ( tratto da Mario Menichella )

Immagine 1 - M. Menichella, Mondi futuri, viaggio tra i possibili scenari, 2005, 10ag21

Il Sogno di una Cosa

Il sogno d’una cosa è il sogno del socialismo, della giustizia, della vera uguaglianza, del lavoro per tutti e di una ripartizione dei beni secondo meriti e bisogni, senza lo sfruttamento capitalistico del plusvalore. Pasolini è condizionato dal discorso economico e dalla valutazione marxista della realtà ma non rinuncia a fare poesia, ché quella è la sua vera cifra stilistica. Racconta due anni di vita in Friuli, a Casarsa, il luogo dove ha trascorso adolescenza e fanciullezza, dal 1948 al 1949, attraverso le vicissitudini di alcuni ragazzi del popolo – Nini, Milio, Eligio, Germano – che sognano un mondo dove ci sia giustizia e lavoro. Si sentono comunisti, ma solo perché essere comunisti è il solo modo per cercare di cambiare le cose e perché pare l’unica idea politica che contiene un sogno di giustizia sociale. I ragazzi emigrano di nascosto in Jugoslavia perché sono convinti che in un paese comunista potranno vivere liberi, lontani da una terra che ha riciclato al potere vecchi gerarchi fascisti. Sarà cocente la loro delusione quando si renderanno conto che in Jugoslavia tutto è razionato, si muore di fame più che in Italia e il lavoro scarseggia. “Quando lo faremo noi il comunismo, lo faremo meglio”, dice uno dei ragazzi mentre medita il ritorno in Italia. Pasolini è tra i primi scrittori italiani a citare le foibe e a criticare il socialismo reale, la concretizzazione di un’idea, il tradimento del sogno d’una cosa. ( Tratto da Gordiano Lupi )

 

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Cent’anni di solitudine

Cent’anni di solitudine ( Cien años de soledad ) è un romanzo del 1967 del Premio Nobel colombiano Gabriel García Márquez, considerato tra le opere più significative della letteratura del Novecento. Narra le vicende di 7 generazioni della famiglia Buendía, il cui capostipite, José Arcadio, fonda alla fine del XIX secolo la città di Macondo. La storia è narrata con uno stile elaborato e personale, ricco di prolessi che anticipano drammaticamente gli avvenimenti ancora da narrare. Attraverso un modello che unisce rigore formale e frasi sontuose, radici classiche e sperimentazione, il romanzo svelò il vitalismo di un universo di solitudini incrociate, dove si succedono i destini ineluttabili di una famiglia, romanzo nel quale, come disse Ariel Dorfman, «l’individuo è divorato dalla storia e la storia è divorata a sua volta dal mito». Il romanzo, scritto in 18 mesi è considerato l’opera maggiore dell’autore; pubblicato originariamente dalla casa editrice Sudamericana a Buenos Aires nel giugno 1967, vendette in 2 settimane ottomila copie; nei 3 anni successivi 600.000 copie. Fu in seguito tradotto in 37 lingue vendendo più di 20 milioni di copie. Lo stile del romanzo, il celebre realismo magico, e la materia tematica fanno sì che Cent’anni di solitudine diventi rappresentativo del boom latinoamericano degli anni sessanta e settanta, influenzato stilisticamente dal modernismo ( europeo e nordamericano ) e dal movimento letterario legato alla rivista cubana Vanguardia. ( Wikipedia )

