ROMANZO by Louis-Ferdinand Céline: Morte a credito

Eccoci qui, ancora soli. C’è un’inerzia, in tutto questo, una pesantezza, una tristezza… Fra poco sarò vecchio. E la sarà finita, una buona volta. Gente n’è venuta tanta, in camera mia. Tutti han detto qualcosa. Mica m’han detto gran che. Se ne sono andati. Si son fatti vecchi, miserabili e torpidi, ciascuno in un suo cantuccio di mondo.

 

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CELINE, MORTE A CREDITO 

Morte a credito ( in francese: Mort à crédit ) è il secondo romanzo di , pubblicato nel 1936. È considerato uno dei capolavori della letteratura francese del Novecento.

Esso è un antefatto di Viaggio al termine della notte, infatti racconta l’infanzia nel Passage Choiseul, le esperienze familiari, scolastiche, erotiche, di viaggio e di lavoro del suo personaggio, Ferdinand Bardamu, il suo alter ego, e termina con il suo arruolamento nell’esercito per la prima guerra mondiale. Il romanzo è una presa di distanze dalla vita, perché essa non è quello che l’uomo crede comunemente essa sia; perché alla fine la vita ci porta a conquistare quell’unico credito che siamo sicuri di poter riscuotere: la morte.

Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches ( Courbevoie, 27 maggio 1894 – Meudon, 1º luglio 1961 ), è stato uno scrittore, saggista e medico francese.

Considerato un originale esponente delle correnti letterarie del modernismo e dell’espressionismo, Céline è ritenuto uno dei più influenti scrittori del XX secolo, celebrato per aver dato vita ad uno stile letterario che modernizzò la letteratura francese ed europea. La sua opera più famosa, Viaggio al termine della notte ( Voyage au bout de la nuit, 1932 ), è un’esplorazione cupa e nichilista della natura umana e delle sue miserie quotidiane. Lo stile del romanzo, e in generale di tutte le opere di Céline, è caratterizzato dal continuo ed eccletico amalgamarsi di argot, una particolare forma di gergo francese, e linguaggio erudito, e dal frequente uso di figure retoriche, quali ellissi ed iperboli, oltreché dall’impiego di un dissacrante e spiazzante humour nero, che lo impose come un innovatore nel panorama letterario francese. La maggioranza dei suoi libri originano da spunti autobiografici, e sono narrati in prima persona da Ferdinand, il suo alter ego letterario.

Per le sue prese di posizione politiche e affermazioni, in favore delle potenze dell’Asse, prima e durante la seconda guerra mondiale, esposte in pamphlet violentemente antisemiti, Céline rimane oggi una figura controversa e discussa. Emarginato dalla vita culturale dopo il ’45, il suo stile letterario fu preso a modello da alcuni scrittori che gravitavano attorno alla Beat Generation statunitense.Anche Charles Bukowski aveva grandissima ammirazione per la prosa letteraria di Céline, e lo definì “il più grande scrittore degli ultimi duemila anni”. ( Wikipedia )

 

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Aggiornato al 28 Novembre 2023

Storia della Rote Armee Fraktion: Ulrike Mainhof

RAF

Rote Armee Fraktion

La Rote Armee Fraktion ( Frazione dell’Armata Rossa ), abbreviata in RAF e nelle prime fasi conosciuta comunemente come Banda Baader-Meinhof, è stata uno dei gruppi terroristici di estrema sinistra più importanti e violenti nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Fondata il 14 maggio 1970 da Andreas Baader, Ulrike Meinhof, Gudrun Ensslin e Horst Mahler, fu attiva fino al 1993 e formalmente disciolta nel 1998.

La Rote Armee Fraktion fu responsabile di numerose operazioni terroristiche, specialmente nell’autunno del 1977, che portarono a una crisi nazionale conosciuta con il nome di “autunno tedesco”. È stata responsabile di 33 morti tra figure di spicco in campo politico ed economico, rispettivi autisti e guardie del corpo, poliziotti, agenti di dogana e soldati americani, nonché del sequestro e omicidio di Hanns-Martin Schleyer, oltre a diverse prese in ostaggio, rapine in banca ed attentati esplosivi con oltre 200 feriti. Per mano della polizia e dei servizi segreti tedeschi, suicidio o sciopero della fame, 24 membri e simpatizzanti della RAF furono assassinati. Anche se più conosciuta, la RAF condusse meno attacchi terroristici rispetto alle Revolutionäre Zellen ( RZ ), formazione che fu responsabile di 296 attentati fra il 1973 e il 1995.

