LIBRO: La Battaglia di Cassino di Fred Majdalany

-battaglia di monte cassino

La Battaglia di Cassino

La battaglia di Cassino ( in inglese Battle of Cassino, in tedesco Schlacht um Monte Cassino, comunemente conosciuta anche come “battaglia di Montecassino” ), fu la serie di duri combattimenti svoltisi tra il gennaio e il maggio 1944 tra le forze alleate e quelle tedesche durante la campagna d’Italia nella seconda guerra mondiale.

Il teatro delle operazioni vide le truppe alleate raggruppate nella 5ª Armata americana del generale Mark Clark assaltare, dopo il vittorioso sbarco a Salerno, la linea Gustav a sud di Roma, difesa dalle esperte truppe tedesche della 10ª Armata comandata dal generale Heinrich von Vietinghoff. Il perno difensivo tedesco sulla Gustav era rappresentato dall’abitato di Cassino, che controllava l’accesso alla valle del Liri, e dall’abbazia di Montecassino che sovrastava la valle e permetteva ai difensori di controllare i movimenti delle truppe nemiche. La valle era considerata l’unica via d’accesso agevole per le colonne di uomini e mezzi alleati in avanzata verso la capitale, e divenne quindi un caposaldo difeso tenacemente dai tedeschi: essi impegnarono per oltre cento giorni le forze Alleate in un’accanita guerra di posizione che per lunghi momenti fu molto simile alla cruenta guerra di trincea che aveva contraddistinto la prima guerra mondiale.

La battaglia fu caratterizzata, oltre che dai violenti scontri, anche dal discusso bombardamento aereo alleato che distrusse la secolare abbazia di Montecassino. L’atto procurò non poche critiche ai comandi anglo-americani, a cui erano già rimproverati i fallimentari attacchi che continuavano a susseguirsi invano contro le tenaci linee difensive tedesche nel settore. Dopo un difficile inverno, in cui gli anglo-americani riuscirono a rinforzare e riorganizzare le proprie truppe, lo sfondamento della linea Gustav avvenne solo a metà maggio con l’imponente operazione Diadem, che permise alle forze Alleate di irrompere oltre le difese tedesche che difendevano il settore della Gustav dalla costa tirrenica a Cassino e contemporaneamente sfondare il perimetro difensivo tedesco contro la testa di sbarco ad Anzio. Dopo questa azione le forze Alleate poterono aprirsi la strada per l’occupazione di Roma, mentre le truppe tedesche in Italia, su ordine di Albert Kesselring, si ritirarono attestandosi sulla successiva linea difensiva, la famosa linea Gotica, lungo la quale avrebbero continuato a opporre una efficace resistenza fino alle ultime settimane della guerra. ( Wikipedia )

“Il combattimento entrò nel vivo quando la 36a Divisione americana (Texas) penetrò nei campi allagati, pieni di mine, per raggiungere la riva del Rapido, e nei due giorni e due notti drammatici che un giornalista americano descrisse poi, forse esagerando un poco, come il ‘maggior disastro delle armi americane dopo Pearl Harbor’ […]”
“[…] Il superamento del fiume Rapido nei pressi di S. Angelo in Theodice da parte della 36a Divisione Texas, si è ridotto in un disastro”.
“Poco dopo le otto di sera, alcuni reparti attraversarono il Rapido […]. Così la mattina del giorno 21, sulla riva nemica del Rapido restavano solo gli uomini di testa del 141° reggimento […]. All’alba il comandante della divisione impose che anche il resto del 141° attraversasse il Rapido sotto la protezione di una cortina di fumo […]”.
[…] Il “punto chiave del settore si trovava a S. Angelo in Theodice, una piccola località situata a qualche metro al di là del Rapido, che gli alleati avevano distrutto già tempo prima […]”.
“Nel frattempo il II corpo d’armata americano era stato attivamente impegnato nel lavoro di bonifica dei campi minati lungo i sentieri che conducevano al fiume e aveva portato più avanti, verso la riva, le imbarcazioni, il materiale per i ponti e le munizioni, limitando i propri movimenti lungo il Rapido o nelle sue immediate vicinanze esclusivamente alle ore notturne, perché chi si muoveva durante il giorno era esposto al tiro persistente delle artiglierie e dei mortai […]”.
“[…] I piccoli gruppi che riuscirono a passare sull’altra sponda furono ben presto bloccati dal fuoco nemico e l’assalto si arrestò […]. Quando giunse il mattino, sulla riva opposta restava ancora in vita solo un pugno di uomini. […] questa volta riuscirono a far passare dall’altra parte del fiume quasi due battaglioni e a costruire due passerelle sul Rapido. […] Il 22 gennaio il sorgere del sole illuminò una situazione disperata […]”. ( Studi Cassinesi )

