Inginocchiarsi per un delinquente: la resa della civiltà

Ave Socii

Spesso i gesti simbolici valgono più di mille parole. In questi giorni, tutto il mondo è attraversato da proteste e manifestazioni contro il razzismo. E, soprattutto, il mondo sembra unirsi in un unico gesto: quello di inginocchiarsi nel ricordo di un uomo inerme, ucciso per mano di un poliziotto. Che l’evento sia accaduto negli Stati Uniti, patria dei diritti e delle libertà, fa certamente riflettere. Che quell’uomo sia un nero rende ancora più simbolico il gesto di inginocchiarsi (non certo per la stupidità dei “razzisti”, semmai per la propaganda degli “antirazzisti”). Ma che quell’uomo abbia molteplici precedenti penali, se permettete, fa riflettere ancor di più.

Un tempo ci si inginocchiava dinanzi a Dio, a un sovrano, a un signore… Ben poche erano le categorie di soggetti dinanzi ai quali era chiesto di inginocchiarsi. E, soprattutto, erano categorie di soggetti rappresentanti un qualche potere, terreno o ultraterreno che fosse. Poteri espressione di un ordine sociale verso cui i popoli erano chiamati a rispodere, dunque a tendere. Beh, oggi ci rendiamo conto (ma forse non è una novità) che valori sociali e poteri tradizionali sono stati sovvertiti. Se un tempo ci si inginocchiava dinanzi alla legge e all’ordine, oggi ci si inginocchia dinanzi all’eversione.

Che il Presidente Trump abbia arginato, nonostante COVID-19, la crescita della disoccupazione negli Stati Uniti passa in secondo piano, dinanzi a maree umane inginocchiate nel ricordo di un pluripregiudicato afroamericano. E poco importa se, durante queste manifestazioni, si verificano assembramenti, scontri e tafferugli: sono manifestazioni “per i diritti”, quindi provengono dai “buoni” della società. Poco importa se il mondo è dilaniato dal coronavirus e dalla crisi economica: l’importante è inginocchiarsi per un delinquente. Poco importa se in Italia la crisi morde più che in altri Paesi: l’importante è inginocchiarsi per un delinquente.

Soprattutto nelle società progredite, è diffusa l’idea che ogni persona abbia diritto a sempre nuove possibilità. Stranamente, l’idea che arrivati a un certo punto dare nuove possibilità sia inutile sembra stridere col concetto di “libertà” che tanto ci piace sbandierare. E allora, nell’immaginazione, diventa tutto possibile. Come in un romanzo moralista, il nemico deve diventare per forza amico. Non esistono più differenze e culture diverse, tutti si amano senza alcun pregiudizio. Buono e cattivo si confondono, con buona pace della giustizia, delle fondamenta del diritto e della stessa civiltà.

Mai come oggi il buonismo è l’oppio dei popoli. Ma dopo lo sballo, bisogna fare i conti con la realtà. Se gli immigrati commettono, in proporzione, più reati dei cittadini autoctoni, forse un problema di culture e di radici esiste. Forse chi è forzosamente trapiantato in altre culture ha maggiori probabilità di “reagire male”, dinanzi alla cultura che dovrebbe accoglierlo. Pur di non farci un bel bagno di realtà e ammettere che la totale integrazione è solo un bel sogno, preferiamo farci di buonismo e sognare un mondo senza differenze e divisioni. Oggi l’oppio che offusca il mondo si chiama “mettersi in ginocchio”. Attendiamo solo che il suo effetto finisca…

Vostro affezionatissimo PennaNera

Terrorismo islamico e riscatti: l’Italia è sotto ricatto

Ave Socii

Perché in Italia non sono avvenuti (almeno finora) gli attentati terroristici verificatisi, invece, in altri Paesi a noi molto vicini? Un semplice favore del caso? O c’è dell’altro? Forse il nostro Paese fa comodo al terrorismo islamico in altro modo. Non come palcoscenico di attentati, ma di valori contrari alla democrazia, alla libertà e alla pace. Ne abbiamo avuto la prova in questi ultimi giorni, durante il rientro in Italia della giovane cooperante rapita in Kenya un anno e mezzo fa. Più o meno consciamente, con quella “passerella” abbiamo pubblicizzato una delle fazioni più feroci del terrorismo islamico.

Ovviamente è un bene che una ragazza poco più che ventenne sia tornata a casa. Quel che fa riflettere è la modalità con cui è stata riportata a casa. Si parla di un riscatto milionario. Il nostro Paese, giustamente, pone la vita al vertice della piramide dei diritti, così come tutti i Paesi occidentali. Chi di noi non sarebbe disposto a pagare qualsiasi cifra, pur di riavere indietro una vita umana? I terroristi questo lo sanno e, consci di impugnare il coltello dalla parte del manico, fanno leva sul nostro senso di impotenza per avere ciò che loro interessa.

L’Italia è solita risolvere rapimenti e simili eventi attraverso la pratica del riscatto. Se ciò, da una parte, è una forte garanzia di tutela della vita umana, dall’altra è pure un segnale di debolezza che inviamo all’estero. Segnale che il terrorismo islamico ha da tempo captato. C’è un altro modo per tutelare la vita umana, senza per forza cedere ai ricatti di soggetti senza scrupoli, la cui cultura spesso offende il diritto alla vita e la libertà delle persone? Sì, forse sì: chiedendo a chi invia persone in luoghi pericolosi, di assumersi le responsabilità delle sue scelte. D’altronde, se la nostra cultura difende la vita, difenderla dovrebbe essere compito di tutti. Non solo degli Stati, ma anche di una qualsiasi associazione umanitaria.

Quanto successo dimostra, invece, la totale subalternità della cultura occidentale (dell’Italia, perlomeno) alla cultura islamista più radicale. Con i soldi di quel riscatto, probabilmente il terrorismo finanzierà nuovi attacchi o attentati le cui vittime, un giorno, saremo costretti a piangere. Coi criminali non si tratta, soprattutto se a trattare deve essere uno Stato. Al massimo, se è proprio necessario trattare, la trattativa dovrebbe esser sostenuta da soggetti privati, come associazioni e simili. Nessuno può chiedere a degli inermi di “fare gli eroi”, se non ha i mezzi necessari per equipaggiarli in sicurezza. Specie in luoghi ostili alla cultura occidentale, impregnati dell’Islam più radicale.