La RAF descriveva sé stessa come un gruppo di “guerriglia urbana” comunista e anti-imperialista, sul modello dei tupamaros uruguaiani, impegnato nella resistenza armata contro quello che loro definivano uno “stato fascista” e nella rivoluzione proletaria. Perciò, i membri della RAF, quando scrivevano in inglese, generalmente usavano il termine marxista-leninista “Fazione”.

Si sono evidenziate 3 fasi storiche nell’organizzazione: la “prima generazione” di Baader e dei suoi sodali; la “seconda generazione” della RAF, che cominciò a metà anni settanta e fu caratterizzata dall’ingresso nel gruppo di elementi dell’SPK (Collettivo Socialista dei Pazienti); infine la “terza generazione” degli anni ottanta e novanta.

Il 20 aprile 1998, una lettera dattiloscritta di otto pagine in tedesco firmata RAF (e con il caratteristico simbolo della pistola mitragliatrice Heckler & Koch MP5 sopra una stella rossa) fu inviata via fax all’agenzia di stampa Reuters, dichiarando lo scioglimento del gruppo. ( Wikipedia )

ULRIKE MEINHOF, AMMUTINAMENTO – SAVELLI

Ulrike Marie Meinhof ( Oldenburg, 7 ottobre 1934 – Stoccarda, 9 maggio 1976) è stata una giornalista, terrorista e rivoluzionaria tedesca, cofondatrice del gruppo armato tedesco-occidentale di estrema sinistra Rote Armee Fraktion, meglio noto come “R.A.F.” e conosciuto dalla stampa anche come Banda Baader-Meinhof.

All’inizio fu giornalista militante della sinistra radicale tedesco-occidentale, ed ebbe numerosi e fervidi contatti con membri dell’intellighenzia letteraria tedesca, tra cui Heinrich Böll, che scrisse un articolo su di lei[1], Hans Mayer e Marcel Reich-Ranicki. Fu coinvolta anche nel movimento anti-nucleare e fu editrice del giornale radicale konkret.

Nel 1961 sposò Klaus Rainer Röhl, giornalista ed editore del giornale comunista konkret, in cui lavorava la Meinhof, dal quale ebbe due figlie, le gemelle Bettina e Regine. Nel 1968 divorziò dal marito e aumentò il proprio impegno politico, venendo coinvolta in gruppi estremisti con base a Berlino Ovest, e maturando un senso sempre maggiore di frustrazione per l’inerzia e la poca forza ribelle dei gruppi radicali e della sinistra. Il 14 maggio 1970 aiutò il terrorista e rapinatore Andreas Baader a evadere dalla prigione, in quella che venne considerata la sua prima azione e l’inizio della Rote Armee Fraktion (RAF).

Dopo l’ evasione di Baader, Ulrike Meinhof si diede alla clandestinità insieme ad altri estremisti, dando vita al gruppo che venne ribattezzato dalla stampa tedesca “Banda Baader-Meinhof”.

Unita al gruppo di fuoco della RAF, Ulrike trascorse un periodo in Giordania per essere addestrata all’uso delle armi. Dopo il rientro in Patria, il gruppo effettuò furti e attentati a impianti industriali e basi militari statunitensi, nei quali rimasero uccise varie persone. Durante la clandestinità Ulrike Meinhof elaborò ciò che divenne il documento programmatico della RAF: ella infatti scrisse molti dei trattati e dei manifesti che il gruppo produsse, incluso quello sul concetto di guerriglia urbana, descrivendo quello che chiamava sfruttamento dell’uomo comune da parte dell’imperialismo dei sistemi capitalisti. ( Wikipedia )

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Aggiornato al 28 Novembre 2023

 

Storia della Letteratura Italiana

Dante

La Storia della Letteratura Italiana fu pubblicata la prima volta nel 1870 in due volumi

