Libro – Cesare Pavese: Vita colline libri

Langhe

Cesare Pavese: Vita colline libri

Le Langhe, o il luogo del mito – Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo il 9 settembre 1908, in quella che era la residenza di campagna dei genitori. Pur avendo vissuto per lo più a Torino, le Langhe rappresentano il suo luogo dell’anima e l’universo mitico cui attinge per lo sviluppo del suo percorso letterario. Santo Stefano Belbo, piccolo paese di provincia tra le Langhe e il Monferrato, è il luogo del ritorno e della partenza, alla continua ricerca di un’identità umana e poetica.

La passione per la letteratura americana – Cesare Pavese è un giovane appassionato di letteratura americana. Con una tesi di laurea su Walt Whitman, nel 1930, inizia il suo percorso di scoperta e divulgazione della letteratura d’oltreoceano. Questa attività, tra le altre, lo porterà negli anni, ad avvicinarsi al mondo dell’editoria, diventando poi direttore editoriale di Einaudi.

La Torino di Cesare Pavese – Il primo nucleo della struttura redazionale di casa Einaudi si forma negli anni ‘20, sui banchi del Liceo Ginnasio Massimo d’Azeglio di Torino dove insegna Augusto Monti, intellettuale antifascista di formazione crociana, amico di Piero Gobetti. Il collettivo di ex-allievi si riuniva al caffè Rattazzi, o nelle case dell’uno dell’altro, per discutere di politica, filosofia e letteratura. Era composto da Leone Ginzburg, Massimo Mila, Norberto Bobbio, Giulio Einaudi, Cesare Pavese e altri. Ma Torino per Pavese, e per i suoi compagni, non è solamente il luogo della formazione e del fermento politico. Amavano la città, i suoi viali, il Po, la collina, le osterie che si chiamavano Far West e i cinema dove si proiettavano film americani. “Mia amante, non madre né sorella”, così Cesare Pavese descriveva il suo legame con la città.

Il confino – Cesare Pavese si fa coinvolgere da questo clima culturale e politico. Nonostante l’atteggiamento contraddittorio rispetto alle posizioni dei compagni – si era iscritto al partito nazionale fascista per consentire alla sorella Maria di insegnare nelle scuole di Stato – nel 1935 viene arrestato per un transito di lettere da casa sua e indirizzate a Battistina Pizzardo, attivista comunista con la quale avrà una relazione. Pavese passa dalle Carceri Nuove di Torino al Regina Coeli di Roma. Viene condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro ed espulso dal Partito Nazionale Fascista. Per domanda di grazia gli vengono condonati due anni, così nel 1936 può ritornare a Torino.

…. FONDAZIONE CESARE PAVESE …..

Gli ultimi anni – Negli ultimi anni di attività, dal 1948 , arriva in casa Einaudi un giovane che Pavese prende sotto la sua tutela. Si tratta di Italo Calvino, di cui intuisce subito la grande intelligenza e leggerezza nello scrivere. Il giovane ligure rimarrà per sempre devoto a Pavese, che rappresenta per lui il segno della sua vita torinese, nonché il massimo insegnamento ricevuto nella scrittura, nel lavoro e nell’osservare le cose a modo suo. Cesare Pavese si toglie la vita nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1950, a Torino. Sarà Calvino a continuarne il lavoro in casa editrice senza mai dimenticare la lezione del suo maestro.

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Letture per l’Estate by Libreria Aiace Montesacro

Arbëreshë

Musica Arbereshe in Basilicata

San Costantino Albanese è una comunita’ di origine albanese. Il nome degli albanesi d’Italia è arbëresh. Secondo la tradizione, San Costantino Albanese sarebbe stato fondato da profughi Coronei, provenienti dalla città di Corone, nella Morea ( Grecia ), durante la quarta emigrazione avvenuta nel 1534, in seguito all’ occupazione dell’Albania da parte dell’impero Ottomano. Il re di Napoli li accoglie e li destina in varie parti del regno. Lazzaro Mattes, incaricato degli smistamenti, destina uno di questi gruppi presso il mandamento di Noja ( l’attuale Noepoli ). Sorge cosi’ il casale di San Costantino Albanese. Il paese è oggetto di alcuni privilegi regali: fino al 1671 i suoi abitanti sono esentati dalle tasse e dai pesi fiscali; i regnanti spagnoli vogliono premiarli per l’aiuto dato, in passato, nella battaglia contro i Turchi. Tra le cose che gli arbëreshë sentivano e sentono ancora oggi come loro peculiarita’ è la lingua, non solo come codice comunicativo ma simbolo stesso dell’etnia.
I costumi, le manifestazioni tradizionali e tutto l’ apparato folklorico e le consuetudini di vita contribuiscono, con la lingua, a caratterizzare l’ identita’ del gruppo etnico. La conservazione del rito Greco-Bizantino, fa ricadere la comunita’ sotto la giurisdizione ecclesiastica dell’ Eparchia di Lungro ( CS ).

La trasmissione della lingua e delle forme di cultura tradizionale è avvenuta per secoli secondo i meccanismi della tradizione orale, spesso all’interno delle famiglie.
Negli ultimi decenni la valorizzazione è avvenuta anche grazie a iniziative, quali corsi di lingua, iniziative culturali e musicali, promosse dalla scuola, dalle associazioni locali e dall’amministrazione comunale, nonche’ grazie a forme di volontariato.
Tra le figure più attive vanno menzionate quelle di Papas Antonio Bellusci, promotore della rivista Vatra Jone, la poetessa Enza Scutari, importante la sua azione sul piano didattico anche per quanto riguarda la valorizzazione della lingua; Pasquale Scutari per gli aspetti linguistici, Nicola Scaldaferri per quelli musicali.
A iniziare dagli anni 80 vanno menzionate varie associazioni quali il Circolo culturale Vellamja,Voxha Arbëreshe, Vatra Jone, Vjesh, tutte molto attive nella promozione di eventi di valorizzazione del patrimonio etnico, linguistico e musicale.Recentemente è stata istituita la Biblioteca di Cultura Albanese dove sono raccolti numerosi testi del mondo arbëresh. Sono presidi culturali importanti “L’Etnomuseo della Cultura Arbëreshe”, “La Casa Parco”, che ospita il Museo dell’Etnobotanica, mostre su aspetti antropologici e naturalistici, “Il Museo dell’Arte Sacra” e la Chiesa Madre con le sue splendide icone bizantine. Le manifestazioni culturali che vengono promosse sono numerose e di elevata qualita’. Uno sforzo maggiore andrebbe fatto nel campo della conservazione dell’antica lingua che andrebbe inserita anche come attivita’ didattica, insieme a tutte le altre attivita’ culturali arbëresh, gia’ praticate nella scuola. La lingua è l’elemento forte e fondante della nostra comunita’ e deve necessariamente essere tramandata alle future generazioni. ( Tratto da Regione Basilicata )