Macondo

Vie e Piazze di Fiume: Cenni Storici e Aneddotici

Che dire, è tutta un’ode a Fiume, a ciò che la città è stata in un passato glorioso e allo stesso tempo doloroso per i travolgimenti che ha subito, un’ode ai suoi due millenni di storia. Si torna indietro nel tempo, a Ottaviano Augusto ( o meglio a Plinio il Vecchio e Claudio Tolomeo ) e all’antica oppidum Tarsatica; si passa poi alla “furia distruttiva” di Carlo Magno, alla lenta ascesa della città nel XVII secolo, alla sua piena affermazione nella seconda metà dell’Ottocento, per arrivare ai mutamenti del XX fermandosi al 1996 ( nel frattempo ci sono stati altri cambiamenti ). Tante “fotografie” corredate da immagini, il lavoro di Secco segue, passo per passo, l’evolversi della città di San Vito, “scatta” i suoi diversi aspetti da un’angolazione un po’ particolare: vecchie e meno vecchie carte e stampe, planimetrie, piante della città, stemmi e. e poi ci sono i rioni, le vie e le piazze con le loro intestazioni, i toponomi, i personaggi che hanno meritato ( secondo il modo di vedere dell’epoca o, molto più spesso, in base al giudizio di chi creava e decideva la politica della città, dei regimi che si sono susseguiti a Fiume ) di essere ricordati nella toponomastica. Secco non si limita a riportare le nomenclature: ricrea tante “microstorie”, propone una serie di profili dei protagonisti e dei luoghi della storia fiumana. Brevi ma complete descrizioni, un tanto quanto basta per capire, per “leggere” l’identità di Fiume. Sorvoleremo sulle “ridondanze” ( sull’impresa del Vate ), un po’ meno sull’aquila con la testa mozzata che fa da sfondo alla copertina, resta comunque un’opera valida. ( Tratto da LegaNazionale.it )

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“Arrestate l’autore!” D’Annunzio in scena

Quando nell’ottobre del 1906 andò in scena al Teatro Costanzi di Roma “più che l’amore” di Gabriele D’Annunzio interpretato da Ermete Zacconi e Ines Cristina, fu un fiasco strepitoso, il tonfo più clamoroso registrato in palcoscenico, dell’opera drammatica dell’Immaginifico. Raccontano le cronache del tempo che il pubblico inferocito, all’uscita dal teatro, si avvicinò ai carabinieri di servizio e chiese perentoriamente: “Arrestate l’autore!” Vengono illustrati aneddoti ed episodi curiosi,il ruolo innovativo svolto da D’Annunzio nella scena italiana ed europea del Novecento.

Gabriele D’Annunzio ( Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1º marzo 1938 ), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del Decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale[4][5], dal 1924 insignito da Mussolini del titolo di “principe di Montenevoso”. Soprannominato “il Vate” ( allo stesso modo di Giosuè Carducci ), cioè “poeta sacro, profeta”, cantore dell’Italia umbertina, o anche “l’Immaginifico”, occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. È stato definito «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana […]». Come figura politica lasciò un segno nella sua epoca ed è considerato un importante precursore nonchè ispiratore del fascismo italiano. La sua arte fu così determinante per la cultura di massa, che influenzò usi e costumi nell’Italia – e non solo – del suo tempo: un periodo che più tardi sarebbe stato definito appunto “dannunzianesimo”.

 

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Storia dell’Industria Italiana Contemporanea

Tra il giugno 1952 e il giugno 1953 Tremelloni si impegnò nell’Inchiesta parlamentare sulla disoccupazione, da lui presieduta e personalmente diretta, che si affiancò all’Inchiesta sulla miseria in Italia. Il fondamentale rapporto (18 volumi) da lui curato, venne definito da Einaudi come “una delle cose migliori” compiute dal Parlamento italiano nella prima legislatura, ed entrò in tutte le biblioteche universitarie del mondo. Nel 1954, benché non rieletto deputato alle elezioni del 7 giugno dell’anno precedente, venne nominato Ministro delle finanze nel primo governo Scelba. Quando poi nel luglio 1955 si formò un nuovo governo presieduto da Segni, le pressioni di numerosi ambienti economici affinché Tremelloni non venisse riconfermato ministro delle Finanze ebbero successo; infatti fu sostituito da Giulio Andreotti che assicurò un’applicazione moderata dei provvedimenti fiscali approvati in precedenza. Fu tra i fondatori del CIRIEC (Centro Italiano di Ricerche e di Informazione sull’Economia delle Imprese Pubbliche e di Pubblico Interesse) il 21 febbraio 1956 a Milano dove si costituì la sezione italiana. Tremelloni ricoprì la carica di presidente di questo centro studi, il primo del suo genere in Italia, ininterrottamente dall’anno di fondazione fino al 1978. Gli studi condotti in oltre un ventennio si riferivano oltre al settore delle imprese pubbliche e alle varie modalità di presenza dello Stato nell’economia, anche alla struttura e all’operatività delle società cooperative, senza peraltro trascurare le attività svolte da organismi senza fine di lucro. Sezioni nazionali del CIRIEC esistono oggi oltre che in Italia in altri 15 Stati sparsi nel mondo. La maggioranza centrista, prima, e quella di centro-sinistra, poi, al consiglio comunale di Milano, lo nominò, a partire dall’ottobre del 1951, Presidente dell’Azienda Elettrica Municipale di Milano. ( Wikipedia )

