Letture Estive by Libreria Aiace Roma Montesacro

Montagna.2

Le Mura del Cinquecento di Lucca

Le mura di Lucca sono il secondo maggior esempio in Europa di mura costruite secondo i principi della fortificazione alla moderna che si sia conservata completamente integra in una grande città. Nicosia, capitale di Cipro, detiene il record con una cerchia muraria di 4,5 km con 11 bastioni e tre porte.

L’attuale cerchia muraria di Lucca, lunga esattamente 4 chilometri e 223 metri, è frutto dell’ultima campagna di ricostruzione, partita nel 7 maggio del 1504 e terminata solamente un secolo e mezzo dopo, nel 1648. I lavori hanno avuto luogo anche nella seconda metà del Seicento, con aggiornamenti strutturali basati sulle nuove conoscenze e tecniche costruttive. Mai utilizzata a scopo difensivo, la struttura moderna si articola su 12 cortine ed 11 baluardi. Questi sono visti come un forte segno di identità culturale e come contenitore per la memoria storica del territorio.

Le mura furono concepite anche come deterrente. In particolare la Repubblica di Lucca temeva le mire espansionistiche prima di Firenze e, successivamente, del Granducato di Toscana. Tuttavia non si arrivò mai ad una vera guerra aperta contro il Granducato. Vi furono conflitti con il Ducato di Modena (secoli XVI e XVII), ma esclusivamente in Garfagnana, perciò Lucca non dovette mai subire alcun assedio. L’unica occasione in cui le mura furono messe alla prova fu durante la disastrosa alluvione del Serchio nel 18 novembre del 1812. Le porte furono sprangate e con l’ausilio di materassi e pagliericci fu garantita una relativa tenuta all’acqua del centro di Lucca. La stessa Elisa Bonaparte, Principessa di Lucca e Piombino, per entrare nella città fu fatta issare con una sorta di bilanciere per non aprire i battenti sprangati alla furia delle acque.

La struttura fu convertita in passeggiata pedonale da Maria Luisa di Borbone-Spagna (in carica dal 1815 al 1824), in modo da svolgere il ruolo di grande parco pubblico, soprattutto grazie alla sua lunghezza di oltre 4 chilometri. Il nuovo impiego delle mura si ripercosse anche sugli spazi esterni antistanti, i quali furono convertiti in grandissimi prati. Il percorso sopra la cinta muraria viene attualmente utilizzato per passeggiare e fare attività fisica, ma nella bella stagione si pone anche come palcoscenico naturale per spettacoli e manifestazioni.

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Mostra della Maiolica

Monte San Savino è un centro di antica tradizione ceramica, specializzato nella produzione di oggetti d’uso e gusto popolare. Il museo, allestito nel 1989 nella trecentesca Rocca del Cassero, attribuita a Bartolo di Bartolo, è nato dalla Mostra della Ceramica, promossa dal Comune, che si svolge annualmente dal 1971. Al materiale via via raccolto, di artisti moderni, si sono aggiunte le ceramiche arcaiche e le maioliche dal medioevo all’Ottocento, per un totale di 250 oggetti. Sono anche esposti reperti degli scavi dal Cassero, un bel Crocifisso ligneo di scuola senese del XIV secolo e una Madonna col Bambino, in marmo, del XVI secolo. È possibile visitare anche l’attigua chiesa di S. Chiara (1652), ex convento di clausura delle Clarisse, con opere di rilievo del Sansovino, dei Della Robbia e del Vasari. ( Tratto da Touring Club )

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Gastronomia: Dizionario Enciclopedico della Buona Cucina

La cucina romana tradizionale è fondata su ingredienti di derivazione rurale e contadina, di origine vegetale ed animale, preparati secondo ricette spesso tramandate di generazione in generazione in ambito familiare. Poiché si è sempre trattato di pietanze ricavate da una terra molto fertile e produttiva, destinate a soddisfare le esigenze energetiche dell’uomo impegnato nel lavoro nei campi e spesso consumate nell’ambito di una o al massimo due sedute alimentari quotidiane, le preparazioni della cucina romana sono idealmente associate a piatti particolarmente nutritivi, somministrati in porzioni abbondanti. I capisaldi di questa cucina sono i primi piatti, sia asciutti sia in brodo. Questi ultimi sono preparati con della pasta con verdure o legumi ( ceci, patate, broccoli, fagioli ), e il cosiddetto “quinto quarto”. Nei giorni di festa erano molto comuni l’abbacchio e la carne di capretto, forniti direttamente dai pastori locali. Roma è stata da sempre un mercato di consumo e non di produzione, ma la cucina romana ha avuto a disposizione le produzioni tipiche della regione, dall’olio ai maiali dell’Umbria ( i macellai che vendevano maiale si chiamavano, infatti, norcini, e fino agli anni cinquanta il maiale non si vendeva da dopo Pasqua a novembre ). Il burro nella vera cucina romana è praticamente uno sconosciuto: per ingrassare e anche per friggere si usava casomai lo strutto di maiale. Ma il condimento d’elezione è l’olio, ancora presente tra le produzioni tipiche del Lazio. Nell’antica Roma la cucina era molto semplice, a base di cereali, formaggi, legumi e frutta. Le spezie più usate erano il piper cubeba, cumino e il lingustico. I “piatti forti”, consumati dai ricchi, erano a base di carne, soprattutto di maiale. ( Wikipedia )

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Le Vie della Sete

Le “Vie della Sete” sono i sentieri tortuosi percorsi da Ardito Desio durante le scorribande scientifiche che fece, a partire dal 1926, fino al 1940 quando lo scoppio della seconda guerra mondiale gli impedì di continuare le ricerche. Attraversò più volte le aride distese del Sahara a piedi, a dorso di cammello, in camion o in aereo, per cercare, nelle viscere del deserto, le ricchezze naturali nascoste. Questo libro si legge come un romanzo, con la differenza che le avventure che vi sono descritte sono vicende vere, riprese dai suoi diari, che invitano il lettore curioso ed amante delle sensazioni forti a ripercorrerne gli itinerari. Chi viaggia oggi nel deserto libico ritrova i luoghi descritti da Desio, taluni irriconoscibili come le città e i villaggi, altri rimasti immutati nel tempo. Il nome di Ardito Desio viene generalmente legato alla spedizione italiana che ha guidato nel 1954 alla conquista del K2, la vetta più alta del mondo dopo l’Everest. Ma la conquista del K2 è solo una delle numerose imprese importanti della sua vita; un’altra, – più importante soprattutto per gli sviluppi che ha avuto a partire dall’immediato dopoguerra – è la scoperta, nel 1938, del petrolio nel Sahara libico, descritta appunto in questo libro.