Il più antico documento della nostra letteratura è comunemente creduto la cantilena o canzone di Ciullo ( diminutivo di Vincenzo ) di Alcamo, e una canzone di Folcacchiero da Siena. Quale delle due canzoni sia anteriore, è cosa puerile disputare, essendo esse non principio, ma parte di tutta un’epoca letteraria, cominciata assai prima, e giunta al suo splendore sotto Federico secondo da cui prese il nome. Federico secondo, imperatore d’Alemagna e re di Sicilia, chiamato da Dante “cherico grande”, cioè uomo dottissimo, fu, come leggesi nel novelissimo signore, nella cui corte a Palermo venia “la gente che avea bontade, sonatori, trovato ri e belli favellatori”. E perciò i rimatori di quel tempo, ancorchè parecchi sieno d’altra parte d’Italia, furono detti siciliani. Che cosa è la cantilena di Ciullo? È una tenzone, o dialogo tra Amante e Madonna, Amante che chiede, e Madonna che nega e nega, e in ultimo concede, tema frequentissimo nelle canzoni popolari di tutt’i tempi e luoghi, e che trovo anche oggi a Firenze nella Canzone tra il Frustino e la Crestaia.

Gli storici della letteratura individuano l’inizio della tradizione letteraria in lingua italiana nella prima metà del XIII secolo con la scuola siciliana di Federico II di Svevia, Re di Sicilia e Imperatore del Sacro Romano Impero, anche se il primo documento letterario è considerato il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi. In Sicilia, a partire dal terzo decennio del XIII secolo, sotto il patrocinio di Federico II si era venuto a formare un ambiente di intensa attività culturale. Queste condizioni crearono i presupposti per il primo tentativo organizzato di una produzione poetica in volgare romanzo, il siciliano, che va sotto il nome di “scuola siciliana” (così definita da Dante nel suo “De vulgari Eloquentia”). Tale produzione uscì poi dai confini siciliani per giungere ai comuni toscani e a Bologna e qui i componimenti presero ad essere tradotti e la diffusione del messaggio poetico divenne per molto tempo il dovere di una sempre più nota autorità comunale.

Quando la Sicilia passò il testimone ai poeti toscani, coloro che scrivevano d’amore vi associarono, seppure in maniera fresca e nuova, i contenuti filosofici e retorici assimilati nelle prime grandi università, prima di tutto quella di Bologna. I primi poeti italiani provenivano dunque da un alto livello sociale e furono soprattutto notai e dottori in legge che arricchirono il nuovo volgare dell’eleganza del periodare latino che conoscevano molto bene attraverso lo studio di grandi poeti latini come Ovidio, Virgilio, Lucano. Ciò che infatti ci permette di parlare di una letteratura italiana è la lingua, e la consapevolezza nella popolazione italiana di parlare una lingua, che pur nata verso il X secolo si emancipa completamente dalla promiscuità col latino solo nel XIII secolo. ( Tratto da Wikipedia )

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Libri & Letture

AGGIORNATO 28 Novembre 2023

 

Introduzione alla Storia dell’Editoria Italiana

Stamperia

Giovanni Filippo de Lignamine

Il primo editore / tipografo italiano fu Giovanni Filippo de Lignamine, attivo a Roma già intorno agli anni settanta del XV secolo. Le prime esperienze editoriali italiane, in un senso più vicino alla concezione moderna, si sono avute a Venezia, a cavallo tra il XV ed il XVI secolo, ad opera di Aldo Manuzio e Lucantonio Giunti. Oltre a lui, sono ben noti altri editori del Cinquecento, quali Nicolò d’Aristotele detto Zoppino, Giorgio Rusconi († 1522), Francesco Marcolini da Forlì († 1559), Gabriele Giolito de’ Ferrari (1508-1578) e Francesco Sansovino (1521-1586), anch’essi attivi a Venezia. A partire da quella fase ancora embrionale della produzione libraria “a stampa”, grazie all’invenzione della tipografia, è proprio la Repubblica di Venezia a distinguersi per la maggiore produzione libraria.

In Italia i primi grandi cambiamenti nel panorama librario e della stampa avvengono nel periodo napoleonico, con l’occupazione delle truppe napoleoniche di tutta la penisola, ad esclusione della Sicilia (1805 – 1814 circa). In questa fase il nuovo regime decretò la libertà di stampa, con l’abolizione della censura preventiva, sia governativa che ecclesiastica, e l’affidamento della censura repressiva agli organi di polizia. Inoltre l’abbattimento delle molte barriere doganali nella penisola diede la possibilità ai librai-tipografi di commerciare più ampiamente i loro libri. Infine, l’istruzione elementare obbligatoria pose le basi per un futuro allargamento del pubblico dei lettori (all’epoca ridottissimo) e per la nascita di un mercato di testi scolastici.