Non raramente certe associazioni, ammantate di bei valori come il dialogo o l’integrazione, attirano giovani pieni di speranze ambizioni e ideali. Ebbene, se simili enti sono soliti predicare il dialogo e l’integrazione dei popoli, a maggior ragione dovrebbero farlo quando di mezzo ci sono diritti come la vita o la libertà. Motivo in più per renderle responsabili, appunto, della vita e della libertà dei loro “inviati”. Se i terroristi islamici vanno trattati “senza pregiudizi”, vadano loro a negoziare “senza pregiudizi” coi terroristi islamici. E senza scomodare gli Stati. Se poi non ne sono capaci, smettano di mentire a migliaia di giovani e ammettano una volta per tutte che l’integrazione con certe culture è impossibile.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Svuotacarceri durante una pandemia: sciacallaggio puro

Ave Socii

E’ un momento difficile per tutti noi italiani. Un momento nel quale tutti noi siamo costretti a restare il più possibile chiusi in casa, per evitare il diffondersi del coronavirus. Eppure, anche in momenti del genere, c’è chi non perde occasione per finire sotto i riflettori e accendere polemiche.

Ne è prova uno dei provvedimenti contenuti nel decreto cosiddetto “Cura Italia”: lo svuotacarceri. In pratica, far uscire di prigione i detenuti giunti quasi a fine pena. Far loro scontare la pena residua presso il proprio domicilio, onde evitare il sovraffollamento carcerario e, dunque, la possibilità di creare assembramenti.

Adottare un simile provvedimento è, secondo noi, riprovevole. Essenzialmente per due motivi. Primo. Con lo svuotacarceri viene meno il concetto di “certezza della pena” troppe volte evocato e, purtroppo, quasi sempre calpestato. Secondo. Mentre gli italiani onesti sono costretti a chiudersi, lo Stato apre ai carcerati. Il controsenso è più che evidente.

Per noi, invece, rimanere in carcere è forse una mossa vincente contro possibili contagi dall’esterno. Che una cella sia affollata è anche possibile. Ma una situazione simile, ad esempio, può verificarsi pure per un grande nucleo familiare costretto in una casa da quaranta metri quadrati. Per una simile famiglia non c’è possibilità di rimediare al sovraffollamento domestico. Perlomeno non tramite un improbabile “provvedimento svuotadomicili”. Non è questione di avere pregiudizi nei confronti di chi ha sbagliato. E’ una questione di mera praticità.

C’è un solo modo per evitare che le carceri, pure sovraffollate, non subiscano gli effetti del contagio del virus. Il modo è: evitare flussi di persone dall’esterno, ad eccezione ovviamente di quelli obbligati all’ingresso. Ciò significa, sostanzialmente, evitare le visite dei parenti dei carcerati. E forse è questo che ad alcuni carcerati non è andato giù, qualche giorno fa, quando in molte carceri d’Italia si sono verificati disordini ed evasioni.

Secondo noi, quei tafferugli si sarebbero potuti evitare prospettando sin dall’inizio la possibilità, per i carcerati, di usufruire di maggiori telefonate ai parenti. Questa sarebbe stata la cosa più giusta da fare. I carcerati sicuramente lo avrebbero capito, esattamente come tutti noi che stiamo fuori dal carcere. Perché un’emergenza del genere non può non unire tutti quanti, anche se distanti.

Certo, le teste calde si trovano ovunque. In carcere ma anche fuori. E il sospetto è che sia stato proprio qualcuno da fuori a fomentare le proteste di qualche giorno fa. Alcuni centri sociali, ad esempio. Coloro, in pratica, che da sempre portano avanti battaglie relative ad argomenti come amnistie o indulti.

In tempi del genere, proporre simili battaglie non può che essere considerato un atto di sciacallaggio. Quella dello svuotacarceri non è che una battaglia politica che i centri sociali portano avanti in maniera viscida. Affermano, a loro giustificazione, che la società ha pregiudizi verso i carcerati. In realtà, forse, sono invece certi soggetti ad aver pregiudizi ben più forti nei confronti delle Forze dell’Ordine e del resto della società. E vedere un governo che viene incontro a simili richieste, è un’immagine pericolosa per chi ancora crede nei valori della democrazia, dell’uguaglianza e della giustizia.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Strade sempre più insicure, soprattutto per i pedoni

Ave Socii

Da tempo immemore, purtroppo, la cronaca mostra che, sulle nostre strade, c’è chi si mette al volante ubriaco o drogato. E c’è ancora chi, tra le forze politiche, è addirittura favorevole ad aumentare il numero di sostanze legalizzate. Come se non bastasse l’alcol, vogliono aggiungere la cannabis e magari pure qualcos’altro. E poi si arrabbiano, quando qualcuno si fa vedere un tantino più “proibizionista”… Allora perché non fermiamo anche la vendita di alcolici? Questo si domandano, dandoci degli ipocriti. Sanno benissimo, furbetti, che la vendita di alcolici non si può limitare facilmente. E pensano bene di proteggersi dietro a questo scudo. Ci si sballa con l’alcol, tanto vale sballarsi pure con altro. Perché l’alcol sì e la cannabis no?

Questo giochino del “mettere sotto scacco i proibizionisti”, tuttavia, dà per scontata una cosa che in realtà scontata non è affatto. Ossia, che alcol e droghe abbiano la stessa natura e servano, fondamentalmente, per sballarsi. Questa pericolosa identità è oggi sponsorizzata in primo luogo dai trapper e dai loro testi musicali, tanto amati da giovani e giovanissimi. E’ un’identità pericolosa e fuorviante. Bere alcol non significa necessariamente sballarsi; farsi una canna, invece, conduce sempre ad un’esperienza di sballo. Perché gli alcolici sono degli alimenti, i cannabinoidi dei medicinali. Chi pensasse di trattare l’alcol come una droga tout court, in pratica, giungerebbe a considerare “spacciatori” perfino quei viticoltori che mantengono alto il nome del “Made in Italy” nel mondo. D’altro canto, la cannabis è una sostanza psicotropa che ha certamente effetti benefici su determinate patologie. E, in quanto tale, dovrebbe essere trattata come un farmaco, non come un passatempo ricreativo.

Ritornando a chi viaggia sulle nostre strade, potremmo chiederci perché certa gente si mette a guidare in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti. Probabilmente è gente che soffre, gente depressa che ha bisogno di sballarsi. Gente totalmente incentrata sui propri problemi, perciò incurante di tutto il resto. Una sostanza non provoca sballo finché non è legata ad una particolare esperienza. Bere tre dita di vino a pranzo, accompagnando i pasti, è forse un’esperienza di sballo? Persino la somministrazione controllata di cannabinoidi in ambito sanitario, per curare il morbo di Parkinson ad esempio, non porta ad uno sballo propriamente detto. D’altro canto, chi prima si fa una canna oppure svariati bicchieri di alcolici e poi scorrazza per le strade… Beh, forse ha bisogno di curarsi.