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Storia della Danza Occidentale

Il testo delinea una storia della danza in Occidente assumendo come punto di partenza le forme sviluppate nell’antica Grecia per giungere sino alle esperienze a noi contemporanee. L’evoluzione della danza nelle diverse epoche è stata analizzata secondo una prospettiva largamente interdisciplinare che tiene conto non solo del mutare delle coordinate storiche e culturali dei vari secoli, ma anche della complessa rete di relazioni intercorse con il settore delle arti visive, del teatro, della musica e della letteratura. Nel suo percorso storico la danza cambia modi espressivi e funzioni, passando dalle originarie valenze magiche a componente essenziale dei rituali festivi e della pratica religiosa, per poi entrare a far parte delle forme dell’intrattenimento sociale e della sfera più direttamente spettacolare, stabilendo stretti rapporti con il mondo della lirica e del teatro, prima di giungere ad affermare la propria autonomia linguistica come espressione d´arte che trova in se stessa le ragioni della propria validità. Un percorso ampio e sfaccettato che può offrire più di un motivo d’interesse non solo per gli studenti universitari che si accostano per la prima volta a questa disciplina ma a tutti coloro che a vario titolo desiderano sviluppare una conoscenza della storia dell’arte della danza. ( Tratto da Carocci Editore )

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Il Miraggio della Terra

La prima novità è l’arco temporale, che si dilata sino a raggiungere il 1767. Cioè sino a includere il riformismo borbonico, che quell’anno caccia dall’isola i gesuiti e progetta di distribuirne le terre a «gente di campagna», così come sta accadendo nel regno di Napoli. Sono disposizioni in linea con la più avanzata cultura agraria europea, ma nell’isola la loro applicazione incontra molte resistenze. I componenti della Giunta preposta a decidere le assegnazioni assicurano che la Sicilia è «scarsa anziché abbondante di abitatori», soprattutto manca la manodopera specializzata. Assicurano che le terre dei gesuiti è meglio darle a censo «a corpo sano», senza cioè frazionare le grandi tenute: nonostante da Napoli si ordinasse di dividere i fondi ai contadini, per gran parte delle terre la Giunta rifiuta di applicare le disposizioni regie. E quando – nel 1776 – il siciliano Giuseppe Beccadelli Bologna diventa primo ministro a Napoli, subito si affretta a scegliere per sé i feudi migliori: le terre erano già state distribuite, ma il potente ministro manda i soldati per cacciare i contadini; gli insolventi, anche per piccole somme, si ritrovano con gli attrezzi e i poveri arredi confiscati. La storia tornava a scorrere nei vecchi binari, il sogno della terra era di nuovo un miraggio. ( Tratto da Repubblica )

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Simone Weil: Ritratto di un’Ebrea che si volle esiliare 

Simone Adolphine Weil ( Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943 ) è stata una filosofa, mistica e scrittrice francese, la cui fama è legata, oltre che alla vasta produzione saggistico-letteraria, alle drammatiche vicende esistenziali che ella attraversò, dalla scelta di lasciare l’insegnamento per sperimentare la condizione operaia, fino all’impegno come attivista partigiana, nonostante i persistenti problemi di salute. Sorella del matematico André Weil, fu vicina al pensiero anarchico e all’eterodossia marxista. Ebbe un contatto diretto, sebbene conflittuale, con Lev Trotsky, e fu in rapporto con varie figure di rilievo della cultura francese dell’epoca. Nel corso del tempo, legò se stessa all’esperienza della sequela cristiana, pur nel volontario distacco dalle forme istituzionali della religione, per fedeltà alla propria vocazione morale di presenziare fra gli esclusi. La strenua accettazione della sventura, tema centrale della sua riflessione matura, ebbe ad essere, di pari passo con l’attivismo politico e sociale, una costante delle sue scelte di vita, mosse da una vivace dedizione solidaristica, spinta fino al sacrificio di sé. La sua complessa figura, accostata in seguito a quelle dei santi, è divenuta celebre anche grazie allo zelo editoriale di Albert Camus, che dopo la morte di lei a soli 34 anni, ne ha divulgato e promosso le opere, i cui argomenti spaziano dall’etica alla filosofia politica, dalla metafisica all’estetica, comprendendo alcuni testi poetici. ( Wikipedia )

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Tavole Iguvine

Iguvine, tavole Sette tavole di bronzo, trovate presso il teatro romano di Gubbio nel 15° sec. e conservate nel palazzo dei Consoli, alcune scritte in alfabeto etrusco, altre in alfabeto latino, contenenti un testo in lingua umbra, che è il più importante documento per lo studio della lingua e della civiltà umbre. Risalgono in parte al 3°, in parte al 2° sec. a.C., ma la redazione del testo originale è assai più antica. Contengono descrizioni di sacrifici e statuti di una confraternita sacerdotale, che è detta dei fratelli Atiedi. ( Treccani )

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Gubbio, il fascino delle tavole eugubine

Civiltà dei Monti: Valle di Carnino

Fin dall’epoca longobarda vi operarono i monaci della potente abbazia di San Colombano di Bobbio ed al suo ricco feudo reale ed imperiale monastico, cui dipese l’abbazia di San Dalmazzo di Pedona. È costituito dalle borgate di Piaggia (capoluogo), Upega e Carnino, ossia da quella porzione del Comune di Briga Marittima che, essendo situata nell’alto bacino del Tanaro, è rimasta italiana dopo il passaggio dell’alta Val Roia alla Francia. L’attuale comune di Briga Alta mantiene il toponimo Briga in ricordo del vecchio comune, mentre Briga Marittima, attualmente denominata La Brigue, è passata alla nazione transalpina dopo la seconda guerra mondiale insieme al comune di Tenda per gli effetti dei Trattati di Parigi del 10 febbraio 1947. La vicenda è raccontata nel docufilm E ci si trova dall’altra parte di Nicola Farina. Come parte del comune unico di Briga, il territorio di Briga Alta fu parte del Dipartimento delle Alpi Marittime durante il periodo napoleonico dal 1796 al 1814. ( Wikipedia )

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Libreria Aiace Roma in via Ojetti 36 Montesacro – Nomentana – Talenti

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

Aggiornato al 17 Settembre 2022 

 

 

Letture per l’Estate by Libreria Aiace Montesacro

Arbëreshë

Musica Arbereshe in Basilicata

San Costantino Albanese è una comunita’ di origine albanese. Il nome degli albanesi d’Italia è arbëresh. Secondo la tradizione, San Costantino Albanese sarebbe stato fondato da profughi Coronei, provenienti dalla città di Corone, nella Morea ( Grecia ), durante la quarta emigrazione avvenuta nel 1534, in seguito all’ occupazione dell’Albania da parte dell’impero Ottomano. Il re di Napoli li accoglie e li destina in varie parti del regno. Lazzaro Mattes, incaricato degli smistamenti, destina uno di questi gruppi presso il mandamento di Noja ( l’attuale Noepoli ). Sorge cosi’ il casale di San Costantino Albanese. Il paese è oggetto di alcuni privilegi regali: fino al 1671 i suoi abitanti sono esentati dalle tasse e dai pesi fiscali; i regnanti spagnoli vogliono premiarli per l’aiuto dato, in passato, nella battaglia contro i Turchi. Tra le cose che gli arbëreshë sentivano e sentono ancora oggi come loro peculiarita’ è la lingua, non solo come codice comunicativo ma simbolo stesso dell’etnia.
I costumi, le manifestazioni tradizionali e tutto l’ apparato folklorico e le consuetudini di vita contribuiscono, con la lingua, a caratterizzare l’ identita’ del gruppo etnico. La conservazione del rito Greco-Bizantino, fa ricadere la comunita’ sotto la giurisdizione ecclesiastica dell’ Eparchia di Lungro ( CS ).