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Reggio 1970: la Rivolta

I fuochi del Sessantotto e dell’autunno caldo non sono ancora sopiti, quando scoppia, quanto mai inaspettata, una rivolta violenta nel Sud d’Italia. A Reggio Calabria i cittadini scendono in strada per protestare contro la mancata assegnazione del capoluogo regionale. È il 1970. Fra tentativi eversivi di golpe e infiltrazioni della criminalità organizzata, gruppi neofascisti, al grido di «Boia chi molla», raccoglie la bandiera dell’insurrezione: un caso unico nella storia del­l’Occidente sotto l’egida del Patto Atlantico. Cosa rimane oggi della pesante eredità di quella rivolta? Qual è stato il prezzo pagato dalla città e dal Sud? Perché con il passare degli anni una tendenza costante ha tentato di rimuovere questo episodio cruciale della vita del nostro paese? Al centro della ricostruzione storica, la memoria, collettiva e individuale, di chi la rivolta la fece, di chi la subì, e di chi invece stette a guardare. La straordinaria combinazione di fonti orali – duecento interviste raccolte direttamente dall’autore – e di documenti inediti, fra i quali quelli custoditi al Foreign Office di Londra e per la prima volta portati qui alla luce, dà vita a un affresco unico di quello che è stato il sommovimento più aspro della Prima Repubblica. Esso non riguardò solo la grande e irrisolta questione degli squilibri del Mezzogiorno, ma si inserì nel più ampio contesto nazionale, mobilitando forze politiche e sindacali, governo e opposizione, movimenti di opinione, magistratura, polizia, servizi e forze armate, e attirando in riva allo Stretto centinaia di giornalisti, chiamati a raccontare e interpretare, per mesi e mesi, quella che Pier Paolo Pasolini avrebbe definito «una guerra civile dimenticata». ( Donzelli )

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Stalin e le Grandi Purghe

Nonostante le critiche mossegli da Lenin nell’ultima parte della sua vita e il duro contrasto con Trockij, alla morte di Lenin assunse progressivamente, grazie alla sua abilità organizzativa e politica e al ruolo di segretario generale del partito, il potere supremo in Unione Sovietica. Dopo aver sconfitto politicamente prima la sinistra di Trockij, poi l’alleanza tra Trockij, Zinov’ev, Kamenev e poi la destra di Bucharin, Rykov e Tomskji, Stalin adottò una prudente politica di costruzione del “socialismo in un solo Paese”, mentre nel campo economico mise in atto le politiche di interruzione della NEP, di collettivizzazione forzata delle campagne e di industrializzazione mediante i piani quinquennali, lo stakanovismo e la crescita dell’industria pesante.

A metà degli anni trenta, in una fase di superamento delle difficoltà economiche e di crescita industriale, Stalin cominciò il tragico periodo delle purghe e del grande terrore in cui progressivamente eliminò fisicamente, con un metodico e spietato programma di repressione, tutti i suoi reali o presunti avversari nel partito, nell’economia, nella scienza, nelle forze armate e nelle minoranze etniche. Per rafforzare il suo potere e lo Stato sovietico contro possibili minacce esterne o interne di disgregazione, Stalin utilizzò il vasto sistema di campi di detenzione e lavoro ( gulag ) in cui furono imprigionati in condizioni miserevoli milioni di persone.

Dopo la vittoria Stalin, divenuto detentore di un enorme potere in Unione Sovietica e nell’Europa centro-orientale e assurto al ruolo di capo indiscusso del comunismo mondiale, accrebbe il suo dispotismo violento riprendendo politiche di terrore e di repressione. Morì a causa di un’emorragia cerebrale nel 1953, lasciando l’Unione Sovietica ormai trasformata in una grande potenza economica, una delle due superpotenze mondiali dotata di armi nucleari, e guida del mondo comunista. ( Wikipedia )

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Il Tempo dei Maghi

Lo storico della scienza Paolo Rossi definisce il secolo che va dal 1550 al 1650 come “il tempo dei maghi”. Definizione sorprendente, per chi pensa a quel secolo come al momento in cui è nata la scienza quale la intendiamo noi oggi. Tuttavia è ben vero che il pensiero magico è ancora, in quel lasso di tempo, al centro della cultura europea.
Occorre anche ricordare che nel Seicento varie corti europee costituivano centri di attrazione per maghi e astrologi, consultati dai regnanti – cui venivano talvolta attribuiti poteri taumaturgici – prima di prendere decisioni su questioni importanti quali di pace e di guerra, ma anche del tutto futili, come l’opportunità o meno di fare un bagno.
Astronomia e astrologia costituivano ancora due facce di una stessa disciplina: la prima era una scienza pratica, che aveva il compito di raccogliere dati, la seconda svolgeva la funzione di interpretare quei dati attribuendo loro dei significati. ( Tratto da Maria Pia Marenzana )

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Vita Economica di Roma nel Medioevo