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Aggiornato al 17 Settembre 2022 

LIBRO: La Conversione di Ermanno l’Ebreo. Autobiografia, storia, finzione di Jean Schmitt Claude

Ermanno l'Ebreo

Ermanno l’Ebreo

È la metà del XII secolo. Giuda è un giovane ebreo di Colonia. A soli tredici anni sogna di essere invitato a condividere la mensa e le ricchezze di un grande imperatore. Molti anni dopo, quando l’incontro con cristiani di fede incrollabile avrà innescato la sua crisi spirituale culminata nella conversione e nel sacerdozio, Giuda interpreterà il sogno come l’invito a unirsi ai cristiani per condividere la ricchezza della ‘vera fede’. Scrive così, con il nome di ‘Ermanno l’ex ebreo’, il racconto per i posteri della sua conversione. Dopo le Confessioni di sant’Agostino, l’Opusculum de conversione sua è una della prime autobiografie comparse in Occidente e ha posto agli storici un quesito insolubile: verità o finzione? Ermanno l’Ebreo è esistito davvero, oppure è un personaggio confezionato dai chierici cristiani ? ( Fonte Laterza )

Era un ebreo di Colonia, nel XII secolo

A un certo punto dovette recarsi a Münster per accordarsi col vescovo Ecberto circa le modalità di pagamento di un debito. L’ospitalità del vescovo, protrattasi alcuni giorni, lo interessò al cristianesimo, verso il quale, fino a quel momento, aveva provato avversione. Al ritorno, la sua famiglia fece presto ad accorgersi del cambiamento avvenuto in lui e cominciarono i dissapori. Per dimostrare che si trattava di un semplice interesse culturale e nulla più, l’uomo decise di prendere moglie e accettare la correligionaria che la famiglia gli aveva scelto. Ma questo stato di cose, anche dopo il matrimonio, non durò molto. Dall’interesse culturale si passò alla simpatia e da questa all’attrazione irresistibile. Alla fine, ripudiato dai suoi e dall’intera comunità ebraica cittadina, se ne andò a chiedere il battesimo, dal quale gli venne il nome Ermanno. ( Da Il Giornale )

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LIBRO: Il Caso Moro, la Pista Internazionale di Francesco Grignetti

Moro Uccisione

Aldo Moro

Le lettere di Moro erano un messaggio. Ci dicevano: andate a bussare alla porta dei palestinesi” Furono giorni convulsi, i 55 giorni tra via Fani e via Caetani. Ma tra l’aprile e il maggio 1978, quando tutto sembrava precipitare, con l’aiuto di Arafat e del Maresciallo Tito, i servizi segreti italiani cercarono una trattativa con le Brigate rosse per salvare la vita di Aldo Moro, passando per i palestinesi di George Habbash, la banda Carlos, i tedeschi della Baader-Meinhof. I rapporti tra gruppi terroristici e la galassia internazionale dei movimenti “rivoluzionari” esistevano da lungo tempo, si trattava di riattivare certi contatti. E le cose andarono molto avanti, al punto che il 9 maggio era in programma uno scambio che avrebbe avuto dell’incredibile: alcuni terroristi tedeschi, catturati in Jugoslavia, sarebbero stati liberati e portati in Medio Oriente in cambio della vita dello statista italiano e l’agognato “riconoscimento politico” sarebbe giunto dai Paesi non allineati. All’ultimo tutto saltò. In questo libro vengono finalmente ricostruite le tappe di questa pista internazionale, la storia di una trattativa sommersa e parallela che avrebbe potuto cambiare la storia d’Italia.