 

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Valtellina

Arte Preistorica in Valtellina

Situato fra i comuni di Grosio e Grosotto, nella Media Valtellina, il Parco delle Incisioni Rupestri è la più importante testimonianza del passaggio delle antiche popolazioni in Valtellina. Sulle rocce del Parco sono incise oltre cinquemila figure, le più antiche risalenti alla fine del Neolitico, al quarto millennio Avanti Cristo! Scoperta nel 1966, la Rupe Magna risulta essere una delle più grandi rocce incise dell’arco alpino con oltre 5.000 raffigurazioni, databili tra la fine del Neolitico e l’età del Ferro (I millennio a.C.). Numerosi sono i temi raffigurati sulla Rupe Magna: dalle figure antropomorfe a quelle di animali, dalle figure geometriche alle coppelle, fino ad oggetti di vita quotidiana. Il simbolo indiscusso è l’incisione che rappresenta un uomo armato di uno scudo rotondo e di una spada o bastone.
Sulla sommità del colle che domina la Rupe Magna sorgono il castello di S. Faustino e il Castello Nuovo. Il primo, il più antico, ha tra i suoi elementi di spicco il campaniletto romanico, attiguo alla piccola cappella che conserva, al centro del presbiterio, due sepolcri medievali scavati nella roccia. Il Castello Nuovo, invece, è caratterizzato da una doppia cortina di mura e da una poderosa torre interna fortificata. ( Parco delle Incisioni )

 

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Le Notti di Chicago

Uno dei primissimi libri stranieri che Vittorini pubblicò ( 1954 ) nei Gettoni dell’Einaudi fu “Le notti di Chicago”, qui riproposto nella stessa traduzione. ll mondo di questi racconti è quello dei “losers”, i perdenti: puttane, vagabondi, giocatori d’azzardo, pugili di seconda categoria. ” I politici e gli intellettuali mi annoiano ” scrisse una volta Algren, ” mi sembrano irreali; la gente che frequento è quella che mi pare vera: puttane, drogati, ladri; sono gli unici rimasti con qualcosa da dire e nessuno a cui dirlo “.

Nelson Algren ( Detroit, 28 marzo 1909 – Long Island, 9 maggio 1981 ) è stato uno scrittore e poeta statunitense. Fu un narratore dello squallore dei bassifondi di Chicago abitati da pugili, giocatori d’azzardo, immigrati soprattutto messicani e polacchi. Si inserisce, assieme a James Thomas Farrell, Richard Wright e John Hersey nella corrente del Realismo americano iniziata da Theodore Dreiser.

 

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Volterra Magica e Misteriosa

L’avventura ha inizio all’indomani del Diluvio Universale e si svolge lungo un tragitto di quaranta secoli che si dirama in diecine di itinerari attraverso l’antico territorio volterrano, al confine fra storia e leggenda, fra sacro e profano, fra bene e male, in compagnia di dei e di ninfe, di papi e imperatori, di vescovi e tiranni, di artisti ed assassini, di ladri e di beati, di santi e di eroi, di umili e di potenti che completano il fascino di Volterra: dal genio dell’Ombra della Sera alla croce di Belforte, dalle formiche alate di San Michele alle streghe di Mandringa, dalla spada nella roccia al santo chiodo di Colle, dal drago di San Verano alla tunica della Madonna, dai proiettili del Duca di Urbino al nomignolo di Lorenzo dei Medici, dal cavallo di Neri Maltragi al fantasma di Michele Marullo, dal diavolo nelle Balze ai miracoli di Pio IX, dalle paure di Carlo Goldoni al debito di Gabriele d’Annunzio.
Con lo stile del giornalista, curioso ed attento,e con l’animo del poeta, sensibile e premuroso, Franco Porretti trasforma felicemente eventi nebulosi e lontani in palpitanti avvenimenti di cronaca, accompagnando il lettore in un mondo fantastico alla riscoperta di luoghi quasi dimenticati, di cose, fatti e personaggi imbiancati dalla polvere del tempo eppur sempre protagonisti della tradizione e dell’intramontabile mito di Volterra.
Quasi per assurdo, dunque, l’autore ripropone la leggenda come il modo più efficace per avvalorare la storia e come il mezzo più piacevole per far conoscere ed amare una città meravigliosa, ricca di fascino e di suggestioni: una città in cui la malìa del passato convive con la realtà del presente in un turbinio di immagini, di volti e di vicende che la rendono veramente magica e misteriosa. ( Ezio Biagi )