Il fattore-economia riveste una primaria importanza nella società moderna, essendo un po’ la sua forza motrice. Naturalmente studiarne i vari elementi che compongono la sua particolare struttura, non può non significare un tuffo nel tempo. Poiché tutto ha radici in un «prima», l’indagine deve spingersi indietro, fino alle origini. L’economia è strettamente collegata con la storia degli uomini e dunque un’analisi del fenomeno è un’analisi dell’intero processo storico. È pur vero che, per più o meno lunghi periodi, sia per scarsa documentazione, sia per altre cause, lo studio è stato approssimativo o nullo, tuttavia a queste mancanze hanno posto – e pongono – rimedio le moderne ed accurate discipline di ricerca. La reviviscenza degli studi economici praticamente ha inizio nel secolo XVI e prosegue, in crescendo, fino ad oggi. Se già nel passato si volgeva l’attenzione indietro, verso un dato periodo dai particolari attributi, oggi, con le tecniche a disposizione, questo avviene con maggior frequenza. Così, lentamente, una tessera dopo l’altra, si ricostruisce il vasto mosaico lasciatoci in retaggio da coloro che furono. Ed una tessera, dalle sfumature inconfondibili, riguarda la Città Eterna. È la fase-passaggio dal libero Comune Romano alla Signoria dei Pontefici, periodo travagliato ma non a causa di influssi esterni: tutta «farina del proprio sacco», come si suol dire. Negli anni cui si riferisce il presente volume (1400-1607), maturano eventi non solo economicamente di rilievo, bensì di importanza civile, religiosa, politica

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Istoria del Concilio Tridentino

L’Istoria del concilio di Trento è un’opera di Paolo Sarpi, teologo, scienziato e storico veneziano (1552-1623). Sarpi, utilizzando gli archivi veneziani e documenti privati, ricostruisce le cause e le vicende del concilio nel periodo tra il 1523 e il 1563 e ne descrive l’esito. Nel breve proemio Sarpi, dopo aver esposto l’argomento dell’opera e le fonti alle quali ha attinto per scriverla, afferma che il Concilio è giunto a conclusioni opposte a quelle per le quali era stato convocato. Sarpi critica aspramente i risultati del Concilio che ha reso definitivo lo scisma tra cattolici e protestanti e ha rafforzato l’assolutismo della curia di Roma. L’Istoria del Concilio è un’opera di parte in cui Sarpi denuncia la natura politica dell’istituzione ecclesiastica e racconta la storia del suo consolidarsi come apparato di potere.

Paolo Sarpi ( Venezia, 14 agosto 1552 – Venezia, 15 gennaio 1623 ) è stato un religioso, teologo, storico e scienziato italiano cittadino della Repubblica di Venezia, appartenente all’Ordine dei Servi di Maria. Teologo, astronomo, matematico, fisico, anatomista, letterato e storico, fu tanto versato in molteplici campi dello scibile umano da essere definito da Girolamo Fabrici d’Acquapendente «Oracolo del secolo». Autore della celebre Istoria del Concilio tridentino, subito messa all’Indice, fu fermo oppositore del centralismo monarchico della Chiesa cattolica, difendendo le prerogative della Repubblica veneziana, colpita dall’interdetto emanato da Paolo V. Rifiutò di presentarsi di fronte all’Inquisizione romana che intendeva processarlo e subì un grave attentato che si sospettò essere stato organizzato dalla Curia romana, “agnosco stilum Curiae romanae”, che negò tuttavia ogni responsabilità. ( Wikipedia )

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Romanzo giallo: Nozze – Per i Bastardi di Pizzofalcone

Bastardi di Pizzofalcone

Per i Bastardi di Pizzofalcone

I bastardi di Pizzofalcone è un romanzo giallo dello scrittore italiano Maurizio De Giovanni del 2013. Il romanzo è il primo tra quelli ambientati nel commissariato di Pizzofalcone, ma il secondo con protagonista l’ispettore Giuseppe Lojacono.

Napoli. Il commissariato di polizia di Pizzofalcone è allo sbando, quattro agenti implicati nel traffico di droga sono stati allontanati. Verranno rimpiazzati dagli scarti dei contigui uffici.

Il nuovo commissario è Luigi Palma, quarantenne dal temperamento gioviale, un tranquillo divorzio alle spalle ed un interesse esclusivo per il lavoro. Giuseppe Lojacono, allontanato ingiustamente dalla sua Sicilia, è il più brillante tra gli ispettori anche se la sua condizione familiare è deprimente. Francesco Romano e la giovane agente Alessandra Di Nardo sono stati trasferiti a causa dei loro modi troppo rudi, mentre al raccomandato Marco Aragona è data l’ultima possibilità di restare in polizia.

Della vecchia squadra di Pizzofalcone sono sopravvissuti solamente l’anziano Giorgio Pisanelli e la quarantenne Ottavia Calabrese, ciascuno con seri problemi familiari. Un gruppo accomunato dal fatto di non avere niente da perdere che per questo affronterà la prima indagine con inattesa serietà: scoprire chi ha ucciso la ricca benefattrice Cecilia Festa, moglie di un famoso notaio.

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STORIA: Antonio Carioti: Alba Nera

Mussolini

QUANDO MUSSOLINI DA ROSSO DIVENNE NERO – IL LIBRO “ALBA NERA” DI ANTONIO CARIOTI RACCONTA COME SI GIUNSE ALLA MARCIA SU ROMA E ALLA NASCITA DEL FASCISMO IN UN INTRECCIO VINCENTE DI VIOLENZA, VOGLIA DI RIVINCITA E LOTTA ANTI-BOLSCEVICA – L’ASSEMBLEA DI PIAZZA SAN SEPOLCRO A MILANO DEL 23 MARZO 1919 A CUI PARTECIPARONO MARINETTI, FUTURI ANTIFASCISTI E MOLTI EBREI…

L’Inizio

Fedele al credo socialista del padre Alessandro, fabbro a Dovia di Predappio, Benito Mussolini si affina nelle frequentazioni giovanili in Svizzera dell’ esule russa Angelica Balabanoff, per seguire una carriera di militante che, dalla direzione di fogli di provincia e dalla collaborazione al periodico «La Folla» di Paolo Valera, lo porterà nel 1912 alla guida dell’«Avanti!». Un biennio di militanza intensa che si concluderà a fine ottobre 1914 sotto la spinta dei cambiamenti portati dalla guerra mondiale.