Va comunque ricordato che con decreto, dato a Monza il 27 novembre 1811, a firma di Eugenio Napoleone, furono elencati e classificati tutti i giornali che potevano trattare di politica; il lavoro di schedatura fu sottoposto all’attenzione del ministro dell’Interno.

Il regime napoleonico cambiò anche i rapporti interni al mercato librario. Tentò di accentrare la produzione libraria in città come Torino, Milano, Firenze e Napoli, a discapito di Genova, Bologna, Venezia (fino all’epoca centro editoriale fondamentale), gli Abruzzi e le Puglie. A Roma la breve parentesi napoleonica non solo non riuscì ad introdurre tali elementi di modernizzazione, ma provocò gravi depauperamenti alle tipografie pontificie. ( Wikipedia )

 

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LIGURIA – Golfo dei Poeti: Lord Byron

Lerici La Spezia Liguria

Le Emozioni del Golfo dei Poeti

Il Golfo dei Poeti va da Porto Venere a Lerici, due splendide località della Riviera di Levante; al centro si trova La Spezia, cuore del Golfo. Nel paesaggio si susseguono borghi di mare, chiese e castelli medievali sul mare, spiagge di sabbia e case color pastello. Una terra amata e descritta da artisti e poeti. Qui si svolgono due importanti manifestazioni sportive: il Palio del Golfo, gara di remi fra le 13 borgate del Golfo e la Coppa Byron di nuoto in mare aperto. Fra gli eventi più belli il 13 settembre si svolge la Festa di San Venerio, il patrono del Golfo.

Fra i tanti artisti che amarono questo luogo, ricordiamo lo scrittore David Herbert Lawrence, la scrittrice e pittrice George Sand, il poeta Lord Byron e lo scrittore Percy Bysshe Shelley. Quest’ultimo ha la sua ultima residenza nel borgo di San Terenzo, borgata marinara nel comune di Lerici.

L’8 luglio 1822, Shelley annega in una tempesta improvvisa mentre a bordo della sua nuova goletta, l'”Ariel”, naviga proprio verso San Terenzo.

Il pittore svizzero Arnold Böcklin ama soggiornare in varie località del Golfo. Il pittore tedesco Carl Blechen, nel 1829 si trova a La Spezia e lascia due disegni intitolati La baia della Spezia e i Monti sul golfo della Spezia, ed anche un olio su tela Tramonto sulla baia della Spezia.[1]

La scrittrice Emma Orczy, autrice de “La primula rossa”, costruisce una villa a Lerici, dove vive dal 1927 al 1933.

Tra gli artisti italiani ricordiamo lo scrittore e scienziato Paolo Mantegazza, il pittore Oreste Carpi, i poeti Gabriele D’Annunzio e Filippo Tommaso Marinetti, lo scrittore e regista Mario Soldati che abitava stabilmente in una villa presso Tellaro e dove morì il 19 giugno 1999, il giornalista Indro Montanelli che era solito dimorare a Montemarcello e il poeta e giornalista Giovanni Giudici nato a Le Grazie (Porto Venere).Sempre a Tellaro acquista la casa da lui ribattezzata “il battistero”, Attilio Bertolucci, poeta tra i più grandi del ‘900 e padre dei due registi Bernardo e Giuseppe.