La trasmissione della lingua e delle forme di cultura tradizionale è avvenuta per secoli secondo i meccanismi della tradizione orale, spesso all’interno delle famiglie.
Negli ultimi decenni la valorizzazione è avvenuta anche grazie a iniziative, quali corsi di lingua, iniziative culturali e musicali, promosse dalla scuola, dalle associazioni locali e dall’amministrazione comunale, nonche’ grazie a forme di volontariato.
Tra le figure più attive vanno menzionate quelle di Papas Antonio Bellusci, promotore della rivista Vatra Jone, la poetessa Enza Scutari, importante la sua azione sul piano didattico anche per quanto riguarda la valorizzazione della lingua; Pasquale Scutari per gli aspetti linguistici, Nicola Scaldaferri per quelli musicali.
A iniziare dagli anni 80 vanno menzionate varie associazioni quali il Circolo culturale Vellamja,Voxha Arbëreshe, Vatra Jone, Vjesh, tutte molto attive nella promozione di eventi di valorizzazione del patrimonio etnico, linguistico e musicale.Recentemente è stata istituita la Biblioteca di Cultura Albanese dove sono raccolti numerosi testi del mondo arbëresh. Sono presidi culturali importanti “L’Etnomuseo della Cultura Arbëreshe”, “La Casa Parco”, che ospita il Museo dell’Etnobotanica, mostre su aspetti antropologici e naturalistici, “Il Museo dell’Arte Sacra” e la Chiesa Madre con le sue splendide icone bizantine. Le manifestazioni culturali che vengono promosse sono numerose e di elevata qualita’. Uno sforzo maggiore andrebbe fatto nel campo della conservazione dell’antica lingua che andrebbe inserita anche come attivita’ didattica, insieme a tutte le altre attivita’ culturali arbëresh, gia’ praticate nella scuola. La lingua è l’elemento forte e fondante della nostra comunita’ e deve necessariamente essere tramandata alle future generazioni. ( Tratto da Regione Basilicata )

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Reggio 1970: la Rivolta

I fuochi del Sessantotto e dell’autunno caldo non sono ancora sopiti, quando scoppia, quanto mai inaspettata, una rivolta violenta nel Sud d’Italia. A Reggio Calabria i cittadini scendono in strada per protestare contro la mancata assegnazione del capoluogo regionale. È il 1970. Fra tentativi eversivi di golpe e infiltrazioni della criminalità organizzata, gruppi neofascisti, al grido di «Boia chi molla», raccoglie la bandiera dell’insurrezione: un caso unico nella storia del­l’Occidente sotto l’egida del Patto Atlantico. Cosa rimane oggi della pesante eredità di quella rivolta? Qual è stato il prezzo pagato dalla città e dal Sud? Perché con il passare degli anni una tendenza costante ha tentato di rimuovere questo episodio cruciale della vita del nostro paese? Al centro della ricostruzione storica, la memoria, collettiva e individuale, di chi la rivolta la fece, di chi la subì, e di chi invece stette a guardare. La straordinaria combinazione di fonti orali – duecento interviste raccolte direttamente dall’autore – e di documenti inediti, fra i quali quelli custoditi al Foreign Office di Londra e per la prima volta portati qui alla luce, dà vita a un affresco unico di quello che è stato il sommovimento più aspro della Prima Repubblica. Esso non riguardò solo la grande e irrisolta questione degli squilibri del Mezzogiorno, ma si inserì nel più ampio contesto nazionale, mobilitando forze politiche e sindacali, governo e opposizione, movimenti di opinione, magistratura, polizia, servizi e forze armate, e attirando in riva allo Stretto centinaia di giornalisti, chiamati a raccontare e interpretare, per mesi e mesi, quella che Pier Paolo Pasolini avrebbe definito «una guerra civile dimenticata». ( Donzelli )

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Stalin e le Grandi Purghe

Nonostante le critiche mossegli da Lenin nell’ultima parte della sua vita e il duro contrasto con Trockij, alla morte di Lenin assunse progressivamente, grazie alla sua abilità organizzativa e politica e al ruolo di segretario generale del partito, il potere supremo in Unione Sovietica. Dopo aver sconfitto politicamente prima la sinistra di Trockij, poi l’alleanza tra Trockij, Zinov’ev, Kamenev e poi la destra di Bucharin, Rykov e Tomskji, Stalin adottò una prudente politica di costruzione del “socialismo in un solo Paese”, mentre nel campo economico mise in atto le politiche di interruzione della NEP, di collettivizzazione forzata delle campagne e di industrializzazione mediante i piani quinquennali, lo stakanovismo e la crescita dell’industria pesante.

A metà degli anni trenta, in una fase di superamento delle difficoltà economiche e di crescita industriale, Stalin cominciò il tragico periodo delle purghe e del grande terrore in cui progressivamente eliminò fisicamente, con un metodico e spietato programma di repressione, tutti i suoi reali o presunti avversari nel partito, nell’economia, nella scienza, nelle forze armate e nelle minoranze etniche. Per rafforzare il suo potere e lo Stato sovietico contro possibili minacce esterne o interne di disgregazione, Stalin utilizzò il vasto sistema di campi di detenzione e lavoro ( gulag ) in cui furono imprigionati in condizioni miserevoli milioni di persone.