Chi ha avuto particolari esperienze di vita, soprattutto all’interno di famiglie problematiche, tende a cercare al di fuori del nido familiare la propria ragion d’essere. E spesso la trova nel divertimento estremo, nello sballo appunto. Mettere a rischio la vita altrui è forse una componente essenziale di quest’esperienza. Come dire: io ho sofferto tanto e ce l’ho con la società, perciò la società deve capire cosa vuol dire soffrire. A volte il fatto stesso di aver sofferto giustifica, agli occhi di costoro, la sofferenza che può capitare ad altri membri della società. L’invidia nei confronti del mondo li rende pericolosi: si lamentano che la loro vita è un inferno, quando certe volte sono loro stessi a rendere infernale la vita degli altri. E’ forse “libertà di divertirsi” questa? Nessuno può permettersi di affermare la propria libertà, arrivando a negare la libertà altrui.

Mettendosi nei panni di queste persone, si finisce senza dubbio per giustificarle. Le loro “vite difficili” coinvolgono e commuovono. Se sbagliano non importa, l’importante è che prima o poi si redimano… Perché la redenzione è possibile per tutti… Si tratta di un pensiero (purtroppo) assai diffuso oggi, dove sembra che ai criminali sia concesso tutto e che delle vittime tutti si dimentichino. Perché è così che dovrebbe essere considerato uno che scorrazza per le strade in preda allo sballo: un criminale. Il fatto che dei pedoni abbiano attraversato col rosso non giustifica un conducente in stato di ebbrezza che li travolge. Non vogliamo fare la solita predica sul divertimento sano e senza eccessi. Se volete bere, bevete. Se volete drogarvi, drogatevi. Ma per tornare a casa, fatevi almeno accompagnare da chi sta meglio di voi. Ne va non tanto della vostra vita ma della vita altrui, dei pedoni soprattutto.

Purtroppo il clima di buonismo negli ultimi tempi imperante ha varcato pure i confini del diritto. Dinanzi a un sistema che concede attenuanti a persone che “hanno sofferto”, noi rispondiamo con un progetto ri-educativo serio di reintegrazione e reinserimento nella società. Un progetto basato sulla rielaborazione del senso della vita, sull’abbattimento del vittimismo e sulla responsabilizzazione. Crediamo che ai soggetti devianti debbano essere concesse possibilità che magari non hanno mai avuto. Ma non all’infinito. Qualora tale progetto fallisca, infatti, non rimane che trattare queste persone come in effetti vogliono essere trattate: da criminali. E, nel caso risultino nuovamente coinvolte in reati provocati da situazioni di sballo, provvedere alla loro neutralizzazione.

L’applicazione della pena di morte, in realtà, non dovrebbe valere solo per chi viaggia per le strade in preda a droghe o alcol. Dovrebbe valere per tutti coloro i quali mettono a rischio la vita altrui, fra i quali anche spacciatori e assassini. Perché la vita è un diritto sacro e, in quanto tale, nessuno dovrebbe permettersi di insidiarlo. Qualora questo accada, potrebbero aprirsi degli spiragli per un intervento dello Stato nel caso il reo sprechi le possibilità di reinserimento nella società. Speriamo, ovviamente, che interventi tanto drastici non trovino mai applicazione pratica. Tuttavia crediamo che ognuno di noi avrebbe un motivo in più per responsabilizzarsi, se sapesse di rischiare grosso. E’ così strano sentir parlare di morte per i colpevoli, in uno Stato in cui si parla spesso di morte per gli innocenti?

Vostro affezionatissimo PennaNera

Ideali scomodi. Il coraggio dell’impopolarità

Ave Socii

Lo strumento della politica dovrebbe servire per portare avanti degli ideali e trasformarli in realtà. E’ questo il bello della politica: combattere per degli ideali in cui si crede. Continuare a combattere per essi, anche se sono ideali passati ormai di moda. Oppure ideali che cozzano contro posizioni attualmente di moda. Battersi per degli ideali, in democrazia, espone al rischio di trovarsi contro le mode del tempo, contro le tendenze, contro il popolo. E purtroppo è proprio questo che, molto spesso, impedisce ai politici di lottare liberamente per gli ideali in cui credono davvero.

In realtà, un po’ tutte le forze politiche tendono a comportarsi come il popolo vorrebbe si comportassero. Il populismo, checché se ne dica, alberga a sinistra così come a destra. Mettere nuove tasse è certamente impopolare, specie in uno Stato dove la pressione fiscale è già alta. Se tuttavia una forza politica ha il coraggio di proporre simili misure, dovrebbe poi avere anche il coraggio di sostenerle fino in fondo. Ciò che in sostanza questo governo negli ultimi giorni non ha fatto, rinviando tasse proposte e avallate proprio da alcune forze di maggioranza. Pur di mostrarsi compatto e “favorevole al popolo” ha deciso di non decidere, spacciando questa “non decisione” per un “miracolo”. Pensando magari che gli italiani avrebbero ringraziato elettoralmente, quasi avessero l’anello al naso. Dalle tasse rinviate alle sardine, se le stanno inventando tutte pur di riacquistare consensi. Se alle prossime elezioni regionali non dovessero farcela neanche così…

L’essere popolari, come detto, è un vincolo che caratterizza e influenza tutti i partiti, soprattutto i più grandi. Accanto ad argomenti popolari, invece, ogni partito dovrebbe pure sostenere posizioni e ideali che vadano al di là del proprio tornaconto elettorale. C’è chi propone lo ius culturae per i minorenni nati in Italia da persone immigrate, benissimo… C’è chi propone di superare il concetto di “modica quantità” e trattare con durezza ogni tipo di detenzione di stupefacente, benissimo… Si abbia, però, anche il coraggio di portare avanti queste battaglie. Con serietà, determinazione e coerenza. Perché la coerenza paga. E se non paga adesso, perché momentaneamente vanno di moda altri ideali, magari pagherà in un futuro neanche troppo lontano. Perché le bandiere che il popolo segue possono cambiare. La sfida è farsi trovare pronti. E farcisi trovare, per quanto possibile, da una posizione che nel tempo si è mantenuta coerente.