La Grande Guerra

La guerra trasformerà l’ Europa. E anche Mussolini non sarà lo stesso: il 15 dicembre 1917 pubblica il fondo Trincerocrazia , che «candida i reduci a classe dirigente del domani, forgiata dalla prova delle armi». E il 10 novembre dell’ anno successivo, dopo Vittorio Veneto, così il futuro Duce arringa gli arditi in piazza Cinque Giornate a Milano: «Il balenio dei vostri pugnali e lo scrosciare delle vostre bombe farà giustizia di tutti i miserabili che vorrebbero impedire il cammino della più grande Italia».

Il Programma sociale

l’ atto iniziale del fascismo, l’assemblea di piazza San Sepolcro a Milano del 23 marzo 1919, oltre a esaltare la guerra, il nazionalismo e l’antibolscevismo, prevede il voto ai diciottenni e alle donne, l’abolizione del Senato di nomina regia, la compartecipazione dei dipendenti nella gestione delle industrie, un prelievo fiscale sui grandi capitali, la nazionalizzazione delle fabbriche d’armi.

Dalla Crisi post-guerra all’incarico governativo del 30 ottobre 1922

( Spunti dall’articolo di Dino Messina su Corriere della Sera )

 

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LIBRI: Divina Commedia di Natalino Sapegno

Dante

Divina Commedia

Non è certo un caso che tali affermazioni si trovino nelle Dispense dedicate alle lezioni universitarie ( al 1937 Sapegno ricopre la cattedra di letteratura italiana presso la “Sapienza” di Roma ), così come il Compendio e il Commento alla Divina Commedia costituiranno lo “zoccolo duro” della formazione dei giovani italiani nel secondo dopoguerra.

Dopo l’unità d’italia scrivere la prima storia letteraria della nascente nazione era stato necessario per ricostruire il senso e il significato di una identità troppo spesso ignorata e calpestata. dopo il fascismo e la bufera della ii guerra mondiale era necessario riprendere quel discorso con le nuove generazioni, indirizzando la dantistica accademica, robusta per impegno storico e filologico, nella direzione dell’educativo.

Pertanto il Dante di Sapegno si colloca nella frattura fra il «sistema ideale della Scolastica e la realtà effettuale del tempo», vale a dire fra l’organica concezione del mondo propria del Medioevo e il suo sfaldarsi sotto i colpi di una profonda trasformazione sociale, morale e intellettuale.

Nell’Avvertenza, che precede il commento all’Inferno, sono chiariti i criteri metodologici seguiti da Natalino Sapegno, che si rivolge ai lettori ma soprattutto ai colleghi: Mi pareva anzitutto, e mi par tuttora essenziale che un commento, e sia pure un commento scolastico, alla Commedia dovesse serbare dappertutto un carattere rigorosamente critico.
(…)
era da porre pertanto la massima cura nell’indicare gli elementi arcaici della lingua ( lessico e sintassi ), affinché l’intendimento della lettura risultasse dovunque chiaro, ma nello stesso tempo esatto e non approssimativo.
Non si doveva trascurare nessuno di quei riferimenti culturali che fossero opportuni, perché il lettore si rendesse conto della complessa materia storica e culturale che la fantasia del poeta rielabora in modi sempre nuovi e originali, e il suo consenso all’arte grandissima e all’umanità dello scrittore non si appagasse in un’ammirazione tutta impressionistica e dilettantesca, ma si giustificasse in una comprensione reale e piena di una poesia che prende luce e significato da una peculiare e per noi remota condizione storica. ( Fonte: La Scuola )

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Aggiornato al 24 Agosto 2022

LIBRO: Scolpire il Tempo di Andrej Tarkovskij

Tarkovskij

Andrej Tarkovskij: il Grande Regista Russo

Tarkovskij nacque il 4 aprile del 1932 a Zavraž’e, nella oblast’ di Ivanovo, un piccolo villaggio sulle rive del Volga, figlio di Arsenij Aleksandrovič Tarkovskij (il padre di Arsenij fu principe regnante del Daghestan), poeta, e di Marija Ivanovna Višnjakova Tarkovskaja (1907-1979), donna dal carattere forte e dalla profonda religiosità, a lungo impiegata presso una tipografia.

Enorme per Tarkovskij fu l’importanza del rapporto con i genitori, fatto di amore viscerale per la madre, e di lontananze e incomprensioni col padre, il quale abbandonò la famiglia nel 1935, quando Andrej aveva tre anni, per ritornarvi nel 1945, dopo la guerra. In questa occasione il padre tentò di portare Andrej via con sé, ma la madre glielo impedì.

Nel 1952 Andrej si iscrive all’Istituto di Studi Orientali dell’Accademia delle Scienze di Mosca ( Moskovskij Institut Vostokovedenija ) e inizia a studiare arabo. Influenzato dalla religiosità della madre, si trova molto a disagio nell’ambiente accademico ateista dei più duri anni dello stalinismo. Nel 1954 abbandonò gli studi e, seguendo il consiglio della madre, andò a lavorare come geologo raccoglitore nella taiga siberiana. Il contatto con la natura durante le lunghe escursioni lo aiutò a ritrovare stimoli e a riconquistare una spiritualità che gli studi avevano minato. Il periodo della taiga siberiana fu oggetto di una sceneggiatura del 1958 che, però, non fu mai trasformata in pellicola: Concentrato ( koncentrat ). Il titolo si riferiva al capo di una spedizione geologica, che aspetta la barca che riporta i “concentrati” dei minerali raccolti dalla spedizione.

Nel 1956 Andrej Tarkovskij ritornò a Mosca e si iscrisse al VGIK ( Scuola Superiore di Cinematografia ), la più prestigiosa scuola di cinema dell’Unione Sovietica. Vi seguì i corsi di Michail Romm, quotato regista del periodo, esponente di quel realismo socialista che andava per la maggiore in quegli anni. Romm, al di là delle sue personali scelte estetiche, si dimostrò un uomo di larghe vedute e, sotto la sua ala, Tarkovskij poté sviluppare le proprie idee, cosa di cui fu riconoscente al maestro, verso il quale ebbe sempre parole di grande stima.