……

“Aldo Moro ucciso nella cantina di un’ambasciata vicino a via Caetani”: la nuova pista negli atti della Commissione parlamentare 

Diverse testimonianze convergenti. In una cantina nel centro di Roma la sua ultima prigione

Molto più probabilmente la strada, via Caetani, come sillabò Valerio Morucci un paio di volte al telefono ( ”Ca- e -ta- ni, Caetani” ) al professor Tritto nell’indicare il luogo in cui recuperare il corpo di Moro, fu scelta perché verosimilmente molto vicina all’ultima prigione e al luogo dell’esecuzione, e immediatamente raggiungibile, senza particolari rischi, da parte degli assassini. …

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LIBRO: Scritti & Discorsi di Fernando Tambroni

 

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Fernando Tambroni

Il 26 marzo 1960 Fernando Tambroni, che si era messo in luce al VII congresso della DC del 1959 con un discorso “aperturista” nei confronti del centrosinistra, ricevette l’incarico di formare un governo per sostituire quello dimissionario guidato da Antonio Segni. L’obbiettivo politico era quello di superare l’emergenza, attraverso un “governo provvisorio”, in grado di consentire lo svolgimento della XVII Olimpiade a Roma indetta in agosto e di approvare il bilancio dello Stato entro il 31 ottobre 1960, come previsto dalle leggi in materia di contabilità di Stato vigenti all’epoca. L’8 aprile, il governo monocolore democristiano formato da Tambroni ottenne la fiducia della Camera, con una maggioranza di soli tre voti (300 sì e 297 no) e con il determinante appoggio dei deputati missini. La circostanza causò le dimissioni irrevocabili e immediate dei tre ministri appartenenti alla sinistra della DC: Bo, Pastore e Sullo. L’11 aprile, dietro esplicito invito del proprio partito, il governo rassegnò le dimissioni e il presidente Giovanni Gronchi assegnò l’incarico ad Amintore Fanfani. Questi, tuttavia, dovette rinunciare, e Gronchi, anziché cercare una soluzione diversa, invitò Tambroni a presentarsi al Senato per completare la procedura del voto di fiducia. Il 29 aprile, sempre con l’appoggio dei missini e con pochi voti di scarto (128 sì e 110 no), il governo Tambroni ottenne la fiducia del Senato.

La decisione presa nel maggio 1960 dal Movimento Sociale Italiano di convocare il suo sesto congresso a Genova, città decorata con la Medaglia d’oro della Resistenza da cui era partita l’insurrezione del 25 aprile, fornì l’occasione ai partiti di sinistra di scendere in piazza al fine di mettere in difficoltà il Governo Tambroni. La protesta si fece sentire sempre più forte. Tambroni scelse la linea dura, originando i noti fatti di Genova del 30 giugno 1960, che si estesero rapidamente al resto del paese. Il 7 luglio a Reggio Emilia furono uccisi cinque manifestanti. Alla fine non ci fu altra scelta che impedire il congresso del MSI. I missini votarono conseguentemente contro la legge di bilancio del governo. Tambroni temporeggiò fino al 19 luglio dichiarando di essere in attesa di un accordo tra i partiti ma alla fine dovette dimettersi: gli successe Amintore Fanfani. ( Wikipedia )

 

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LIBRO: Lenin di Vladimir Majakovskij

Lenin

Lenin

Lenin, pseudonimo di Vladimir Il’ič Ul’janov ( Simbirsk, 22 aprile 1870, 10 aprile del calendario giuliano – Gorki, 21 gennaio 1924 ), è stato un rivoluzionario, politico e politologo russo, poi sovietico, talvolta menzionato come Vladimir Lenin o come Nikolaj Lenin.

Servì come primo ministro della Repubblica russa dal 1917 al 1918, della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa dal 1918 al 1922 e dell’Unione Sovietica dal 1922 al 1924. Sotto la sua guida la Russia – e in seguito l’Unione Sovietica – diventò uno Stato socialista monopartitico governato dal partito comunista sovietico. Ideologicamente marxista, le sue teorie politiche sono state poi riconosciute come “leninismo”.