Dopo la vittoria Stalin, divenuto detentore di un enorme potere in Unione Sovietica e nell’Europa centro-orientale e assurto al ruolo di capo indiscusso del comunismo mondiale, accrebbe il suo dispotismo violento riprendendo politiche di terrore e di repressione. Morì a causa di un’emorragia cerebrale nel 1953, lasciando l’Unione Sovietica ormai trasformata in una grande potenza economica, una delle due superpotenze mondiali dotata di armi nucleari, e guida del mondo comunista. ( Wikipedia )

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Il Tempo dei Maghi

Lo storico della scienza Paolo Rossi definisce il secolo che va dal 1550 al 1650 come “il tempo dei maghi”. Definizione sorprendente, per chi pensa a quel secolo come al momento in cui è nata la scienza quale la intendiamo noi oggi. Tuttavia è ben vero che il pensiero magico è ancora, in quel lasso di tempo, al centro della cultura europea.
Occorre anche ricordare che nel Seicento varie corti europee costituivano centri di attrazione per maghi e astrologi, consultati dai regnanti – cui venivano talvolta attribuiti poteri taumaturgici – prima di prendere decisioni su questioni importanti quali di pace e di guerra, ma anche del tutto futili, come l’opportunità o meno di fare un bagno.
Astronomia e astrologia costituivano ancora due facce di una stessa disciplina: la prima era una scienza pratica, che aveva il compito di raccogliere dati, la seconda svolgeva la funzione di interpretare quei dati attribuendo loro dei significati. ( Tratto da Maria Pia Marenzana )

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Vita Economica di Roma nel Medioevo

Il fattore-economia riveste una primaria importanza nella società moderna, essendo un po’ la sua forza motrice. Naturalmente studiarne i vari elementi che compongono la sua particolare struttura, non può non significare un tuffo nel tempo. Poiché tutto ha radici in un «prima», l’indagine deve spingersi indietro, fino alle origini. L’economia è strettamente collegata con la storia degli uomini e dunque un’analisi del fenomeno è un’analisi dell’intero processo storico. È pur vero che, per più o meno lunghi periodi, sia per scarsa documentazione, sia per altre cause, lo studio è stato approssimativo o nullo, tuttavia a queste mancanze hanno posto – e pongono – rimedio le moderne ed accurate discipline di ricerca. La reviviscenza degli studi economici praticamente ha inizio nel secolo XVI e prosegue, in crescendo, fino ad oggi. Se già nel passato si volgeva l’attenzione indietro, verso un dato periodo dai particolari attributi, oggi, con le tecniche a disposizione, questo avviene con maggior frequenza. Così, lentamente, una tessera dopo l’altra, si ricostruisce il vasto mosaico lasciatoci in retaggio da coloro che furono. Ed una tessera, dalle sfumature inconfondibili, riguarda la Città Eterna. È la fase-passaggio dal libero Comune Romano alla Signoria dei Pontefici, periodo travagliato ma non a causa di influssi esterni: tutta «farina del proprio sacco», come si suol dire. Negli anni cui si riferisce il presente volume (1400-1607), maturano eventi non solo economicamente di rilievo, bensì di importanza civile, religiosa, politica

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Istoria del Concilio Tridentino

L’Istoria del concilio di Trento è un’opera di Paolo Sarpi, teologo, scienziato e storico veneziano (1552-1623). Sarpi, utilizzando gli archivi veneziani e documenti privati, ricostruisce le cause e le vicende del concilio nel periodo tra il 1523 e il 1563 e ne descrive l’esito. Nel breve proemio Sarpi, dopo aver esposto l’argomento dell’opera e le fonti alle quali ha attinto per scriverla, afferma che il Concilio è giunto a conclusioni opposte a quelle per le quali era stato convocato. Sarpi critica aspramente i risultati del Concilio che ha reso definitivo lo scisma tra cattolici e protestanti e ha rafforzato l’assolutismo della curia di Roma. L’Istoria del Concilio è un’opera di parte in cui Sarpi denuncia la natura politica dell’istituzione ecclesiastica e racconta la storia del suo consolidarsi come apparato di potere.

Paolo Sarpi ( Venezia, 14 agosto 1552 – Venezia, 15 gennaio 1623 ) è stato un religioso, teologo, storico e scienziato italiano cittadino della Repubblica di Venezia, appartenente all’Ordine dei Servi di Maria. Teologo, astronomo, matematico, fisico, anatomista, letterato e storico, fu tanto versato in molteplici campi dello scibile umano da essere definito da Girolamo Fabrici d’Acquapendente «Oracolo del secolo». Autore della celebre Istoria del Concilio tridentino, subito messa all’Indice, fu fermo oppositore del centralismo monarchico della Chiesa cattolica, difendendo le prerogative della Repubblica veneziana, colpita dall’interdetto emanato da Paolo V. Rifiutò di presentarsi di fronte all’Inquisizione romana che intendeva processarlo e subì un grave attentato che si sospettò essere stato organizzato dalla Curia romana, “agnosco stilum Curiae romanae”, che negò tuttavia ogni responsabilità. ( Wikipedia )

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Libri & Letture

 

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Trompe L'oeil

Trompe-l’œil: Tecnica pittorica che crea illusione ottica

Il trompe-l’œil ( letteralmente “inganna l’occhio” ) è un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell’osservatore l’illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali, in realtà dipinti su una superficie bidimensionale. Il trompe-l’œil consiste tipicamente nel dipingere un soggetto in modo sufficientemente realistico, da far sparire alla vista la parete su cui è dipinto. Ad esempio, il trompe-l’œil trova il suo campo nella rappresentazione di finestre, porte o atri, per dare l’illusione che lo spazio interno di un ambiente sia più vasto. Se ne hanno esempi già nell’antica Grecia, nella società romana e nelle epoche successive, fino all’arte contemporanea. L’espressione trompe-l’œil pare sia nata nel periodo barocco, sebbene tale genere pittorico sia di gran lunga precedente ( si rammentino, ad esempio, opere come la Camera degli Sposi del Mantegna a Mantova, o il finto coro di Santa Maria presso San Satiro a Milano, del Bramante ). Dal punto di vista tecnico, il trompe l’œil richiede un’assoluta conoscenza del disegno, delle regole prospettiche, dell’uso delle ombre e degli effetti di luce, oltre alla perfetta padronanza dell’uso del colore e delle sfumature, tecniche ben precise e rigidamente sottoposte a regole matematiche e geometriche per ottenere l’effetto voluto. Lo studio del punto di vista dell’osservatore rispetto al dipinto è fondamentale. Pertanto, subito dopo avere scelto la superficie su cui operare l’intervento, l’artista dovrà individuare i punti di vista privilegiati, ossia i punti di vista da cui generalmente si osserva quell’area. Per esempio, se si decide di collocare il dipinto sulla parete di una stanza che sta di fronte alla porta di ingresso, si costruirà l’opera pittorica in modo da “ingannare” la percezione visiva di colui che entra nella stanza. Se l’artista desidera creare un’illusione prospettica, dovrà inoltre collocare il punto di fuga dell’immagine pittorica in corrispondenza del punto di vista dell’osservatore. L’illusione ottica è particolarmente efficace se l’osservatore si pone al centro della stanza, in corrispondenza del punto di fuga. È fondamentale, per raggiungere il massimo dell’illusorietà pittorica, tener conto delle reali sorgenti luminose dell’ambiente, la loro natura e la loro direzione, in modo che il soggetto rappresentato appaia come illuminato da quelle luci. ( Wikipedia )