Lord Byron

Attraversate le Alpi, Byron sostò nell’ottobre del 1816 a Milano, dove entrò in contatto con Pellico e Monti e conobbe Stendhal, per poi spingersi fino a Venezia, dove arrivò nel novembre 1816 per poi risiedervi per tre anni. Qui apprese l’italiano, il veneto, l’armeno e lavorò al quarto canto del Childe Harold, al Beppo e ai primi due canti del Don Juan, che fecero furore in Inghilterra, pur se pubblicati anonimi nel 1819; in ogni caso, Byron non trascurò affatto piaceri meno intellettuali, cimentandosi in dongiovannesche avventure (si vantò di avere posseduto più di duecento donne) e in due importanti relazioni, prima con la moglie del suo padrone di casa, Marianna Segati, e poi con la ventiduenne Margarita Cogni (la Fornarina), facendo della propria dimora sul Canal Grande una sorta di harem. Il soggiorno nella città lagunare – la «Cibele marina», come viene chiamata nel Childe Harold[10] – fu brevemente interrotto solo tra l’aprile e il maggio del 1817, quando il poeta visitò Roma, passando per Ferrara (che gli ispirò il Lament of Tasso).
Byron a Venezia, nell’isola di San Lazzaro degli Armeni, in un olio su tela di Ivan Ajvazovskij (1899)
Nell’aprile del 1819 nel salotto di Marina Querini Byron conobbe la diciottenne Teresa, sposata da un anno con il ricco sessantenne conte Guiccioli: la donna divenne ben presto la sua amante e i due si stabilirono verso la fine del 1819 a Ravenna, dove i Guiccioli vivevano. La giovane esercitò un’influenza assolutamente benefica sul poeta, che finalmente adottò uno stile di vita più salutare, senza però cessare di anelare a nuove avventure, tanto che tra il 1820 e il 1821 entrò nella Carboneria attraverso i contatti del fratello di Teresa, il conte Pietro Gamba. Nella città romagnola Byron scrisse altri tre canti del Don Juan, Marino Faliero, Sardanapalus, The Two Foscari, Cain: a Mistery, The Prophecy of Dante e altri scritti che rivelavano l’odio che Byron nutriva nei confronti della tirannia, che in suolo italico trovava espressione nella Santa Sede. Volendone fare una cattolica romana, inoltre, Byron accompagnò nel marzo del 1821 la figliuola Allegra nell’educandato gestito dalle suore di Bagnacavallo, in Romagna.
Lapide commemorativa a Genova, dove il poeta risiedette «finché intenso grido della greca libertà risorta nol traeva magnanimo a lacrimato fine in Missolungi»
Nel frattempo, al fallimento dei moti insurrezionali del 1820-1821 seguirono gli arresti e le confische, e i due amanti dovettero fuggire a Pisa. Nella città toscana Byron visse nel palazzo Toscanelli, dove raccolse intorno a sé un gruppo cosmopolita di letterati e di artisti che annoverava, oltre a Shelley, anche Edward Williams, Thomas Medwin, Edward John Trelawny, Leigh Hunt e John Taaffe. In seguito a una rissa tra il suo domestico Tita e il sergente Stefano Masi fu tenuto sott’occhio dalla polizia toscana: così, abbandonò il Circolo pisano e la città e si trasferì a Montenero, vicino a Livorno, soggiornando nella Villa Dupouy. Fu qui che iniziò la pubblicazione del periodico Liberal con Leigh Hunt, suo ospite, su cui apparve The Vision of Judgement, in aspra polemica col Southey, che aveva pubblicato un libello omonimo, zeppo di accondiscendenza, in memoria di Giorgio III. Sullo stesso Liberal venne pubblicato Heaven and Earth – A Mistery.

La serenità di questi ultimi anni andò tuttavia a frantumarsi proprio in questo periodo, allorché lo colpirono i lutti di Allegra (spirata il 21 aprile 1822) e immediatamente dopo di Shelley, affogato assieme all’amico Edward Elleker Williams a causa di un’improvvisa e violenta burrasca che aveva colpito la sua imbarcazione a dieci miglia da Viareggio.

Byron, anche per l’espulsione dei Gamba per motivi politici, abbandonò il Granducato di Toscana per andare ad abitare a Genova nel Quartiere di Albaro. Nel viaggio verso Genova passò per Lerici e, forse, Porto Venere; secondo un aneddoto, del tutto falso, avrebbe addirittura attraversato a nuoto il golfo, nuotando per otto chilometri fino a San Terenzo.

 

 

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Aggiornato al 27 Novembre 2023

Libri di Storia – Libreria Aiace Roma

Vintage still life. Vintage compass lies on an ancient world map.

Storia, enfasi sull’aspetto umano

La storia è spinta dalla ricerca della creazione di un “vero discorso del passato”: la moderna disciplina di storia si dedica alla produzione istituzionale di questo discorso soffermandosi sugli eventi prodotti dall’uomo. Questa enfasi sull’aspetto umano ha fatto degli uomini il soggetto centrale delle narrazioni nei discorsi classici della storia moderna; di conseguenza, la storia ha assunto un senso che è più vasto di quello di risultare una narrazione reale del passato umano. La storia spesso simboleggia la produzione di eventi che hanno potenziali di trasformazione e che introducono nel futuro: ciò è come uno schema temporale, evidenziato dal significante di storia, che connette il passato, il presente e il futuro. La temporalità storica è quindi radicata nell’idea che soggetti umani autonomi siano dotati di soggettività storica che li possa aiutare nella produzione di eventi e che li aiuti immediatamente a registrare e narrare eventi passati sotto forma di storia.