Nato da una famiglia borghese di origine ebraica a Simbirsk, Lenin si interessò alla politica socialista rivoluzionaria dopo l’esecuzione di suo fratello avvenuta nel 1887. Espulso dall’Università di Kazan’ per aver partecipato alle proteste contro il regime zarista dell’Impero russo, dedicò gli anni successivi al conseguimento di una laurea in giurisprudenza. Nel 1893 si trasferì a San Pietroburgo, dove divenne una figura di alto livello nel Partito Operaio Socialdemocratico Russo ( POSDR ), un movimento di stampo marxista. Arrestato per sedizione nel 1895 ed esiliato a Shushenskoye per tre anni, sposò Nadežda Krupskaja. Al termine dell’esilio si trasferì in Europa occidentale, dove grazie alle sue numerose pubblicazioni divenne un teorico politico di primo piano. Nel 1903 assunse un ruolo chiave in una scissione del POSDR per via di alcune differenze ideologiche, leader della fazione bolscevica contro il menscevismo di Julij Martov. Incoraggiò l’insurrezione della fallita rivoluzione russa del 1905, in seguito promosse una campagna affinché la prima guerra mondiale fosse trasformata in una rivoluzione proletaria a livello europeo che, come il marxismo riteneva, avrebbe comportato il rovesciamento del capitalismo e la sua sostituzione con il socialismo. Dopo la rivoluzione russa di febbraio del 1917 che portò alla caduta della monarchia zarista e all’istituzione di un governo provvisorio, Lenin fece ritorno in Russia per una campagna per la rimozione del nuovo regime a favore di un governo bolscevico guidato dai soviet.

Lenin assunse un ruolo di primo piano nella rivoluzione d’ottobre del 1917, nella caduta del governo provvisorio e nella creazione di uno Stato monopartitico guidato dal nuovo partito comunista. Il suo governo abolì l’Assemblea costituente della Russia, ritirò il Paese dalla prima guerra mondiale con la firma del trattato di Brest-Litovsk insieme agli Imperi centrali e concesse un’indipendenza temporanea alle nazioni non russe sotto il controllo russo. Una legge per decreto ridistribuì terreni tra i contadini e nazionalizzò la grande industria. Gli avversari vennero soppressi durante il terrore rosso, una violenta campagna orchestrata dal Čeka; decine di migliaia di dissidenti vennero uccisi. Il governo di Lenin si dimostrò vittorioso sugli eserciti antibolscevichi nella guerra civile russa combattuta tra il 1917 e il 1922. Per rispondere alle carestie e alle rivolte popolari nel 1921 Lenin introdusse un sistema economico misto con la nuova politica economica. Il governo guidato da Lenin creò inoltre l’Internazionale Comunista e condusse la guerra sovietico-polacca per promuovere la rivoluzione mondiale, oltre a cercare di tenere uniti gli Stati vicini andando nel 1922 a costituire l’Unione Sovietica.

Ampiamente considerato una delle figure più significative e influenti del XX secolo, Lenin è stato oggetto postumo di un culto della personalità pervasivo all’interno dell’Unione Sovietica, fino alla sua dissoluzione avvenuta nel 1991. Divenne una figura ideologica dietro al marxismo-leninismo: ebbe, dunque, un’influenza di primo piano nel corso del movimento comunista internazionale.

Majakovskij vede e sente in Lenin la realizzazione e la verifica di speranze antiche degli oppressi. La storia della Rivoluzione è poetizzata e la figura di Lenin passa dalla cronaca-storia all’immagine poetica; il passaggio è ottenuto con mezzi sobri, incisivi.

Il poema è diviso in 15 canti: in essi l’autore traccia la storia di tutto il movimento operaio russo e internazionale, e intreccia questa storia con la vita di Lenin. Il poeta respinge subito ogni possibilità di “poesia di corte”: “Ma è possibile che di Lenin / si debba ancora dire “Condottiero per grazia di Dio”? / No, no, per niente: se fosse stato per grazia di Dio o imperiale / sarebbe scoppiata la mia ira. / Mi sarei messo contro i cortei / avrei sbarrato le strade alle folle”. Contro l’adorazione di Lenin, dunque: e per il riconoscimento che Lenin è un uomo, non un dio. Ma la vita di Lenin ha, per Majakovskij, un’importanza che varca i confini dello spazio e del tempo: “Breve è la vita di Ul’janov / ma la vita di Lenin non ha fine”.