Secondo noi, esistono molte battaglie politiche per cui varrebbe la pena combattere, in questo preciso momento storico. Andare in mezzo ai giovani e spiegare che la cannabis fa male. Legalizzare la prostituzione, invece che le droghe. Colpire i consumatori, oltre che i trafficanti di stupefacenti. Almeno discutere di pena di morte per i criminali, così come si discute di aborto e eutanasia per gli innocenti. Consentire l’organizzazione di ronde per sopperire alla carenza di pubbliche forze dell’ordine, oltre che regolamentare la legittima difesa nella proprietà. In casi eccezionali, per salvaguardare la sicurezza pubblica, provvedere a limitare alcuni diritti.  Affermare che l’integrazione è sì buona e bella, ma impraticabile perché ogni immigrato ha i suoi valori, spesso incompatibili con quelli del Paese che lo ospita. Sostenere che alcune famiglie, nell’accudimento dei figli, sono più adatte di altre. Schierarsi contro la deriva ambientalista, sostenendo che avvantaggia i petrolieri piuttosto che l’ambiente…

Quante battaglie si potrebbero sostenere, se non si badasse esclusivamente al consenso del popolo! Ma schierarsi apertamente contro certi ideali significherebbe, per alcuni partiti, crollo sicuro nei sondaggi. Visto che ultimamente si tengono elezioni a distanza molto ravvicinata, certe battaglie non vengono intraprese. Ce li vedete, voi, i politici ad andare in mezzo ai giovani, spiegando loro che la cannabis fa male? Gli riderebbero addosso, in fondo “è solo una cannetta, tutta roba naturale”… O a dire che, a determinate condizioni, certi diritti vanno limitati? Darebbero loro dei “barbari”… O a sostenere che certi nuclei familiari, pur legittimati da un Parlamento, sono una spanna al di sotto della “famiglia tradizionale” nella cura dei figli? Politici del genere sarebbero etichettati come “retrogradi e sfigati”… O a mettersi contro l'”onda verde”, contro chi riempie le piazze manifestando a favore dell’ambiente? Tali politici verrebbero messi al rogo, pure a costo di inquinare l’atmosfera…

Ci auguriamo che alcuni abbiano il coraggio di assumere queste (ed altre) posizioni scomode. E di assumerle in maniera continuativa, senza timore per una situazione di impopolarità temporanea o prolungata nel tempo. E di continuare a navigare nella stessa direzione, pure quando il popolo volta le spalle e il vento cambia. Perché un giorno il vento tornerà a soffiare in questa direzione. Perché un giorno il popolo volgerà di nuovo lo sguardo verso questa parte. Perché quel giorno chi è rimasto coerente raccoglierà i frutti della propria coerenza.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Vita, diritto da difendere ma anche da meritare

Ave Socii

“Vuoi la vita? Meritala!”… Dovrebbe essere questo l’imperativo morale di ogni essere umano di ogni tempo e di ogni cultura… Invece molti di noi amano appiattirsi sulla vita in quanto “diritto inalienabile”, diritto anteposto persino allo Stato e che lo Stato deve limitarsi unicamente a tutelare. Ma cosa significa “tutelare la vita”? In che modo uno Stato può intervenire, se un individuo minaccia l’esistenza di un altro individuo? Dovremmo essere tutti d’accordo sul fatto che la vita è sacra… Eppure c’è chi, attraverso i suoi comportamenti, dà l’idea di pensarla in maniera esattamente opposta. Chi uccide, evidentemente, non ha molto a cuore la “sacralità” della vita. A nostro avviso, i criminali che si macchiano di omicidio dovrebbero sapere cosa significa “sentire che la propria vita è a rischio”. Forse questo potrebbe spingerli a “cambiare”… Se ciò non accadesse, lo Stato dovrebbe agire di conseguenza.

Pure la regola generale del “vivere” come “diritto inalienabile” presenta delle eccezioni. Certe volte uccidere un innocente è sintomo di progresso: infatti ci interroghiamo su aborto e eutanasia. Ma uccidere un colpevole rimane un tabù: infatti molti vedono nella pena di morte un ritorno alla preistoria. E sperano che presto venga abolita in tutto il mondo. Vediamo, dunque, che anche per i diritti cosiddetti “umani, universali, inalienabili” possono essere previste delle eccezioni. Ma chi decide la liceità o meno di queste eccezioni? Se un diritto è universale e inalienabile lo è in assoluto, senza eccezioni. Perché, in certi casi, si può invece chiudere un occhio? Allora non siamo di fronte a un diritto così inalienabile come alcuni vorrebbero far credere… Se solo alcuni pensano di decidere quando un diritto è inalienabile o meno, noi non ci stiamo. Ed esprimiamo le nostre idee in merito… I fascio-buonisti non si indignino!

Per fortuna sta cominciando a passare il principio che chi entra nella proprietà altrui, senza essere il benvenuto, implicitamente accetta di mettere a repentaglio la propria vita. Quello della legittima difesa è, tuttavia, un provvedimento che necessita di molti miglioramenti. Però è già un primo passo per contrastare il senso di impunità che sembra aver spadroneggiato nel nostro Paese negli ultimi anni. Siamo assolutamente favorevoli a che sia ristabilito un clima di rispetto delle regole. Far rispettare le regole è l’unica garanzia di umanità e diritti per tutti, specialmente per i più deboli. Purtroppo abbiamo l’impressione che questo rinnovato clima non durerà a lungo. A qualcuno, infatti, questo clima non piace affatto e farebbe di tutto pur di spazzarlo via… Magari in nome di quei presunti “diritti umani” che hanno già dimostrato generare solo conflitti nella nostra società…

Ci sono persone che bevono o si drogano, poi si mettono alla guida di un’auto, sfrecciano a tutta velocità per le strade, incontrano persone ignare e magari succede il peggio… Al di là di tutti i discorsi educativi e di tutte le raccomandazioni, chi si comporta così non fa male solo a se stesso ma rischia di fare seriamente male pure ad altri che con lui non c’entrano assolutamente nulla. Anzi, soprattutto a loro. Bere e drogarsi sono scelte di quelli che intendono “trascorrere una bella serata”, così come mettersi successivamente alla guida di un’auto… Incrociare un’auto guidata da un drogato o un alcolizzato, invece, non è certo una scelta per quel poveraccio che ha la sfortuna di vedersi piombare addosso quell’auto a folle velocità.

In fondo, chi beve o si droga mette in conto che una corsa per strada potrebbe anche porre fine alla sua vita… Ognuno può fare della propria vita quel che vuole, pure metterla in pericolo fino alle estreme conseguenze. Tuttavia, se uno vuol mettere la propria anima nelle mani del Signore, non può costringere che altri lo seguano per quella strada. Specie se con lui non c’entrano nulla. Dovrebbe essere il Signore a decidere il giorno della nostra chiamata verso il cielo… Non uno sconosciuto che ha assunto qualche bicchiere di troppo o qualche stupefacente… Se certi soggetti hanno avuto “una vita difficile”, evitino perlomeno di renderla difficile agli altri! Si facciano aiutare, piuttosto!