Prigionieri italiani nei campi di Stalin

Il ritorno dei prigionieri, tra la seconda metà del 1945 e l’estate ’46, avvenne per lo più nell’indifferenza generale: troppe erano le ferite da rimarginare nel paese; al Nord tutti avevano combattuto o sofferto la guerra civile; ovunque la gente era impegnata nella ricostruzione e non c’erano né tempo né moti di compassione per i reduci dai lager sovietici. Di quel periodo dà oggi un quadro generale, in una ricostruzione efficace e convincente, Guido Crainz. Ad attendere i rimpatriati, pressoché a ogni arrivo alle stazioni delle diverse città, c’erano i genitori e le spose dei militari “dispersi”, di cui non si avevano più notizie, che mostravano ai reduci le fotografie dei loro cari domandando se li avevano visti e se ne sapevano qualcosa.

Il problema dei prigionieri italiani in Urss determinò nella popolazione forti tensioni sin dai primi passi compiuti dal governo Bonomi nel Regno d’Italia liberato dagli Alleati, nell’estate 1944; il motivo stava evidentemente nella assoluta mancanza di notizie su tutti i dispersi, di cui non si sapeva se fossero ancora vivi e prigionieri o se fossero morti e dove. L’esame delle carte diplomatiche italiane da quell’anno 1944 fino al 1954, compiuto di recente, ha dimostrato che il governo italiano, pur nella frammentarietà delle notizie, era tuttavia a conoscenza con una certa precisione che i prigionieri detenuti dai sovietici erano in numero ben minore di quanto l’opinione pubblica italiana sperasse. La questione dei prigionieri in Urss era trattata con particolare cautela, sia per la precaria posizione dell’Italia, almeno sino alla definizione del trattato di pace, sia per la difficoltà di rapportarsi con uno Stato molto diverso per forma di governo, per costumi e per ideologia, che considerava i prigionieri di guerra (compresi i propri cittadini detenuti in quel momento da altre potenze) come traditori della patria indegni di qualsiasi forma di attenzione. ( Tratto da Biblioteca Persicetana )

 

Libri colorati

Uguaglianza e Lavoro: la Società ideale di San Leucio

Una vera e propria società ideale sancita dalle “leggi del buon governo” di quello che è noto come “Il Codice Leuciano” di Ferdinando IV Re delle Sicilie. Si tratta delle emanazioni reali che sancivano le modalità comportamentali degli abitanti della Real Colonia ispirate al dispotismo illuminato della fine del ‘700.

Il sito di San Leucio era stato acquistato dai Borbone come residenza di caccia ma Ferdinando, dopo la morte prematura del suo primogenito, lo adibì a sito per la lavorazione su scala industriale della seta. Oltre alle abitazioni per i lavoratori, il progetto prevedeva strutture educative e sanitarie. Una siffatta città ideale necessitava di un codice di leggi contenente i principi fondamentali che avrebbero dovuto guidare la comunità e favorirne il florido sviluppo. Fu così che nel 1789 nacque lo Statuto di San Leucio o Codice Leuciano, un chiaro esempio di dispotismo ispirato ad ideali di uguaglianza sociale e di solidarietà. Diverse fonti riportano che il codice fu redatto dall’intellettuale Antonio Planelli, appartenente all’entourage della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena.

Il Codice Leuciano è composto da 5 capitoli e 24 brevi paragrafi e descrive una società fondata sulla pari dignità tra i lavoratori e sul merito.

“Essendo voi dunque tutti Artisti, la legge che Io v’impongo, è quella di una perfetta uguaglianza”, si legge nel codice, l’unica distinzione tra i lavoratori è quella “che deriva dal merito”. “Nessun di voi pertanto – prosegue – sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrassegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A quest’oggetto per evitar la gara nel lusso, ed al dispendio in questo ramo quanto inutile, altrettanto dannoso, comando che il vestire sia uguale in tutti”. ( Tratto da CasertaNews.it )

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I Nobili Spiriti: Pascoli D’Annunzio e le Riviste dell’ Estetismo Fiorentino

I nobili spiriti cosí suggestivamente dipinti da Pascoli e assurti a dignità titolografica nel libro di Oliva sono i frequentatori del circolo culturale animato da Angiolo Orvieto intorno alla rivista fiorentina Marzocco; raffinati esteti rosi dal tarlo della poesia e della Bellezza , definisce l autore questi giovani intellettuali appassionatamente orientati al recupero di un ideale artistico epurato degli eccessi del tecnicismo positivistico. Vale la pena di seguire passo passo il dipanarsi dei capitoli per meglio comprendere metodologia, qualità e valore dell operazione analiticamente condotta dal critico. Le prime due sezioni del volume sono dedicate rispettivamente ai nuovi goliardi , giovani smaniosi di sapere, dediti al nomadismo intellettuale, che si muovevano tra storicismo e carduccianesimo, redattori della rivista da cui essi prendevano nome (il cui programma si leggeva nel fascicolo d apertura, 1877), seguaci del Bartoli, del Trezza, del D Ancona, e spesso non indifferenti al verbo socialista di Andrea Costa. Accomunati nel segno del ribellismo bohémien, generoso anche se un po folkloristico, e rinnovatori dell aria stantia di biblioteca , ce li dipinge un comprimario di quegli anni, Giulio Salvadori, che militerà poi nella fila degli animatori dei fogli romani sorti dietro l impulso del bizantino Angelo Sommaruga: raccolti in tre grosse divisioni, ripartiti in cento altre minori, sotto cento bandierine di carta, i ribelli furono in arme . Battaglieri contro gli sdilinquimenti della letteratura rosa di un Ferdinando Fontana, nemici del sentimentalismo deamicisiano, schierati a difesa di Carducci (di cui la rivista fiorentina ospita il Preludio delle Odi barbare) in opposizione ai suoi detrattori, tra cui il vate catanese Mario Rapisarda. Agiva in essi infatti anche l eredità degli studi severi di filologia ed erudizione di cui alti esempi Pascoli, D Annunzio e le riviste dell estetismo fiorentino 299 aveva fornito il poeta e critico cui facevano prevalentemente riferimento; eredità che trovava espressione nel prezioso lavoro informativo e divulgativo che tali goliardi dell età moderna svolgevano stilando schede, recensioni, presentazioni e sommari delle maggiori pubblicazioni periodiche italiane ed europee (di paleografia, linguistica, storia…), cosí ragguagliando i lettori sulle novità librarie, sprovincializzando cultura e gusto e preparando il campo per altri gruppi vitalissimi a Firenze, quello costituito dai redattori della Vita Nuova (Angiolo Orvieto, Giuseppe Andrea Fabris, Severino Ferrari, Ugo Fleres, Giovanni Marradi, Guido Mazzoni, Cesare Musatti, Giovanni Pascoli…), e quello del cenacolo del Marzocco  ( Tratto da Rita Verdirame )