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Cosmogonie & Cosmologie

Cosmogonie e Cosmologie, nel gergo comune entrambe identificano la narrazione sull’universo, dalla parte scientifica si usa impropriamente il termine cosmogonia per individuare una teoria scientifica. I significanti attendono a due aree semantiche del tutto distinte:
a) Cosmogonia: la generazione del cosmo è un racconto mitologico, istituito da un “autoritas” che racconta come siamo stati creati e il perché dell’esistenza dell’uomo. La cosmogonia risponde alle domande: perché esiste l’uomo sulla terra, quale è il suo ruolo e il rapporto dell’uomo rispetto alal natura e agli dei.
b) Cosmologia: la parola logos, interna al termine, fa prevalere l’analisi della struttura del cosmo inteso come entità totale. ( Pietro Oliva )

Parmigianino disegnatore

Parmigianino fu un grande disegnatore, paragonabile ai più grandi maestri del Rinascimento. I suoi disegni sono spesso opere finite vere e proprie eseguite con abile estro e una felice vena creativa. Essi erano destinati ad essere venduti o regalati, e spesso facevano da fonte di ispirazione per pittori di minor inventiva. Oggi si conoscono circa mille fogli attribuibili all’artista, sparsi nelle maggiori collezioni mondiali. I soggetti spaziano dal sacro al mitologico, a volte di taglio dichiaratamente erotico, talvolta raffiguranti soggetti presi dal vero, come soleva fare Leonardo. La finitezza di molti fogli ne facilitava la traduzione in stampa attraverso l’incisione, tecnica per la quale si affidava a specialisti oppure anche in prima persona. Lavorò infatti prima su supporto ligneo ( xilografia ), passando poi alla più raffinata lastra di rame ( acquaforte ). Il pregio che tali sue opere avevano sul mercato è testimoniato anche da un incidente avvenuto a Bologna, quando il suo supposto amico Antonio da Trento lo derubò di disegni e lastre. Racconta Vasari che del ladro non seppe mai più niente, ma riuscì a riavere le lastre che erano state depositate in casa di un bolognese, mentre i disegni non furono più trovati. ( Wikipedia )

Garibaldi: l’Uomo il Comandante l’Eroe

Anche se Garibaldi non ricevette una formazione militare in senso stretto, le sue imprese sui campi di battaglia, nel ruolo di comandante, gli valsero la fama e il riconoscimento di compagni e avversari. Avvicinatosi alle idee di Mazzini, nel 1834 già si faceva notare come sovversivo, organizzando un ammutinamento, fallito, della flotta sarda su cui era imbarcato. Riparò allora in Sudamerica, e qui combatté in Uruguay, Argentina e Brasile. Qui conobbe Ana Maria – la celebre Anita –, la sfortunata compagna che, distrutta dalla fatica e al quinto mese di gravidanza, non riuscì a sopravvivere alla fuga successiva al crollo della Repubblica romana, nel 1849. La fama militare di Giuseppe Garibaldi, però, raggiunse l’apice grazie alla spedizione dei Mille, l’impresa quasi epica di un migliaio di volontari che, non privi di aiuti, riuscirono a rovesciare uno dei più potenti Stati del Mediterraneo, il Regno delle Due Sicilie. Consegnato il Sud a Vittorio Emanuele di Savoia, Garibaldi schierò le sue truppe – che, dai Mille iniziali, avevano ormai raggiunto le decine di migliaia di unità ( circa 50.000 ) – a Caserta, il 6 novembre del 1860, in attesa che il re le passasse in rassegna. Vittorio Emanuele II non venne: Garibaldi, il mazziniano che aveva accettato di servire la causa italiana pur tradendo l’ideale repubblicano, ne fu enormemente deluso.

Immagine 1 - G. GARIBALDI IL GOVERNO DEI PRETI ROMANZO STORICO KAOS ED. 2006, 11L21

 

 

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