Tutti gli avvenimenti che vengono registrati e preservati in alcune forme ( quelle che non possono essere bollate come non storiche o che comunque rimangano aperte al discorso storico ) costituiscono la testimonianza storica. Gli eventi che sono presumibilmente accaduti prima dell’avvento della comunicazione scritta sono perciò denominati “preistoria”. Il compito auto-assegnato del discorso storico è quello di identificare le fonti che possono contribuire alla produzione di resoconti veritieri del passato. Perciò la costituzione dell’archivio dello storico è la risultante del circoscrivere un archivio più generale invalidando l’uso di alcuni testi e documenti ( riuscendo quindi a confutare le loro affermazioni per rappresentare il “vero passato” ). Alcuni storici studiano la storia universale, altri concentrano il proprio lavoro su determinati metodi o su altre aree. ( Wikipedia )

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Libri & Letture

Aggiornato al 27 Novembre 2023

 

I libri sono come macchine costruite appositamente per stimolare le emozioni

Fantasticare

Libri & Emozioni

I libri sono come delle macchine. Il loro obiettivo (almeno nella maggior parte dei casi) è stimolare le emozioni, e gli autori sono abili a fornire il carburante per raggiungere l’obiettivo.

La costruzione delle frasi ha come scopo quello di tenere il lettore incollato alle pagine, spesso grazie ad artifici stilistici che ci invitano a proseguire nella lettura. Siamo curiosi per natura, e l’istinto ci porta a sfogliare pagine per scoprire le evoluzioni della trama. Proprio per questo – ad esempio – spesso i personaggi più piacevoli si trovano in situazioni di pericolo: per stimolare empatia e mantenere alta l’attenzione. ( Book-to-Book )

Why do I always get so emotionally involved in a book ?

Books are machines built specifically to excite your emotions.  (Not all books, but almost all fiction and a large amount of non-fiction .) Authors spend their lives studying how to evoke and manipulate emotion and pour all that knowledge into their works. They even do it on the sentence level. Writing teachers urge their students to include some sort of hook in each sentence which will lure readers to the next one.

Common techniques include ending chapters with cliffhangers, which excites our instinctual need to know what happens next–instinctual, because learning results was crucial for our ancestors’ survival (e.g. when a tribe member ventured into a cave, his friends needed to learn if he emerged safely or got eaten by a tiger inside); putting likable characters in peril, which evokes empathy, another evolved trait; and lacing stories with surprise, which tickles our natural pattern-matching instincts by thwarting our conclusions.

There is also a natural process that changes the brain over time, as we get to know a person. It’s a large part of the engine behind friendship. If you just meet me once at a party, you’ll probably forget me afterwards or remember just a couple of funny, interesting, or strange things I said. But if you spend lots of time with me, you’ll grow brain structures devoted to simulating me and predicting my behavior.

This happens because we evolved as pack animals–as tribal creatures. Huge portions of our brains are devoted to social processing. There’s even evidence to suggest we unconsciously think about other people when our minds seem to be at rest, zoned out, not thinking about anything. Back in our tribal days, who was sleeping with whom, who was in charge, who was likely to betray you, and who would be most-likely to come to your aid were crucial bits of survival information.

We rely on those social brain structures to make judgements like, “Don’t talk to Sally about her mom. It really upsets her,” and when we’re picking a birthday present for Jonathan. You have a little sim of him in your brain. You mentally give the sim various presents, see which ones most delight it, and that’s how you decide what to get for the real-life Jonathan. It’s why you feel confident saying, “I knew you’d like this!”

Metaphorically, at least, you can say that someone you’ve grown used to has inhabited your brain. You hold a copy of him in your head–not an exact copy, but one that’s good enough to excite your intellect and emotions. This is why it’s so hard to let go of a lover who dumps you or a friend who dies. He’s gone but not gone. Your brain is still running his program.

Books, especially long character novels and biographies, can have the same effect. Read “Lord of the Rings” and you wind up hanging out with Frodo for a long time, long enough for your brain to start simulating him, even when you close the book. You can also create sims by rereading the same book over and over, throughout your life. Lots of people have complex simulations of Harry Potter or Jay Gatsby running in their heads. Once a sim starts running, it’s bound to affect you.