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Il Mito di Merlino

Il mago e chiaroveggente Merlino ( in bretone: Merzhin, in gallese: Myrddin, in francese e inglese: Merlin ) è uno dei personaggi centrali del ciclo bretone e delle leggende arturiane. Fu lui l’artefice della Tavola Rotonda: grazie a un suo incantesimo, inoltre, Uther Pendragon giacque con Ygraine e così fu concepito re Artù. Fu ancora lui ad allevare Artù e condurlo fino all’ascesa al trono. Sua allieva (e rivale nelle versioni più recenti dei racconti arturiani) fu Morgana ( Morgan Le Fay ), un altro personaggio magico importante della tradizione arturiana.

Nella letteratura in lingua gallese vi sono in effetti due diversi personaggi di nome Merlino ( Myrddin ): Myrddin Wyllt ( Merlino «il Selvaggio» ), un pazzo nordico che non ha alcuna relazione specifica con il ciclo di Artù, e Myrddin Emrys ( Merlino «il Saggio» o Caledonensis ). La rappresentazione standard di questa figura comparve per la prima volta nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth ( 1136 circa ) ed è basata sulla fusione di precedenti figure storiche e leggendarie: Goffredo, infatti, combinò le storie esistenti su Myrddin Wyllt con i racconti su Ambrosio Aureliano per formare la figura che egli chiama Merlino Ambrosio. Fu proprio Goffredo a porre in relazione per la prima volta Merlin con la saga arturiana, di cui Merlino divenne in seguito uno dei personaggi più importanti.

La versione goffrediana di questa figura divenne subito popolare e gli autori successivi ampliarono poi questi elementi così da produrre un’immagine più completa del mago. La sua biografia tradizionale lo vuole figlio di un demone e di una donna mortale che alla nascita ereditò dal padre i suoi poteri. In alcune versioni delle leggende fu il consigliere di Artù fino a che fu imprigionato dall’allieva di cui era innamorato, Viviana (la Dama del Lago), mentre in altre egli se ne andò lontano per vivere felicemente con lei.

Se il pubblico moderno conosce Merlino secondo lo stereotipo del mago buono con cui viene rappresentato, tra l’altro, da Walt Disney ( nella Spada nella roccia ), molte fonti medievali forniscono di questo personaggio un’immagine ben diversa: egli appare inquietante, calcolatore, imperscrutabile, talvolta persino diabolico. ( Wikipedia )

 

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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I 23 Giorni della Città di Alba & altre Letture: Libreria Aiace Roma Montesacro

 

Alba ( Cuneo )

Beppe Fenoglio

Alla fine della guerra, Fenoglio riprese per un breve tempo gli studi universitari prima di decidere, con grande rammarico dei genitori, di dedicarsi interamente all’attività letteraria. Al referendum istituzionale del 1946 vota per la monarchia.

Nel 1949 comparve il suo primo racconto, intitolato Il trucco e firmato con lo pseudonimo di Giovanni Federico Biamonti, su Pesci rossi, il bollettino editoriale di Bompiani. Nello stesso anno presentò a Einaudi i Racconti della guerra civile e La paga del sabato, romanzo che ottenne un giudizio molto favorevole da Italo Calvino. Nel 1950 conobbe a Torino Elio Vittorini, che stava preparando per Einaudi la nuova collana “Gettoni”, ideata per accogliere i nuovi scrittori; nella stessa occasione Fenoglio conobbe di persona Calvino ( con il quale aveva intrattenuto fino a quel momento solamente una cordiale corrispondenza ) e Natalia Ginzburg.

Incoraggiato da Vittorini, riprese La paga del sabato e ne attuò una nuova stesura, ma a settembre abbandonò definitivamente il romanzo per organizzare una raccolta di dodici racconti, alcuni dei quali già inclusi nei Racconti della guerra civile. Nel 1952 la raccolta di racconti uscì, nella collana “Gettoni”, con il titolo I ventitré giorni della città di Alba. L’anno seguente Fenoglio completò il romanzo breve La malora, pubblicato ad agosto 1954.

Seguì un’intensa attività come traduttore dall’inglese: nel 1955 uscì sulla rivista Itinerari la traduzione de La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge. Iniziò intanto un grosso romanzo sugli anni 1943-1945, che presentò in lettura all’editore Garzanti nell’estate del 1958. Nell’aprile del 1959 uscì, nella collana “Romanzi Moderni Garzanti”, Primavera di bellezza; firmò con Livio Garzanti un contratto quinquennale sui suoi inediti. Nello stesso anno ricevette il premio “Prato” e iniziò a scrivere un nuovo romanzo di argomento partigiano.

I ventitré giorni della città di Alba

Sei racconti sono dedicati ad episodi della guerra partigiana, altri sei sono descrizioni della vita nell’Italia contadina durante e dopo la seconda guerra mondiale ( 1939-1945 ).

La pubblicazione della raccolta, avvenuta nel 1952, segna l’esordio letterario di Fenoglio. La raccolta era originariamente intitolata Racconti della guerra civile, ma per ragioni d’opportunità[1] il titolo venne cambiato in I ventitré giorni della città di Alba, dal titolo del primo episodio.

Questo narra della conquista partigiana di Alba, avvenuta il 10 ottobre 1944. Privi degli aiuti alleati, i partigiani resistono poche settimane prima di cedere nuovamente la città all’esercito della Repubblica Sociale Italiana il 2 novembre successivo, dopo, appunto, 23 giorni.