Ci sono persone che si autoledono, si tagliano, si drogano, per mettere alla prova l’altro e attirare l’attenzione. Se comportamenti del genere perdurano, arrivare a mettere in gioco la propria vita è un attimo. All’inizio è bene aiutare queste persone ad uscire da questi atteggiamenti sbagliati, coinvolgendo tutte le figure significative vicine. Che ognuno di noi voglia attirare l’attenzione è fisiologico, magari pure attraverso comportamenti a rischio… Probabilmente nessuno di noi è stato un santo durante l’adolescenza! Ma arriva un momento in cui il meccanismo, se non corretto, si inceppa e il rischio, da comportamento marginale, diviene ragione stessa della propria esistenza. Strategia da utilizzare normalmente, da riproporre ogniqualvolta si incontra una difficoltà. In questi casi patologici ogni aiuto comincia a diventare vano… E ogni nuovo fallimento dei tentativi d’aiuto rafforza sempre più quella strategia malsana… E chi ha aiutato rischia pure di sentirsi in colpa per aver fallito…

Ci chiediamo, a questo punto, se soggetti così depravati siano degni di continuare a vivere. Siamo esagerati noi? O forse sono irrecuperabili loro? E se magari non solo sono irrecuperabili, ma pure potenzialmente dannosi per il prossimo? Se dopo tante messe alla prova non c’è stato verso di cambiare i loro atteggiamenti, cosa rimane da fare? Aspettare che facciano altri danni, magari con tanto di morti e lacrime di circostanza? Se tali soggetti considerano tanto insignificante il valore della vita, mettere a rischio gli altri sarà per loro una cosa “normale”. Sarebbe più che opportuno, allora, disinnescare simili mine vaganti finché si è in tempo. Ogni giorno in più della loro vita potrebbe significare altre vite innocenti danneggiate o, peggio, spezzate del tutto.

Per questo siamo convinti che aiutare i devianti con ogni mezzo sia cosa buona e auspicabile, ma se dopo tanti tentativi si fallisce è bene non prendersela con se stessi. Soprattutto se si è fatto tutto il possibile. In fondo, se il deviante perdura nella sua strategia non è colpa di chi cerca di aiutarlo a trovare strade alternative. Semmai la colpa è del deviante stesso, che vuole ignorare l’esistenza di strade alternative. Se la sua vita non conta nulla di fronte ai suoi capricci, che vada pure incontro al suo destino! A pensarci bene, nemmeno chi fa scioperi della fame o della sete ha molto a cuore la propria vita. Alla faccia del valore universale, in casi del genere la vita viene strumentalizzata per spuntarla in battaglie di varia natura. Battaglie personali, talvolta persino battaglie politiche… “Fare la vittima” perché gli altri si turbino e abbocchino…

Simili “strategie della tensione” dovrebbero essere assecondate solo per breve periodo. Se perdurano, tuttavia, andrebbero stroncate. Certo, all’atto pratico è tutt’altro che semplice definire una linea di comportamenti da tenere. Stabilire se una strategia è intenzionalmente orientata a mettere in difficoltà l’altro, tenerlo “sotto scacco”, o è invece solo l’effetto di una patologia mentale cronicizzata, è certamente complesso. Secondo noi, la strategia di intervento andrebbe ponderata in riferimento al luogo che ha in carico i soggetti in questione. Se una struttura è “socio-educativa” dovrebbe agire in certi modi, se è “sanitaria” in modi diversi. E’ chiaro che ogni struttura dovrebbe avere ben precisi requisiti, tali da renderla classificabile in maniera non equivoca e tali da poter permetterle di accogliere ben determinate categorie di utenza. Solo successivamente sarà chiaro in quali modi poter agire, in base al tipo di struttura e all’utenza ospitata.

Ad esempio, in strutture non prettamente sanitarie (carceri, comunità per tossicodipendenti ecc.) gli operatori non dovrebbero essere obbligati a intervenire, in caso di reiterazione frequente di “atteggiamenti autolesivi” da parte degli utenti. Finché capita sporadicamente si può cercare di venire incontro alla “vittima”. Ma chi persevera ha ben chiare le conseguenze cui va incontro, perché le ha già affrontate. Quindi, implicitamente, è come se le accettasse. Anche perdere la vita è una possibile conseguenza di certi comportamenti. E un operatore non può essere messo continuamente alla prova da queste “vittime” recidive. Se il comportamento lesivo coinvolgesse anche altri utenti, l’obbligo di intervento dovrebbe essere garantito esclusivamente ai “terzi lesi” e non agli autori della lesione (se recidivi). Per simili soggetti “irrecuperabili” potrebbero prospettarsi due possibilità: isolamento o fine vita. L’obbligo di intervento dovrebbe sempre valere, invece, verso chi è ospitato in strutture sanitarie come ospedali o case di cura.

Interrogarsi su aborto, eutanasia, testamento biologico, fine vita… Tutte questioni lecite e interessanti, per l’amor del cielo… Ma se uno Stato ha così tanto tempo per interrogarsi su come far morire un innocente, non vediamo il motivo per cui non debba avere tempo pure per interrogarsi su come far morire un colpevole. Scusate se le nostre opinioni non sono perfettamente allineate al “retto pensiero”… Però secondo noi l’inalienabilità della vita passa attraverso i comportamenti dei singoli, non attraverso le opinioni di qualche “paladino dei diritti umani” che pretende di dare pagelle di moralità a tutti. Firmare la condanna a morte per chi, in maniera reiterata, ha costituito un pericolo per la vita degli altri… Questo dovrebbe fare uno Stato serio che vuole tutelare la vita dei suoi cittadini onesti e perbene. Perché la vita di un singolo dipende dalle scelte che fa, nel bene come nel male.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Inerzia Capitale. Roma non merita questo

Ave Socii

Rifiuti, topi, buche, stazioni metro bloccate, autobus guasti… E’ forse questo lo spettacolo che la città eterna può permettersi di dare al resto del mondo? Roma è la culla della civiltà occidentale. Da Roma proviene il concetto stesso di “civiltà”. Roma è il centro del mondo e della storia, la capitale da cui passarono re, imperatori e papi. Di fronte a Roma tutto il mondo dovrebbe chinare il capo. Oggi, invece, già solo chi pensa a Roma si copre gli occhi e si tappa il naso…

Forse avremmo bisogno di meno inerzia da parte dell’amministrazione capitolina. Forse a comandare davvero non è il sindaco, ma altri che ne sanno molto di più e che sanno fare bene i propri interessi… Interessi che possono anche non coincidere con quelli generali. Sulle più svariate questioni, Roma è completamente immobile. Come intrappolata in un pantano. Ma l’inerzia non c’è da adesso, dura già da parecchi anni.

Forse qualcuno ha interesse a che in questa città continui a imperversare l’inerzia sovrana. Forse i “palazzinari” scorgono nella capitale una mucca da mungere, proprio come gli indagati di “mafia capitale”. Forse nessun sindaco sarà mai in grado di modificare alcunché, se non si circonderà di “uomini con le palle” e non caccerà quelli che hanno abitato il Palazzo per decenni e decenni… Roma soffoca e qualcuno ci mangia sopra… A pensarci è una cosa che farebbe indignare anche i più imperturbabili. E più andremo avanti a tollerare l’inerzia, peggio sarà per tutti.