You will find yourself wondering what happens to fictional characters after the book is over. On a purely rational level, that makes no sense. After the last page of “Nicholas Nickleby,” there is no Nicholas Nickleby any more. There’s nothing that happens to him after the book is over. And yet there is, because there’s a Nicholas Nickleby program still running in your brain, still predicting what he’ll do, still exciting your empathy.

Books offer condensed social information. They are to our tribal and social concerns what candy is to the parts of our brains that crave fruit. Social crack. Also causal crack. We’re obsessed by anything social and causal, and books cater to those obsessions. Marcus Geduld

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

Aggiornato al 27 Novembre 2023 

Invito alla Lettura – La sottile ironia di Cesare Zavattini

Italia Paesana

Cesare Zavattini

Cesare Zavattini ( Luzzara, 20 settembre 1902 – Roma, 13 ottobre 1989 ) è stato uno sceneggiatore, giornalista, commediografo, scrittore, poeta e pittore italiano.

In ambito cinematografico, Zavattini ( con all’attivo più di 60 film ) è annoverato tra le figure più rilevanti del neorealismo italiano, di cui fu anche un teorico.

La sua attività di narratore, per lo più umoristico, satirico, ironico, aveva preso l’avvio nel 1931 con l’opera Parliamo tanto di me, che riscosse uno straordinario successo. Scrittore non sempre facile da inquadrare nelle “correnti” del Novecento, autore fortemente critico verso la società, osservata tanto nei suoi aspetti dolorosi quanto in quelli umoristici, Zavattini costituì un fenomeno particolarissimo nell’ambito della letteratura italiana del Novecento. Nelle sue prime opere, dal 1931 al 1943, Zavattini («Za» per gli amici) presentò, in forme e contenuti inconsueti, il rapporto tra realtà e fantasia, cercando di privilegiare la prima attraverso originali mediazioni con la seconda. Oltre al libro d’esordio Parliamo tanto di me, i suoi primi e più noti lavori letterari sono stati I poveri sono matti, del 1937, Io sono il diavolo (1941), Totò il buono (1943), Straparole (1967).

Gara Mondiale di matematica

Alla Gara Mondiale di Matematica sembrava che non ci fossero più dubbi sul vincitore. I matematici dovevano esprimere il numero più grande e quando tutti erano ormai sfiniti, dopo ore di appassionata contesa, il protagonista con grande enfasi aveva declamato: “Un miliardo di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi…”, proseguendo così finché l’ultimo fievole “di miliardi” gli uscì dalle labbra con un sospiro, quindi si abbatté sfinito sulla sedia, fra il delirio della folla che riempiva il salone in cui si svolgeva la Gara. Ma quando il principe Ottone stava per appuntargli la medaglia sul petto ecco spuntare il temuto avversario, Gianni Binacchi, che con un urlo, “Più uno!”, gli rubò il primato. Il nostro protagonista, affranto, tornò a casa e si buttò singhiozzando fra le braccia della moglie che lo attendeva sulla porta: “Se avessi detto più due avrei vinto io”.  ( Parliamo tanto di me )

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Libri & Letture

Aggiornato al 26 Novembre 2023

Libri Perduti nel Tempo – Il Piacere della Lettura

Svetonio Vite dei Cesari

Le vite dei Cesari

Le Vite dei Cesari o Vite dei dodici Cesari ( in latino De vita Caesarum ) sono un’opera storiografica di Svetonio. Essa comprende la biografia di Gaio Giulio Cesare ( 101 a.C.- 44 a.C .), Pontifex maximus dal 63 a. C. e dittatore dal 49 al 44 a.C., e undici imperatori romani a cominciare da Ottaviano Augusto, nipote, figlio adottivo ed erede designato da Cesare stesso nel proprio testamento, che fu il primo imperatore; si conclude con la morte di Domiziano ( Roma, 24 ottobre 51 – Roma, 18 settembre 96; imperatore dal settembre dell’81 ), coprendo così un arco temporale di quasi due secoli.

Le fonti a cui l’opera attinge sono i materiali contenuti negli Archivi di stato, cui Svetonio aveva accesso nella sua qualità, prima, di segretario “a studiis” sotto Traiano ( imperatore dal 98 al 117 ), poi “a bibliothecis” e infine “ab epistulis”, sotto Adriano ( imperatore dal 117 al 138 ).