Scolpire il Tempo

” In Scolpire il tempo Tarkovskij raccoglie una riflessione quasi ventennale sulla sua attività cinematografica.

Un cinema di poesia nel senso di poièsis ( creazione, produzione di conoscenza ) in cui l’elemento “Tempo” rappresenta l’essenza, il perno sul quale si fondano le concezioni estetiche a lungo maturate dall’autore e magistralmente concretizzate in tre indiscussi capolavori: Andrej Rublev, Solaris e Stalker.

Immancabili i riferimenti alla poesia giapponese haiku – che costituisce una delle sue principali fonti d’ispirazione – per il modo in cui questa riesce a rendere “l’irripetibilità dell’istante afferrato e fermato che cade dall’eternità”.

L’arte è, nella propria essenza, qualcosa di quasi religioso: una sacra coscienza di un elevato dovere spirituale. L’arte priva di spiritualità reca in se stessa la propria tragedia. Persino la constatazione della mancanza di spiritualità del tempo in cui vive richiede all’artista la più alta e determinata elevatezza spirituale.

L’artista autentico è sempre al servizio dell’immortalità, si sforza di rendere immortale il mondo e l’uomo in questo mondo. L’artista che non tenta di scoprire la verità assoluta, che trascura le finalità globali per quelle particolari, è soltanto una prostituta. “

Cinematografia

Andrej Tarkovskij nel 1979 gira “Stalker”, tratto da un romanzo di fantascienza, questa volta dei fratelli Strugackij. Nel film si immagina che un misterioso esperimento abbia prodotto la Zona, un’area contaminata, dove le leggi della natura possono essere sovvertite e qualunque desiderio può essere esaudito. Uno scienziato e uno scrittore intraprendono un viaggio guidati da uno “stalker”, un individuo che riesce a muoversi fra i pericoli invisibili della Zona.

Nel 1979 Andrej Tarkovskij si reca in Italia per una co-produzione Rai, ma la sua famiglia viene trattenuta in ostaggio a Mosca. Insieme a Tonino Guerra comincia il progetto per il film “Nostalghia”. Dopo il 1980 il regista non ritorna più in URSS, ma comincia una vita da esule trascorsa fra la Francia e l’Italia. Il comune di Firenze in particolare gli dona un appartamento. Nel 1983 esce “Nostalghia”, prodotto dalla Rai fra molte difficoltà e presentato con successo a Cannes.

Nel 1985 comincia a girare “Sacrificio” ( 1986 ) in Svezia, insieme ai collaboratori abituali dell’amico Ingmar Bergman. È la storia di un uomo, Alexander che vive su un isola con la sua famiglia. Allo scoppio della guerra nucleare l’uomo prega Dio di salvarlo, in cambio darà via tutto quello che ha. Il tempo sembra tornare indietro e Alexander in cambio dà fuoco alla propria casa distruggendo tutto.

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

Aggiornato al 16 Settembre 2022

 

 

Libri Rari & da Collezione by Libreria Aiace Roma Montesacro

Biblioteca Alessandria Egitto

MICOLI & ROTOLI: I CAPELLI NELL’ANTICO EGITTO

PATOLOGIA, TERAPIA, COSMESI NEI TESTI MEDICI

Ai tempi delle piramidi e dei faraoni le pettinature dei reali erano curate con grande precisione. In molte occasioni, i capelli naturali venivano rasati e sostituiti con elaborate parrucche realizzate con capelli umani e fibre vegetali. La tricologia era una disciplina già conosciuta anche a quei tempi, dato che uno dei primi tricologi di cui i testi dell’epoca riportano notizia era l’egiziano Hakiem el Demagh, che esercitava la professione nel 4.000 a.C..

All’epoca andavano in voga acconciature voluminose e stravaganti, per questo motivo, si faceva un grande uso di oli e cere per fissare i capelli nella posa desiderata.

Inoltre, gli antichi egizi amavano infoltire i capelli con ciocche posticce o semplicemente tingerli e adornarli con forcine e gioielli.

Il colorante più comune era l’henné, che, mischiato con il sangue di animali, donava ai capelli diverse tonalità di arancione e rosso. Per creare tinture scure, invece, gli antichi egizi estraevano da una pianta una sostanza chiamata indaco.

Contro la calvizie venivano applicati sulla chioma degli impasti a base di grasso animale o degli impacchi vegetali di foglie di lattuga o semi di fieno.

 

BACHTIN: DOSTOEVSKIJ – EINAUDI

Nella vasta letteratura su Dostoevskij il libro di Michail Bachtin costituisce una tappa obbligatoria per chiunque si interessi del grande romanziere russo. Questo lavoro occupa infatti un posto centrale nella ricerca teorica e storica di Bachtin, il quale si è affermato come uno dei maggiori critici di storia letteraria del secolo.

Il saggio di Bachtin non vuol essere una monografia critico-biografica tradizionale, né una ennesima interpretazione filosofica o psicologica di Dostoevskij.

Attraverso una originale e magistrale analisi stilistica, Bachtin individua le categorie essenziali della «poetica» dostoevskiana e coglie la novità di questo mondo narrativo nella «polifonia», nell’insubordinazione delle «voci» dei personaggi a una conchiusa e cristallizzata concezione del mondo a esse estranea.