La conquista di Alba da parte delle formazioni autonome delle Langhe fu il coronamento di mesi e mesi di lotta sulle colline, che avevano ridotto il presidio fascista al lumicino, quasi confinato all’interno della città; le truppe, quindi, furono costrette ad abbandonarla e lo fecero in modo ordinato e concordato il 10 ottobre, grazie all’intervento della curia diocesana, incalzati dai partigiani che si apprestavano ad entrare trionfalmente per le vie, salutati poi dalla popolazione festante e dal suono delle campane di tutte le chiese cittadine. Questa occupazione militare diede molto fastidio alle alte autorità fasciste, da Torino fino a Salò, che subito pensarono al modo di rientrare in possesso della città; una zona libera di questo tipo non poteva esistere, perché rappresentava una vera “macchia” al prestigio della Repubblica Sociale Italiana, per questo motivo alla riconquista non parteciparono truppe tedesche ma solo italiane, in particolare reparti anti-partigiani dei RAU ( Reparti Arditi Ufficiali ), formazioni della GNR ( Guardia Nazionale Repubblicana ) e delle Brigate nere, un plotone di cavalleria e alcuni reparti della Xª MAS ( Bgt. Lupo e 1^ e 2^ Cp. Btg. Fulmine ). I partigiani, che diedero vita a un governo civile mantenendo l’ordine e i commerci, controllavano soprattutto le rive del fiume Tanaro a nord e l’ingresso della città dalla direttrice sud, mentre tutto il fianco ovest si pensava fosse ragionevolmente sicuro per la presenza del fiume in piena e, soprattutto, per via del crollo del ponte in località Pollenzo, a pochi km di distanza, dopo lo scoppio di una mina; il ponte (di corde), però, fu distrutto solo in parte e, sotto il controllo delle SS del capitano Wesser (di stanza nel castello della cinta reale di Pollenzo ), fu presto riparato a loro insaputa. La notte del 2 novembre esso fu percorso dalle truppe fasciste, che raggiunsero la città da sud e l’aggirarono da est, sulle colline, mentre un altro gruppo passò il fiume su un ponte di barche e penetrò dalla direzione ovest. L’allarme fu dato già di primo mattino da un uomo che riuscì a sfuggire alle avanguardie fasciste che avevano freddato i suoi tre compagni, in località Toetto, mentre si riparavano dalla fitta pioggia sotto la tettoia di una chiesetta ( Fenoglio scrive che stavano giocando a carte ). I partigiani attesero le avanguardie fasciste concentrandosi sulla linea sud di cascina San Cassiano, dove esistevano alcune trincee, ma presto si accorsero che il nemico li stava aggirando da est, perché da lì cominciò a sparare, e smisero una dopo l’altra le mitragliere che avevano appostato su alcune posizioni dominanti ( villa Monsordo, Castelgherlone ) sulla sinistra. Colti in inferiorità numerica e con gravi difficoltà logistiche, dovute soprattutto alle avverse condizioni meteorologiche, i partigiani ripiegarono su un’altura ( loc. villa Miroglio ) per poi defilarsi nuovamente nella Langa. I fascisti, penetrati in Alba senza il saluto della popolazione, “andarono personalmente a suonarsi le campane”

Il racconto di Fenoglio appare disincantato e privo della retorica che regnava in quegli anni attorno alla Resistenza. I partigiani erano dipinti come giovani combattenti semplici, talvolta feroci, privi di quell’alone di eroismo in cui molti, nei primi anni dalla fine della guerra, li avevano proiettati; per questo l’opera fenogliana fu oggetto di molte critiche, soprattutto dai giornali di sinistra come l’Unità ( “Guerriglia e mondo contadino”, Mario Giovana, Cappelli Editore 1988 ). Solo più tardi il suo modo di “raccontare i partigiani” fu accolto più benevolmente e la sua opera ebbe il riconoscimento che meritava anche dal punto di vista storico. ( Wikipedia )

 

Alba.23 Giorni

 

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Romanzo giallo: Nozze – Per i Bastardi di Pizzofalcone

Bastardi di Pizzofalcone

Per i Bastardi di Pizzofalcone

I bastardi di Pizzofalcone è un romanzo giallo dello scrittore italiano Maurizio De Giovanni del 2013. Il romanzo è il primo tra quelli ambientati nel commissariato di Pizzofalcone, ma il secondo con protagonista l’ispettore Giuseppe Lojacono.

Napoli. Il commissariato di polizia di Pizzofalcone è allo sbando, quattro agenti implicati nel traffico di droga sono stati allontanati. Verranno rimpiazzati dagli scarti dei contigui uffici.

Il nuovo commissario è Luigi Palma, quarantenne dal temperamento gioviale, un tranquillo divorzio alle spalle ed un interesse esclusivo per il lavoro. Giuseppe Lojacono, allontanato ingiustamente dalla sua Sicilia, è il più brillante tra gli ispettori anche se la sua condizione familiare è deprimente. Francesco Romano e la giovane agente Alessandra Di Nardo sono stati trasferiti a causa dei loro modi troppo rudi, mentre al raccomandato Marco Aragona è data l’ultima possibilità di restare in polizia.

Della vecchia squadra di Pizzofalcone sono sopravvissuti solamente l’anziano Giorgio Pisanelli e la quarantenne Ottavia Calabrese, ciascuno con seri problemi familiari. Un gruppo accomunato dal fatto di non avere niente da perdere che per questo affronterà la prima indagine con inattesa serietà: scoprire chi ha ucciso la ricca benefattrice Cecilia Festa, moglie di un famoso notaio.

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STORIA: Antonio Carioti: Alba Nera

Mussolini

QUANDO MUSSOLINI DA ROSSO DIVENNE NERO – IL LIBRO “ALBA NERA” DI ANTONIO CARIOTI RACCONTA COME SI GIUNSE ALLA MARCIA SU ROMA E ALLA NASCITA DEL FASCISMO IN UN INTRECCIO VINCENTE DI VIOLENZA, VOGLIA DI RIVINCITA E LOTTA ANTI-BOLSCEVICA – L’ASSEMBLEA DI PIAZZA SAN SEPOLCRO A MILANO DEL 23 MARZO 1919 A CUI PARTECIPARONO MARINETTI, FUTURI ANTIFASCISTI E MOLTI EBREI…

L’Inizio

Fedele al credo socialista del padre Alessandro, fabbro a Dovia di Predappio, Benito Mussolini si affina nelle frequentazioni giovanili in Svizzera dell’ esule russa Angelica Balabanoff, per seguire una carriera di militante che, dalla direzione di fogli di provincia e dalla collaborazione al periodico «La Folla» di Paolo Valera, lo porterà nel 1912 alla guida dell’«Avanti!». Un biennio di militanza intensa che si concluderà a fine ottobre 1914 sotto la spinta dei cambiamenti portati dalla guerra mondiale.

La Grande Guerra

La guerra trasformerà l’ Europa. E anche Mussolini non sarà lo stesso: il 15 dicembre 1917 pubblica il fondo Trincerocrazia , che «candida i reduci a classe dirigente del domani, forgiata dalla prova delle armi». E il 10 novembre dell’ anno successivo, dopo Vittorio Veneto, così il futuro Duce arringa gli arditi in piazza Cinque Giornate a Milano: «Il balenio dei vostri pugnali e lo scrosciare delle vostre bombe farà giustizia di tutti i miserabili che vorrebbero impedire il cammino della più grande Italia».

Il Programma sociale

l’ atto iniziale del fascismo, l’assemblea di piazza San Sepolcro a Milano del 23 marzo 1919, oltre a esaltare la guerra, il nazionalismo e l’antibolscevismo, prevede il voto ai diciottenni e alle donne, l’abolizione del Senato di nomina regia, la compartecipazione dei dipendenti nella gestione delle industrie, un prelievo fiscale sui grandi capitali, la nazionalizzazione delle fabbriche d’armi.