Nell’analisi di ciascun imperatore, Svetonio segue uno schema che, anche se modificabile a seconda delle esigenze dell’autore, rimane sempre lo stesso: descrizione delle origini familiari, carriera prima dell’assunzione del potere, vita pubblica e provvedimenti relativi a Roma, vita privata, aspetto fisico e ultimi giorni prima della morte.
Come membro della corte imperiale, Svetonio utilizzò gli archivi imperiali per ricercare le testimonianze oculari e non, decreti, senatus consulta, verbali del Senato, le perdute opere di Gaio Asinio Pollione e Cremuzio Cordo e le Res Gestae Divi Augusti. Ebbe, quindi, a disposizione fonti di prima mano, anche se si servì anche di fonti non ufficiali, come scritti propagandistici e diffamatori e anche testimonianze orali, al fine di alimentare quel gusto per l’aneddoto e il curioso a cui egli dedica ampio spazio e che alcuni gli ascrivono come difetto e altri come pregio.
Sebbene, inoltre, non fosse mai stato un senatore, Svetonio sposò il punto di vista del Senato romano che aveva avuto molti conflitti con i primi imperatori. Ciononostante la sua opera riveste un ruolo importante: ad esempio, è la fonte principale per la vita di Caligola e su altri aspetti in cui mancano altre fonti, come Tito Livio o Tacito.
La sua opera funse anche da modello per le biografie imperiali scritte nel II secolo da Mario Massimo, che, sebbene sia andata perduta, sembra essere stata una delle principali fonti per la successiva Historia Augusta, che è considerata una sorta di continuazione delle Vite di Svetonio, in quanto narra degli imperatori e degli usurpatori romani del II e III secolo.
Ancora, nel IX secolo Eginardo prese a modello proprio Svetonio per la sua Vita di Carlo Magno. ( Wikipedia )

Svetonio 

Svetonio nacque attorno al 70 d.C. in un luogo imprecisato del Latium vetus, forse a Ostia, dove ebbe la carica religiosa locale di pontefice di Vulcano ( solitamente conferita a vita ). Non si conosce, tuttavia, con precisione l’anno di nascita: alcuni, facendo riferimento ad una lettera inviata da Plinio il Giovane a Svetonio nel 101 collocano la data al 77, anno in cui avrebbe potuto ricevere un tribunato militare, se avesse intrapreso la carriera militare. Altri anticipano la data al 69, altri ancora, esaminando altre lettere indirizzate all’autore del De vita Caesarum, la collocano al 71 o al 75.
Ugualmente incerta è l’origine sociale di Svetonio: non si può stabilire con precisione se la sua famiglia appartenesse al ceto equestre o fosse plebea, anche se l’autore stesso riferisce che il padre, Svetonio Leto, era tribuno angusticlavio della XIII legione, che servì Otone nella prima battaglia di Bedriaco contro Vitellio. Nonostante le origini non patrizie, Svetonio studiò non solo grammatica e letteratura, ma anche retorica e giurisprudenza, divenendo avvocato e corrispondente di Plinio il Giovane, che lo considerava un suo protetto e che diede un impulso alla carriera di Svetonio. Prima di morire, nel 113 d.C., infatti, lo affidò alla protezione di Setticio Claro, che, divenuto prefetto del pretorio dell’imperatore Adriano, ottenne per lui la carica di segretario dell’imperatore (procurator a studiis e ab epistulis, ovvero sovrintendente degli archivi e curatore della corrispondenza imperiale), ed in tale qualità aveva accesso ai documenti più importanti degli archivi imperiali. Svetonio ricoprì, dunque, cariche importanti sotto l’imperatore Adriano e forse già sotto Traiano, entrando a far parte del personale a più stretto contatto con l’imperatore: tuttavia, il suo allontanamento da parte dell’imperatore Adriano nel 122 ( assieme al prefetto del pretorio Setticio Claro, con la motivazione ufficiale di aver trattato con eccessiva vicinanza l’imperatrice Sabina ), per motivi non chiari (nel contesto di una epurazione dei quadri dirigenti voluta forse dall’imperatrice stessa per conferire gli incarichi ai suoi protetti) segnò la fine della sua carriera. Anche la data di morte non è del tutto sicura, ed è posta da alcuni attorno al 126, da altri una quindicina di anni dopo, intorno al 140 o addirittura al 161, anno della morte dell’imperatore Antonino Pio. ( Wikipedia )

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