Questa “vita vasta” nasce prima di Ul’janov, nasce col sorgere del proletariato, della “prima caldaia”: “Sua Altezza il Capitale, / senza diadema o corona, / rendeva schiava la forza dei contadini; / saccheggiava e rapinava la città / e ingozzava il ventre obeso / delle sue casseforti”. Intanto la classe operaia nasceva e “come una minaccia” già alzava “al cielo le sue ciminiere”.

Poi gli altri momenti, che hanno preceduto Lenin in questa storia del movimento operaio, scritta secondo i canoni e poeticamente viva: ecco Marx, il “fratello maggiore di Lenin”, il pianto delle ombre dei comunardi “straziati da Thiers”, la condanna delle azioni individualistiche, la lotta: “Per tutto questo, nella lontana Simbirsk, / nacque un bambino come gli altri, / Lenin”. Il momento centrale di Lenin fu l’esecuzione di suo fratello, fatto impiccare dallo zar per attività contro lo Stato: “Allora, a diciassette anni, Lenin pronunciò queste parole, / più sicure del giuramento del soldato / quando lo dice a mano levata: / “Siamo pronti a darti il cambio, fratello. / La vittoria sarà nostra, ma la strada che seguiremo diversa””. Non seguiremo qui tutte le immagini di Majakovskij: ecco il 1905, la sconfitta operaia, la pavida reazione degli intellettuali, le lucide indicazioni di Lenin, poi il 1914: “L’imperialismo nudo, / con la pancia scoperta e la dentiera, / col sangue che gli arriva ai ginocchi / divora paesi e paesi con le baionette. / Intorno gli stanno i cortigiani, / i patrioti” che dicono: “Operaio, combatti fino all’ultimo respiro”. Ma Lenin dice: trasformiamo la guerra imperialista in guerra civile. I popoli non hanno colpa. Contro la borghesia di tutti i Paesi leviamo la bandiera dell’Internazionale.

Ed ecco la Russia in rivolta: da Tabriz ad Arcangelo. Ed ecco i tentativi della borghesia di salvarsi: “Lo schiavo s’è ribellato. Picchialo a sangue. / E puntano contro Lenin l’arma di Kerenskij”. Lenin torna nell’illegalità, in Finlandia, ma per poco: viene l’Ottobre. “A tutti, a tutti, a tutti, / a tutti i fronti che rosseggiano di sangue, / a tutti gli schiavi che stanno sotto il pungo dei ricchi. / Il potere, tutto il potere ai Soviet. / La terra ai contadini. / Pace ai popoli. Pane a coloro che hanno fame”. Scoppia la guerra civile, ma lo Stato sovietico vince e fanno presa le parole di Lenin: “Noi, / anche ad ogni cuoca / insegneremo a dirigere lo stato”.

La guerra civile è finita, l’URSS è a pezzi: bisogna ricostruire, costruire. E Lenin promuove la ricostruzione, anche a costo di ritirate tattiche ( la Nuova politica economica ). Ma il comunismo di guerra era finito. Occorreva il comunismo di pace. Il penultimo canto è dedicato alla morte di Lenin e alle reazioni suscitate tra operai, soldati e contadini: “Era un uomo umano, in ogni vena. / Portate la sua bara e struggetevi per l’angoscia / uomini”. E non solo piangono in Russia: anche negli Stati Uniti “i negri piangono Lenin”.

Il poema è “ottimista” e Majakovskij, che passa dal tono profetico a quello sommesso, dal tono patetico a quello satirico, nell’ultimo canto esprime la sua fede nella continuità dell’opera del grande rivoluzionario russo.

Majakóvskij nacque a Bagdati, in Georgia (allora una provincia della Russia zarista), il 7 luglio del 1893, figlio di Vladimir Konstantinovič Majakóvskij, un guardaboschi russo appartenente ad una nobile famiglia di origini in parte cosacco-zaporoghe, e di Alexandra Alexeyevna Pavlenko, una casalinga ucraina. Orfano del padre a soli sette anni, ebbe un’infanzia difficile e ribelle; all’età di tredici anni, si trasferì a Mosca con la madre e le sorelle. Studiò al ginnasio fino al 1908, quando si dedicò all’attività rivoluzionaria. Aderì al Partito Operaio Socialdemocratico Russo e venne per tre volte arrestato e poi rilasciato dalla polizia zarista. ( Tratto da: ControAppuntoBlog.org )

Ho incontrato un operaio analfabeta. Non sillabava neppure una parola ma aveva sentito la voce di Lenin ed egli sapeva tutto

Ho ascoltato il racconto di un contadino siberiano: espropriarono le terre le difesero con le baionette e come un paradiso diventò il villaggio.
Essi mai avevano letto Lenin nè ascoltato la sua parola ed erano leninisti.