Dalla Crisi post-guerra all’incarico governativo del 30 ottobre 1922

( Spunti dall’articolo di Dino Messina su Corriere della Sera )

 

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Libri di Storia: Storia di Roma Antica

Mommsen

Storia di Roma di Mommsen

La Storia di Roma è una trattazione storica composta da più volumi di Roma antica scritto da Theodor Mommsen ( 1817–1903 ). Originariamente pubblicato da Reimer & Hirsel, Lipsia, tre volumi pubblicati tra il 1854 e il 1856, il lavoro affrontata il periodo storico della Repubblica romana. Un quarto e successivo volume riguardava le province dell’impero romano. Recentemente è stato pubblicato un quinto libro sull’Impero, ricostruito sulla base di sue dispense. I primi tre volumi hanno avuto ampia eco dal momento stesso della loro pubblicazione. Ancora studiato e citato, è il più noto lavoro del pur prolifico autore, tanto che fu espressamente citato nella motivazione per il Nobel per la letteratura attribuito a Mommsen nel 1902.

Mommsen inizia a scrivere la sua Storia in seguito ai suoi primi studi su Roma antica. In effetti non aveva progettato di scrivere un libro di tale portata, ma l’occasione gli si presentò nel 1850, mentre insegnava all’Università di Lipsia, dove il trentaduenne Mommsen aveva una cattedra di Diritto. ” Invitato a tenere una conferenza pubblica, presentai uno studio sui Gracchi. Reimer e Hirzel, gli editori, erano presenti, e due giorni dopo mi chiesero di scrivere la Storia di Roma per la loro casa editrice.” Licenziato dall’Università per le sue supposte attività rivoluzionarie, Mommsen avrebbe accettato la proposta editoriale “in parte per il mio sostentamento, e in parte perché mi appassionava”.

Gli editori precisarono che il trattato si sarebbe dovuto concentrare sugli eventi e le circostanze, evitando una trattazione scolastica. Karl Reimer e Solomon Hirzel desideravano certamente un lavoro accademico di tutto rispetto, adatto alle loro ben note pubblicazioni storiche, ma volevano anche che avesse un adeguato taglio letterario per soddisfare la parte più colta dei propri lettori. Come studioso Mommsen era parte attiva negli ultimi progressi fatti nello studio degli antichi romani. Inoltre Mommsen aveva avuto anche una certa esperienza come giornalista. Di certo aveva le potenzialità per diventare un autore accademico popolare.

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AGGIORNATO 30 Novembre 2023

LIBRI ONLINE: Letture by Libreria Aiace Roma Montesacro

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Winston Churchill storiografo

Winston Churchill, oltre alla sua carriera di soldato e politico, fu uno scrittore prolifico sotto il nome di “Winston S. Churchill”. Dopo essere stato assegnato al IV Reggimento Ussari nel 1895, Churchill ottenne il permesso di partecipare come corrispondente alla Guerra d’indipendenza di Cuba, e inviò rapporti sul conflitto al Daily Graphic. Proseguì la sua attività giornalistica come corrispondente di guerra nell’India britannica, alla Campagna di Malakand, poi in Sudan durante la guerra mahdista e nell’Africa meridionale durante la Seconda guerra boera. CONTINUA

Achille Compagnoni Oltre il K2

Nel 2014 è stato ricordato il 60° anniversario della prima ascesa al K2 ed è stato celebrato il centenario della nascita di Achille Compagnoni, ripercorrendo la sua vicenda umana ed alpinistica.

La rassegna ha ripercorso, attraverso materiale inedito e d’archivio messo a disposizione dall’Associazione Achille Compagnoni Onlus, l’intera vicenda biografica di Compagnoni, sciatore, guida alpina e amante della montagna, inserendo in un grande ritratto biografico anche la vittoriosa scalata del K2 che ha legato il suo nome e quello di Lino Lacedelli ( arrivato insieme a lui in vetta ) alla storia dell’alpinismo mondiale. CONTINUA

Trilogia della vita

L’idea nacque già nella fine degli anni sessanta, dato che in Italia la borghesia condannava il sesso e gli atti osceni, finendo quasi per sprofondare di nuovo nell’ottica che vi era nel Medioevo. Pier Paolo Pasolini volle denunciare questo fatto. Non era la prima volta che nei suoi film apparivano scene di nudo, ma il regista aveva deciso ormai di consacrare questo pudore in tutta la sua perfetta bellezza e purezza. Il regista s’ispirò ad alcune delle novelle più significative, giocose e riflessive di Giovanni Boccaccio per la stesura del suo primo film: Il Decameron, tratto appunto dal Decamerone. CONTINUA

 

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AGGIORNATO 1 Dicembre 2023

 

Un Libro per l’Estate: Proposte per Lettori Speciali

Estate Libri

Estate: un’ottima occasione per leggere un buon libro !

 

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AGGIORNATO 30 Novembre 2023

 

Investimenti redditizi: Libri rari

Money

Libri rari, un investimento redditizio

Catawiki, l’Asta online dei Libri, si avvale di un gruppo di esperti di libri che valutano il valore di un libro. Questi Esperti hanno fornito indicazioni sugli aspetti da prendere in considerazione per valutare il valore potenziale di un libro.

1. Importanza
Il valore di un libro aumenta se il libro ha avuto un ruolo nella storia.

2. Design e manifattura
A volte i libri hanno valore per via della loro manifattura. La copertina del libro, le illustrazioni e le miniature, fatte da artisti e designer famosi, fanno aumentare il valore del libro.

3. Prime edizioni
Il primo libro di un autore, la prima edizione di un libro accrescono il valore dell’opera.

4. Condizioni
I libri vengono classificati a seconda delle loro condizioni. Gli esperti guardano lo stato della rilegatura e della sovraccoperta, eventuali macchie e la completezza del testo e delle illustrazioni.

5. Firma
Ci sono un numero sorprendente di firme, iscrizioni e dediche che possono influenzare il valore di un libro, ma una buona regola empirica è che qualsiasi firma genuina dell’autore / illustratore / editore sarà un valore aggiunto. Più lunga è l’iscrizione, meglio è.

6. Provenienza
I libri appartenuti a celebrità valgono di più, tuttavia è importante essere in grado di dimostrare la provenienza al fine di ottenere il valore aggiunto.

7. Rarità
Il numero di copie di un libro influisce sul suo valore. I libri antichi sono spesso più rari poiché sono sopravvissuti alla prova del tempo. ( Da Catawiki, modificato )

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Aggiornato al 30 Novembre 2023

 

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