Nel suo insieme e, esplicitamente, in alcune sue parti teoriche e storiche, questo studio ha anche un valore generale di metodo, aprendo prospettive nuove agli studi sulla struttura del romanzo. ( Fonte: Einaudi )

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GOZZANO GUIDO: TUTTE LE POESIE – MONDADORI

Guido Gustavo Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – Torino, 9 agosto 1916) è stato un poeta e scrittore italiano. Il suo nome è spesso associato alla corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Nato da una famiglia benestante di Agliè, inizialmente si dedicò alla poesia nell’emulazione di Gabriele D’Annunzio e del suo mito del dandy. Successivamente, la scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli lo avvicinò alla cerchia di poeti intimisti che, poi, sarebbero stati denominati “crepuscolari”, accomunati dall’attenzione per “le buone cose di pessimo gusto”, con qualche accenno estetizzante, il “ciarpame reietto, così caro alla mia Musa”, come le definì ironicamente lui stesso. Morì a soli 32 anni, a causa del cosiddetto mal sottile, termine caduto in disuso che stava ad indicare la tubercolosi polmonare che lo affliggeva. Alla tubercolosi, che lo afflisse fin dal 1904, è collegato un viaggio in India nel 1912, intrapreso con la speranza di trovare nel clima di quel Paese un sollievo alla sua malattia. Durante il suo soggiorno in India scrisse una serie di articoli, raccolti nel volume postumo Verso la cuna del mondo (1917). Più importanti le sue raccolte in versi: La via del rifugio (1907) e I colloqui (1911). Il mondo da lui descritto è quello provinciale, piccolo-borghese, visto con amore, ma allo stesso tempo con un certo distacco ironico.

 

Gozzano

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Libri & Letture

AGGIORNATO 3 FEBBRAIO 2024

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Il Piacere della Lettura by Libreria Aiace Roma Montesacro

Bibbia

M.H. ABRAMS, LO SPECCHIO E LA LAMPADA, Il MULINO

Riagganciandosi alle teorie organicistiche di Samuel Taylor Coleridge e studiando in particolare William Wordsworth ( di cui in qualche modo legittima in sede critica la grandezza ), Abrams dimostra che la poesia prima dei romantici era vista essenzialmente come specchio riflettente il mondo reale, per qualche tipo di mimesis, ma con l’avvento dei romantici la poesia fu vista piuttosto come una lampada che dall’interno del poeta rischiara il cammino ( in The Mirror and the Lamp ).

Un’altra sua tesi è che le teorie letterarie si dividono in quattro gruppi:

A) le teorie mimetiche (che mettono in relazione l’opera con l’universo)
B) le teorie pragmatiche (che si interessano della relazione tra opera e pubblico)
C) le teorie espressive (che guardano al rapporto tra opera e artista)
D) le teorie oggettive (interessate all’opera in quanto tale).

In Natural Supernaturalism (1971), con altrettanta autorità, Abrams riallaccia il Romanticismo al pensiero Cristiano e Neoplatonico, sostituendo il “Preludio alle Lyrical Ballads” con l’introduzione a The Recluse quale opera centrale del pensiero di Wordsworth, e spostando la visione del poeta-lampada verso quella del poeta-redentore che tenta di restaurare il divino.

In ogni caso, Abrams ha voluto vedere nel pensiero romantico inglese e tedesco una vera e propria svolta decisiva dell’Occidente. ( Wikipedia )

LA SACRA BIBBIA, CASA ED. SALANI, 1963

Il Vaccari fu il primo ad affrontare una traduzione in italiano della Bibbia dai testi originali»83. Fu il primo cattolico romano, ma lo aveva, seppur di poco, preceduto il protestante Giovanni Luzzi. L’iniziativa di traduzione del Vaccari fu suscitata da una richiesta di Pio X al Pontificio Istituto biblico, fondato nel 190984. Vaccari pubblicò una traduzione del Pentateuco nel 1923 e una dei libri poetici nel 1925. L’opera fu completata nel 1958, avvalendosi di altri collaboratori, con il titolo La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali con note a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma, presso la casa editrice Salani. ( Treccani )

La Bibbia è il testo sacro della religione ebraica e di quella cristiana.
È formata da libri differenti per origine, genere, composizione, lingua, datazione e stile letterario, scritti in un ampio lasso di tempo, preceduti da una tradizione orale più o meno lunga e comunque difficile da identificare, racchiusi in un canone stabilito a partire dai primi secoli della nostra era.

Diversamente dal Tanakh ( Bibbia ebraica ), il cristianesimo ha riconosciuto nel suo canone ulteriori libri suddividendo lo stesso in: Antico Testamento ( o Vecchia Alleanza ), i cui testi sono stati scritti prima del “ministero” di Gesù ( Nuovo Testamento ) che descrive l’avvento del Messia.

La parola “Testamento” presa singolarmente significa “patto”, un’espressione utilizzata dai cristiani per indicare il patto stabilito da Dio con gli uomini per mezzo di Gesù e del suo insegnamento. ( Wikipedia )

A. L. KROEBER, LA NATURA DELLA CULTURA, IL MULINO, 1974

Alfred L. Kroeber è una delle figure più rappresentative dell’antropologia culturale americana. La sua attività antropologica presenta una tale complessità di aspetti e di interessi da collocarlo senz’altro tra i classici di questa disciplina: dalle ricerche etnografiche sugli Indiani della California e del Sud-Ovest alle indagini archeologiche in Messico e in Perù, dalla ricostruzione etnologica delle aree culturali del Nord-America alla considerazione di diversi modelli culturali delle più importanti civiltà storiche, dall’analisi dei sistemi di terminologia di parentela di numerose società preletterate o di alcuni fenomeni della moda occidentale alla riflessione teorica sui più importanti problemi dell’antropologia culturale e specialmente sul concetto di cultura.

« La natura della cultura •, che rappresenta appunto una sintesi di tali temi e raccoglie una vasta serie di saggi scritti da Kroeber nel primo cinquantennio del ‘900, consente di ripercorrere le tappe fondamentali della ricerca di questo antropologo e di valutare gli esiti a cui egli è pervenuto nel suo lungo
itinerario intellettuale. E ciò è tanto più importante in un momento in cui, anche in Italia, l’antropologia culturale è costretta a ridefinire il proprio campo d’indagine e i propri metodi.