Ho visto montagne senza fili erbe nè fiori. Soltanto le nuvole pesavano sulle rocce
e nello spazio di cento chilometri c’era un solo montanaro; ma sopra il petto, nel vestito di stracci, gli scintillava il simbolo di Lenin.

Oh,non è un ornamento che le ragazze appuntano per civetteria, non è un amuleto, è un emblema il distintivo sul cuore che brucia peno di amore per llic.

Questo prodigio non si spiega coi libri della subdola teologia slava e non è un Dio che a lui ordinò:” Sii il mio eletto ”.
Con passo d’uomo e braccia d’operaio, con la sua intelligenza, egli percorse questo cammino

Vladimirovic Majakovskij – “Lenin”

 

 

 

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LIBRO: I Mille e Un Giorno – Raccolta di Fiabe Persiane

Turandot

LA STORIA DEL PRINCIPE CALAF E DELLA PRINCIPESSA TURANDOT

La favola di Turandot fa parte di una raccolta di fiabe persiane intitolata Les Mille et un Jour ( I mille e un giorno ). L’orientalista Francois Pétis de la Croix nel 1674 la raccolse e la trascrisse a Isfahan da un manoscritto persiano, probabilmente in forma di commedia indiana del XVI sec., ma sicuramente di antichissima origine.

Il nodo della vicenda ha inizio con la narrazione delle peregrinazioni di Calaf, principe dei
Nogai, che vaga in esilio con la madre Elmase e il Khan Timur suo padre in seguito alla
sconfitta subìta dall’invasione dell’esercito del Sultano Khoresmi. Dopo diversi episodi Calaf
giunge a Pechino, in Cina, per entrare al servizio dell’Imperatore Altoum-Khan; viene
informato delle crudeltà della principessa Turandot. Ella è ossessivamente memore di una
invasione patita dal suo regno, quando una sua mitica antenata, purissima fanciulla, divenne
preda di un soldato dell’esercito invasore, dal quale fu violentata e uccisa. Ritenendosi quasi
la reincarnazione di tale antenata ella aborre gli uomini sui quali esercita una continua
vendetta mandando a morte i suoi pretendenti alle nozze i quali non riescono a sciogliere gli
enigmi che ella propone come prova condizionale al matrimonio. Inorridisce Calaf ma, al
solo vedere un ritratto della Principessa se ne innamora e chiede ufficialmente di sottoporsi
alla prova. Seguono l’episodio degli enigmi ( Il Sole, il mare, il ciclo del tempo annuale ) risolti
da Calaf; l’ostinato rifiuto alle nozze di Turandot, e la proposta del principe di indovinare il
proprio nome. Nella notte di attesa la Principessa invia nelle stanze di Calaf una propria
schiava con l’intento di carpirne il nome. Ma la donna, innamorata segretamente di lui,
riesce con un inganno a conoscere il segreto del Principe, al quale propone di fuggire con lei
e lasciare la Cina, informandolo che Turandot è intenzionata a farlo assassinare nelle sue
stesse stanze. Ma Calaf rifiuta la fuga con lei ribadendo il suo amore per Turandot. La
schiava, allora, per vendicarsi, rivela il nome alla sua padrona, che all’alba del dì seguente lo
rende palese al padre vincendo la prova, eppure, soggiogata dalla perseveranza amorosa di
Calaf, accetta di sposarlo. A tal punto insorge la schiava delatrice che, al colmo della gelosia
e del disappunto passionale, trae un pugnale e si uccide, dichiarando di volersi sciogliere
dalle catene della schiavitù e da quelle dell’amore.
La salma della schiava vittima di un tenace sentimento viene rivestita sontuosamente e,
deposta presso le tombe degli imperatori della Cina, per cui diviene oggetto di culto
imperituro. ( Tratto da di Roberto De Simone Fondazione Petruzzelli )

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