Se dai vertici non c’è verso di modificare le cose, chissà se dal basso è rimasta qualche possibilità di scuotere le fondamenta… Se nessuno dall’alto ha le palle per decapitare tutti i mangiapane foraggiati dall’inerzia della classe dirigente capitolina, magari una qualche risposta potrebbe venire proprio dal popolo. Forse in casi così esasperanti di inerzia, c’è bisogno come mai prima di disobbedienza civile e azioni di classe da parte dei cittadini. Se i servizi di raccolta dell’immondizia non funzionano, ad esempio, la minaccia di non pagare in massa le tasse sui rifiuti potrebbe forse smuovere qualcosa. Colpiti dove meglio sentono, cioè nel portafoglio, alcuni potrebbero uscire allo scoperto e venire a più miti consigli con la cittadinanza. Sperando sempre che non siano protetti da qualcuno ancor più potente che sta ancora più in alto…

Per ovviare alle situazioni di emergenza, chi occupa posizioni di comando potrebbe ricorrere anche a soluzioni alternative. Per la raccolta dei rifiuti o il riempimento delle buche nelle strade, magari, si potrebbero pure coinvolgere persone sottoposte a misure cautelari. Persone che abbiano, ovviamente, dei requisiti ben precisi: pericolosità sociale nulla, fine pena vicino, ecc. In questo modo potrebbero saldare più agevolmente i conti con la giustizia e intanto, magari, sentirsi realizzati per aver fatto qualcosa di buono per la società. Una sorta di “giustizia riparativa”… Così i cittadini hanno i loro servizi garantiti e i detenuti vedono più vicino il giorno della loro libertà. E’ un’idea da buttar via? In realtà non si tratta di idee completamente nuove, c’è chi le ha già pensate e sperimentate. E con discreto successo, a quanto pare.

Eppure siamo convinti che chi sta in alto possa fare qualcosa in più per la “capitale del mondo”. Evocare uno stato di emergenza perpetua non si addice alla culla della civiltà occidentale. Se una qualche rinascita della cultura occidentale è possibile, crediamo sia indispensabile che tale rinascita passi per la città eterna. Ma affinché Roma torni ad essere eterna, c’è bisogno di condottieri con le palle che tolgano lo scettro del potere ai criminali. Condottieri che estirpino il marcio di questa città e tornino a farla splendere. Affinché chi metta piede a Roma ne sia invidioso, invece che indignato. Perché Roma è molto più di una semplice squadra di calcio.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Tasse basse = lotta all’evasione + lotta alla corruzione

Ave Socii

Lo sappiamo fin troppo bene: siamo uno dei Paesi con la più elevata pressione fiscale al mondo. Sappiamo anche che le tasse dovrebbero servire per pagare i servizi offerti dallo Stato. E’ allora ragionevole aspettarsi, in uno Stato dove si tassano anche le ombre, un livello di servizi pubblici almeno decente. Nonostante ciò, molti di questi servizi languono. Ma di essi il cittadino ha pur sempre bisogno. Poi non lamentiamoci se, per ottenerli, qualcuno ricorre anche a pratiche non proprio “cristalline”. E non lamentiamoci se, di conseguenza, gli unici a fare affari nel nostro Paese sono quelli che sguazzano nell’illegalità.

Forse bisognerebbe semplificare il nostro apparato burocratico e fiscale. Complicare le cose non garantisce sempre i migliori risultati contro l’illegalità e la corruzione. Ridurre le tasse potrebbe portare un po’ di respiro al sistema. Ed applicare un’unica aliquota, forse, semplificherebbe non poco la vita a famiglie e imprese. Secondo noi, tassa piatta e lotta alla corruzione viaggiano sullo stesso binario. Se la criminalità continua ad avvolgerci coi suoi tentacoli, forse il “merito” è pure dell’elevato livello di tasse che bisogna pagare. E che molti magari non pagano neppure, privando lo Stato di importanti risorse. Bisognerebbe attuare un vero e proprio “shock fiscale”, come ha fatto Trump negli Stati Uniti. Nello stesso tempo, ridurre il numero di aliquote porterebbe ad una semplificazione dell’intero sistema. Semplificazione massima, nel caso l’aliquota fosse unica.

Secondo alcuni, il modello della “flat tax” contrasterebbe con la Costituzione in quanto non informato a “criteri di proporzionalità”. Noi, tuttavia, non vediamo tutta questa incompatibilità con i dettami della Carta. Prevedere una “no tax area” (in pratica, aliquota 0%) per i redditi più bassi e uno scaglione unico (20% ad esempio) per tutti gli altri, non è forse un caso particolare di tassazione informata a criteri di proporzionalità? Se così non va bene, si potrebbe perlomeno ridurre il numero di scaglioni di reddito. E, contemporaneamente, mantenere una “no tax area” comunque meno ampia rispetto agli altri scaglioni. In questo modo si disincentiverebbero persone e imprese a dichiarare redditi minori, o addirittura inferiori al minimo tassabile.

La lotta all’evasione, fra l’altro, oltre che incentivando famiglie e imprese a pagare, si attua anche disincentivandole a non pagare. Ad esempio, tramite un inasprimento delle pene per evasori ed elusori. Così ognuno, facendosi due conti, in generale sarebbe portato a pagare il dovuto senza nascondere nulla al fisco. Gran parte del nero e del sommerso emergerebbe, colpendo più o meno indirettamente anche chi si arricchisce con gli affari illeciti. Forse colpirebbe perfino la criminalità organizzata. E lo Stato diventerebbe più forte, avendo più risorse a disposizione per implementare maggiori servizi ai cittadini e di miglior qualità. Guardate gli Stati Uniti di Trump… Ci hanno forse rimesso qualcosa dalla riduzione fiscale? L’economia americana non è mai andata così bene negli ultimi 50 anni… Questi sono i fatti. Il resto è chiacchiera.

Diminuendo le tasse e consentendo a tutti di pagare in base alla propria capacità contributiva, forse si ridurrebbero anche i casi di corruzione. In quanto sarebbe più facile ottenere legalmente quello che oggi alcuni cercano di ottenere illegalmente, sotto banco, corrompendo. Mantenendo tasse elevate, infatti, lo Stato riceve meno risorse di quelle che pensa di ricevere. E offre meno servizi di quelli che pensa di offrire. E dove non arriva lo Stato, arriva l’illegalità. L’illegalità conquista aree sempre più vaste, poiché lo Stato riesce a tutelarle sempre meno. E la criminalità organizzata continua ad arricchirsi, a fronte di uno Stato sempre più povero e debole. Per questo diminuire le tasse e semplificare il sistema della tassazione sarebbe un bene. E sarebbe un bene per tutti.