Nato nel 1876 a Hoboken, New Jersey, da una famiglia di origine tedesca, Alfred L. Kroeber visse gli anni della sua formazione a New York, dove frequentò il Columbia College. Fu tra i primi allievi di Franz Boas, che proprio in quegli anni dava vita in quell’università ad un importante centro di studi antropologici. Nel 1901 conseguì il Ph.D e si recò a Berkeley dove iniziò ad insegnare e collaborò all’organizzazione del Museo e Dipartimento di Antropologia. Nel 1946 Kroeber lasciò l’Università della California per recarsi come • visiting professor • in numerose altre università americane.
Morì a Parigi nel 1960.

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Libri & Letture

Libri d’Occasione by Libreria Aiace Roma Montesacro Talenti

Manganelli Giorgio

GIORGIO MANGANELLI, TUTTI GLI ERRORI, RIZZOLI, 1986

Giorgio Manganelli nacque a Milano, aveva però genitori di origini parmensi. La madre Amelia Censi faceva la maestra, il padre, di origini umili, riuscì a diventare procuratore di borsa. E Giorgio aveva un fratello più grande, Fiorenzo, che sarà ingegnere. Laureatosi in Scienze Politiche presso l’Università di Pavia, dove fu allievo di Vittorio Beonio Brocchieri, insegnò per qualche anno alle scuole medie superiori tra le quali il liceo scientifico Paolo Giovio di Como, fu in seguito assistente di letteratura inglese presso la Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Nel 1986 Giorgio Manganelli ha pubblicato un raccolta di racconti, Tutti gli errori, tra cui il racconto Gli sposi.

Durante il cammino, lo sposo arriva in una piazza, ed ecco quel che accade …..

Al primo incrocio si apre una piazza circolare, e nel centro è una aiuola un poco meschina, e nel centro dell’aiuola sta un monumento alla giustizia con una grande, goffa, ingombrante figura femminile. Mi arresto a guardare da presso, e mentre esamino la forma pesante e opaca, mi si accosta un dignitoso signore, che mi chiede se voglio una descrizione attendibile della statua. [..] “Questa che lei può ammirare”, principia il dignitoso signore “è la statua della giustizia. La città è a ragione orgogliosa di un monumento così impegnativo dal punto di vista ideologico. Ella potrà ammirare la bilancia ” e mi indica l’ovvia, irritante immagine “che rappresenta equità e rigore. Noti le enormi chiappe, che esprimono la certezza che la giustizia non sia in alcun modo sfidabile, che essa è un luogo stabile anzi un trono. La donna, lei lo avrà notato, non è bella; per l’appunto, non è compito della giustizia presentare fattezze accattivanti, ma anzi lievemente disgustose. Essa non lusinga alcuno, non ama alcuno, non conosce alcuno. Può notare che lo sguardo è distratto e vacuo, giacché non è interessata che a se stessa. Tuttavia la sua potenza è enorme. [..] Alcuni anni or sono un vecchio più che novantenne davanti a questa statua venne colto da un subito stravolgimento, e confessò due delitti impuniti da lui compiuti nella sua lontana giovinezza. [..] Le ricerche subito condotte non rivelarono traccia alcuna di un così antico delitto; le avesse cancellate il trascorrere del tempo, o non fossero mai avvenuti i due delitti. Il vecchio, che non era possibile incriminare, dette in una forma di follia. [..] Fu infine chiaro che, avesse o meno costui compiuto un qualsiasi delitto, si era istituito tra il vegliardo e la statua un rapporto che poteva esser placato solo con un atto di giustizia. Un pio falso gli attribuì un delitto mai avvenuto, ed il vegliardo venne condannato [..]. Incidentalmente, qualche anno dopo la sua morte, nell’abisso venne trovato un teschio, e non è impossibile che egli fosse stato in effetti colpevole del delitto che pareva oggetto di fatua vanteria. Signore, la giustizia non può perdonare; se non trova un delitto ragionevole, ne contesterà uno insensato. Non il delitto, signore, crea la giustizia, ma questa quello. Spero che la contemplazione di questo essere poderoso e deforme la consolerà lungo la strada”.

F. COARELLI, ROMA, GUIDE ARCHEOLOGICHE, MONDADORI, 2006

LA REGGIA DI NERONE: STORIA

Costruito prima del 64 d.C. ( anno dell’incendio di Roma ), questo edificio nacque come reggia personale di Nerone. Era chiamato originariamente Domus Transitoria, poiché era posta in mezzo al percorso che conduceva dal Palatino all’Esquilino; alcune informazioni sono state tratte da Svetonio, che racconta come uno scandalo il grande impegno profuso nell’edificazione di questo luogo. Caduto poi nell’oblio, furono i Farnese a riscoprirlo, identificandolo erroneamente come i Bagni di Livia. Fu l’inizio della deturpazione del palazzo: molti oggetti vennero prelevati, mentre gli affreschi vennero staccati dai loro muri e mandati a Parma.

LA REGGIA DI NERONE: COM’È

Il Parco archeologico del Colosseo ha restituito ai visitatori luoghi e percorsi da tempo inaccessibili, come l’itinerario di visita neroniano all’interno dell’area archeologica centrale che si estende dal Colle Oppio al Palatino. Il visitatore può toccare con mano, tra reale e virtuale, il genio costruttivo dell’imperatore e le sperimentazioni da lui ricercate nelle decorazioni pittoriche e marmoree. Gli elementi rimasti invariati rispetto allo status originario sono molteplici: tra i più impressionanti, uno spazio originariamente occupato da un ricco ninfeo ( elemento absidale al centro del quale sorgeva una fontana ) con giochi d’acqua, tra forme architettoniche simili a una quinta teatrale, oltre a un triclinio circondato da colonne di porfido e pilastri in marmi policromi. Visibili altre due stanze di cui restano i segni della preziosa decorazione di affreschi, stucchi e pavimenti marmorei, così come la zona della latrina, dove è conservata una parete con le tracce dell’originaria decorazione elementi vegetali tipici della pittura di giardino. La bellezza raggiunge il culmine con il pavimento della grande aula a tre navate sotto la Casina Farnese, forse l’esemplare più raffinato restituitoci dall’antichità romana.