La riforma fiscale proposta dalla Lega (o meglio, da tutto il centrodestra) dovrebbe essere presa in considerazione da ciascun esponente dell’arco parlamentare. Significherebbe non solo dare respiro alla nostra economia, ma anche mandare un segnale forte contro la criminalità organizzata. Lo Stato dovrebbe essere l’unico a realizzare servizi pubblici. Ricorrere a pratiche illegali, o persino criminali, non dovrebbe essere la norma. Chi ricorre a tali pratiche dovrebbe essere punito con la massima severità. Ma ciò può esser fatto solo da uno Stato forte, cioè in grado di incentivare al massimo i suoi cittadini alla legalità. E la legalità si raggiunge anche attraverso un’ottimizzazione del sistema fiscale. Non in modo meramente moralistico, ma con provvedimenti reali e concreti. Non incrementando le tasse fingendo di sperare che tutti le paghino, piuttosto incentivando tutti a pagare anche riducendo le tasse. Perché i servizi e i diritti valgono per tutti i cittadini. E costano.

Da molte parti, proprio nei confronti della Lega, piovono critiche per presunti contatti con alcuni esponenti legati alla criminalità. In realtà più dal Pd che dai Cinque Stelle, ultimamente: forse i pentastellati, soprattutto dopo le ultime elezioni, hanno capito che maneggiare la spada dell’onestà non è poi così agevole. Specie se prima appoggi la candidatura al Ministero dell’Economia di un soggetto che ha patteggiato una condanna per bancarotta… E dopo, in campagna elettorale, fai lo scandalizzato perché proprio su di lui sono uscite delle intercettazioni “compromettenti”. Specie se poi nelle tue stesse fila risultano persone indagate per reati vari. Ovviamente anche il Pd dovrebbe pensare ai suoi indagati. A quelli legati alle vicende della Sanità in Umbria, per esempio… A quelli coinvolti nel “caso magistratura”… Certi ancora insistono a ricordare i 50 milioni di fondi non rimborsati dalla Lega… Però dei vecchi 150 milioni del Pd non parla più nessuno!

Strano che, soprattutto da sinistra, la “flat tax” sia osteggiata perché “fa pagare meno ai ricchi e più ai poveri”… Quando ultimamente, in Italia, proprio i governi di sinistra hanno favorito i ceti medio-alti più di quanto abbiano favorito quelli bassi. Ridurre le tasse, in questo momento, vorrebbe dire promuovere anche un minimo di giustizia sociale. Soprattutto a favore dei più bisognosi. Il marcio sta dappertutto, non esiste un partito dell’onestà e mai esisterà. Le politiche a favore dei poveri invece… quelle sì che ci aspetteremmo di trovarle da una certa parte! Storicamente la sinistra nasce come espressione dei bisogni delle classi meno agiate. Da tempo, tuttavia, pare che abbia preso l’abitudine di strizzare l’occhio al grande capitale. Poi non stupiamoci se oggi i grandi centri e i “quartieri bene” votano a sinistra, mentre le periferie votano a destra.

Quando votavano a sinistra, i ceti bassi erano considerati “poveri”. Ora che invece votano a destra, li si considera “primitivi” perché voltano le spalle al “progresso”. Ma i loro voti di certo non puzzano. E per riconquistarli si è disposti perfino a cambiare di nuovo maschera. Dicendo, ad esempio, che la tassa piatta favorirà i più ricchi… Son tutti bravi a pontificare, finché si sta all’opposizione del sistema!

Vostro affezionatissimo PennaNera

 

Prostituzione. Dell’inutilità del moralismo

Ave Socii

Il settore del divertimento è uno di quelli che sta andando per la maggiore, nella parte opulenta del mondo. Anche grazie ai tentativi, sempre più pressanti, di liberalizzazione di interi segmenti di mercato altrimenti in mano alle associazioni criminali. E’ davvero sempre positivo cercare di togliere potere ai criminali, semplicemente liberalizzando attività inizialmente in mano loro? Alcuni suggeriranno di prendere a modello l’Olanda e di osservare i successi ottenuti nel contrasto allo spaccio di droga. Ma non è tutto oro quel che luccica. Probabilmente alcuni olandesi non apprezzano tutta questa “libertà di sballo” portata dal libero consumo delle droghe “leggere”. Probabilmente la questione dello sfruttamento illegale della prostituzione nei quartieri a luci rosse è tutt’altro che risolta. Probabilmente in Olanda hanno liberalizzato troppe cose. Ma in genere questo non viene detto…

I mercati controllati dalla criminalità si possono anche regolamentare, nessuno lo vieta. Purché poi si facciano i dovuti controlli. Come per la regolamentazione della prostituzione. Se nessuno controlla, l’intento di evitare lo sfruttamento illecito della prostituzione non si realizza e i criminali continuano a regnare tanto quanto regnavano prima. Tuttavia i controlli costano. E’ dunque necessario, per ottimizzare le risorse, scegliere con attenzione cosa liberalizzare e cosa no. Non si può avere tutto, quando le risorse scarseggiano. Neanche quando in gioco c’è la sacrosanta libertà di divertirsi. Non è moralismo, è realismo. E se proprio vogliamo regolamentare il divertimento, scegliamo tipologie di divertimento meno artificiali possibile. I divertimenti naturali sono i più democratici che esistano: non hai bisogno di nulla, fuorché del tuo corpo.

Perché impedire di usufruire dei divertimenti davvero naturali, quando si fa del tutto pur di far passare quelli artificiali e indotti dalle sostanze? Fra i due, noi preferiamo di sicuro regolamentare il divertimento naturale. Perché tanta attenzione riservata solo alle “droghe leggere”? Quando si potrebbe fare benissimo la stessa cosa con la prostituzione? Anzi, regolamentando la prostituzione forse la salute collettiva e l’ordine pubblico ne gioverebbero pure. Difficilmente, invece, ne gioverebbero legalizzando le droghe. Spesso chi vuole la regolamentazione del mercato dello spaccio, non si mostra altrettanto “liberale” riguardo la prostituzione. Spesso chi da un lato inneggia all’antiproibizionismo, dall’altro veste inspiegabilmente i panni del moralista. Vendere droga è forse meno immorale che vendere il proprio corpo?