CARPINTERI & FARAGUNA, POVERO NOSTRO FRANZ, LA CITTADELLA, 1985

Lino Carpinteri e Mariano Faraguna sono due autori tradizionalmente lasciati ai margini degli studi critici sulla letteratura triestina. Tuttavia, la loro narrativa che trova la sua espressione più complessa nella raccolta intitolata Le Maldobrìe, offre un punto di vista alternativo sulla difficile questione dell’identità culturale di Trieste e del suo entroterra. Le storie narrate nelle Maldobrìe evocano la vecchia Trieste imperiale e mettono in evidenza attraverso personaggi ordinari il difficile eppure ineluttabile rapporto con la cultura austro-ungarica. Il passato diventa uno specchio in cui, attraverso piccole vicende quotidiane, viene riesaminato un aspetto centrale ed insopprimibile dell’identità triestina.

L’impero austroungarico scompariva nel 1918. Ma per gli intellettuali e i poeti di quella civiltà, che videro
improvvisamente distrutta la loro società e con essa le basi della loro vita e della loro cultura, per gli scrittori austriaci che si trovarono sbalzati in un nuovo clima politico, alle cui esigenze la loro formazione non poteva essere adeguata, la vecchia Austria absburgica si presentava, e si presenta talvolta ancora, come un’epoca felice e armoniosa, come un’ordinata e favolosa Mitteleuropa in cui pareva che il tempo non corresse cosí veloce e cosí ansioso di dimenticare le cose e i sentimenti dell’ieri. Nella loro memoria quella veniva cosí ad essere “l’età d’oro della sicurezza”. ( Magris, 1996:13 )-

 

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Libri & Letture

Librerie a Roma – Libri Rari & d’Occasione: Libreria Aiace

Scienza greca

ANDRE’ PICHOT, LA NASCITA DELLA SCIENZA, DEDALO, 1993

Le conoscenze mesopotamiche ed egizie, acquisite senza metodo scientifico ma mescolando empirismo, razionalità, magia e mistica, e strutturandosi intorno ad oggetti specifici, quali i numeri, gli astri e gli esseri viventi, furono riprese con uno spirito del tutto diverso dalla Grecia. Alla Mesopotamia, legata alla mistica numerica ed astrologica, ed all’Egitto, più attento ai bisogni protici, subentrò successivamente la scienza greca che si preoccupò non tanto di accumulare risultati «positivi», quanto di trovare principii generali e spiegazioni razionali. Le conoscenze scientifiche di queste tre grandi civiltà hanno costituito le fondamenta della scienza occidentale, che non ha troscurato altri apporti (indiani, cinesi, arabi) ma li ha innestati in un corpus i cui criteri generali erano stati già stabiliti. ( Dedalo )

André Pichot (1950) è un filosofo e storico della scienza francese, noto in particolare per i suoi contributi nei campi dell’epistemologia e della storia della scienza.

M. ENDE, LA STORIA INFINITA, 1985

La storia infinita è un romanzo fantastico dello scrittore tedesco Michael Ende, pubblicato nel 1979 a Stoccarda dalla Thienemann Verlag. Tradotto in più di quaranta lingue, il romanzo ha venduto oltre 10 milioni di copie nel mondo ed è diventato un classico della letteratura per ragazzi]. La prima edizione in italiano risale al 1981, a cura della Longanesi.

La maggior parte della storia si svolge a Fantàsia, un mondo fantastico minacciato dall’espansione di una forza misteriosa chiamata Nulla, che causa la sparizione di regioni sempre più estese del regno. Il coprotagonista è Atreiu, un giovane guerriero che viene incaricato dall’Infanta Imperatrice di trovare una soluzione al problema di Fantàsia; il protagonista è invece un bambino del mondo reale, Bastiano Baldassarre Bucci, che, leggendo un libro sul Regno di Fantàsia, si ritrova progressivamente coinvolto negli eventi del racconto. Diventato anche lui parte di Fantàsia, Bastiano aiuta Atreiu nel tentativo di salvare il regno e dovrà infine trovare un modo per ritornare nel mondo reale.

L’opera è stata adattata in una varietà di media diversi, che vanno dal teatro ai videogiochi, dal cinema alla televisione. Proprio dal romanzo di Ende, Wolfgang Petersen ha tratto nel 1984 il celebre lungometraggio La storia infinita. ( Wikipedia )

MARCO DI BRANCO, 915, LA BATTAGLIA DEL GARIGLIANO, IL MULINO 2019

Tutta la vicenda delle scorrerie islamiche nell’Italia meridionale nel IX secolo fu una vera e propria guerra di conquista messa in atto dall’élite aghlabita, tentando di sfruttare le divisioni politiche presenti all’interno della penisola.

Le conquiste arabe, dalla Siria alla Spagna, si sono svolte secondo la medesima strategia: veloci attacchi, rapide ritirate, violenti saccheggi, fino a fiaccare la resistenza del nemico e a sottometterlo definitivamente; sempre approfittando delle contese fra le popolazioni locali, dei contrasti fra chi vuole resistere e chi preferisce accordarsi.

Agli inizi del IX secolo ci sono città ( Napoli e Amalfi in particolare ) che intrattengono coi saraceni ottimi rapporti commerciali, e che tutto vogliono fuorché combatterli; e ci sono signorotti, come Radelchi e Siconolfo, che negli anni 40 del secolo si contendono il ducato di Benevento, che non esitano ad arruolare per i loro scopi truppe “infedeli”. Inserendosi dunque nelle contese locali, gli arabi avviano una serie di campagne che li conducono nell’840 a conquistare Taranto, nell’846 a saccheggiare le chiese di San Pietro e San Paolo, allora fuori dal perimetro delle mura di Roma – e proprio per evitare il ripetersi dell’evento Papa Leone IV farà costruire le Mura leonine, un paio d’anni dopo a impadronirsi di Bari, dove fondano un vero e proprio emirato, a cui anche il più potente signore dell’Italia meridionale, il duca di Benevento, dovrà sottomettersi. Il contrattacco dei cristiani durerà a lungo, a lungo sarà minato dalle contese fra loro, e si concluderà solo nel 915, con la battaglia del Garigliano. ( Il Foglio )

 

 

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