Deprecabile, a nostro avviso, dovrebbe essere invece il fatto che ragazzine di 13 anni già indossano abiti succinti e si truccano pesantemente. Perché qui i sostenitori del femminismo e dell’antiproibizionismo non si scandalizzano? Che tipo di modelli imitano, queste ragazzine? Speriamo non le loro madri! Chi è maggiorenne può fare quel che vuole della propria vita, ovviamente nei limiti della liceità. Anche vendere il proprio corpo in piena libertà, a nostro avviso. Se dobbiamo proprio fare lezioncine di morale, sarebbe più opportuno farle ai minorenni quando siamo ancora in tempo per farci ascoltare. Ma i minorenni assorbono più facilmente ciò che vedono e sentono attorno a loro. Ciò che è buono come ciò che è cattivo. E poi, scimmiottando i valori propugnati dai loro modelli adulti, li estremizzano e mettono “alla prova” la coerenza della società, per vedere fin dove la società stessa tollera che ci si spinga.

La società manda messaggi ambigui e contrastanti… Prima esalta l’apparenza, il farsi vedere, il dare un’immagine di sé attraente, il sex appeal… Poi si scandalizza dinanzi alle donne di facili costumi. O dinanzi alle “ragazze oggetto”. O dinanzi alle pubblicità in cui le donne posano in atteggiamenti provocanti. O dinanzi a comportamenti che esaltano il maschilismo o il “machismo”. Nessuno di noi saprebbe prendere una posizione chiara e netta, dinanzi a comportamenti del genere. Forse tali atteggiamenti un po’ ci piacciono anche. Sotto sotto, oppure anche più in superficie, ad ogni uomo piace vedere una donna in forma e provocante. E ad ogni donna piace vedere un uomo possente e sicuro di sé. Influenze della società o caratteristiche naturali? Chi lo sa…

Ogni essere umano, in buona sostanza, sembra provare attrazione per chi “si vende”. Gli uomini, forse, perché alla ricerca di sicurezza. Le donne, forse, perché alla ricerca di attenzioni. Quando ci sono di mezzo i bisogni umani, il moralismo è utile quanto una penna priva di inchiostro. Se una persona fa di tutto pur di attirare l’attenzione, magari arrivando a vendere il proprio corpo, probabilmente questa è la strategia che meglio si adegua alle sue esigenze di attenzione da parte degli altri. Se la correzione di determinate strategie non è arrivata in tenera età, in età matura nessuno più gliele toglierà. Ovviamente c’è pure chi si vende per necessità e magari non ha di questi problemi di autostima… Riguardo tutte queste persone, comunque, vale la stessa domanda: perché rischiare che del loro corpo benefici la criminalità?

E allora, piuttosto che condannarle ad una vita di inutili pregiudizi, giudizi ipocriti e sensi di colpa, perché non consentire loro di vendere il proprio corpo in piena libertà e consapevolezza? Magari non in mezzo a una strada. Magari con qualche protezione in più. Magari con maggiori tutele anche per i potenziali clienti, oltre che per loro stesse. Magari consentendo loro, tramite un lavoro regolare, anche di raggiungere una sorta di realizzazione personale. Forse non è la priorità, ma lo Stato dovrebbe regolamentare il mondo della prostituzione. Ne beneficerebbe esso stesso. Anche se ciò farebbe arrabbiare non poco le associazioni criminali, che di punto in bianco si vedrebbero togliere il monopolio su un segmento di mercato redditizio. Con le droghe sarebbe diverso, il potere dei narcotrafficanti rimarrebbe sempre ben saldo. Forse è per questo (lo diciamo con un pizzico di malizia) che qualcuno spera così tanto nella liberalizzazione delle droghe.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Morte e vita. Il diritto e la pena

Ave Socii

La vicenda della ragazzina olandese che ha deciso di darsi la morte, perché provata dal male di vivere, ha riacceso il dibattito sull’eutanasia. Chi si professa “progressista” crede che il progresso passi anche per la “buona morte”. Certo, consentirla a delle ragazzine minorenni forse non è il massimo. Anche l’Olanda, in realtà, ha norme piuttosto stringenti su questo tema.

Decidere di morire, perché si è stanchi di vivere… Se la “buona morte” ha un qualche senso, crediamo debba limitarsi ai soli casi di malattie terminali e malattie per le quali non esiste alternativa diversa dall’accanimento terapeutico. Di certo non dovrebbe servire per curare casi di depressione. Così l’aborto, se ha un qualche senso, dovrebbe limitarsi ai soli casi di rapporti sessuali non consenzienti. E ai casi di malattie gravi dell’embrione. E dovrebbe essere praticato, comunque, entro tempi non troppo lunghi dalla fecondazione.

Forse stiamo perdendo il “senso della vita”, presi come siamo dal “senso della morte”. Preferiamo tutelare chi sceglie di morire, invece di supportare chi vorrebbe scegliere di vivere. I fascio-buonisti, dall’alto del loro senso di progresso, premono per una regolamentazione delle “pratiche di morte”. Se per loro il concetto di vita è così relativo, allora per quale motivo non sono altrettanto pressanti in tema di pena di morte per i criminali? Va bene battersi per il diritto a una vita dignitosa. Però, a questo punto, non dimentichiamoci della dignità di vivere. E di chi, forse, per quel che ha combinato non merita una tale dignità.

Speriamo che mai nessuno debba morire per mano d’uomo, ci mancherebbe. Però, se proprio qualcuno deve perdere la vita in questo modo, preferiamo siano i colpevoli e non gli innocenti. Pensate che strani che siamo! I “politicamente corretti” cosa dicono, invece? Pena di morte per i criminali no, aborto e eutanasia sì… Saremo noi fuori dal mondo, ma questo ci pare un po’ un controsenso. Perché se un privato sceglie di morire va tutto bene… e se invece è lo Stato a decidere che uno deve morire, perché ha violato determinate leggi, ripiombiamo nel buio Medioevo?

E così, in nome del progresso, dobbiamo liberalizzare anche la morte… Così comanda la “retta dottrina” dei fascio-buonisti. Noi abbiamo un’idea di progresso diversa. Per noi una società è progredita se ognuno dei suoi membri si assume le responsabilità di ciò che fa. Chi nega il diritto alla vita di una persona, dovrebbe sapere che di quel medesimo diritto può anche essere privato. Non da un altro individuo, sia chiaro, ma dallo Stato. Anche gli aborti e i suicidi assistiti sono negazioni della vita. Per “giusti motivi”, ci mancherebbe… ma anche lo Stato può avere “giusti motivi” per privare qualcuno della vita, non solo i singoli. L’intervento dello Stato, anzi, potrebbe pure distogliere gli individui dal desiderio di farsi giustizia da sé, prevenendo il sorgere di eventuali faide e contribuendo ad abbassare il livello di tensione sociale. Lo Stato dovrebbe essere l’unico legittimato a compiere simili atti “di giustizia straordinaria”.

Noi vorremmo uno Stato in cui le pene siano certe e servano alla “rieducazione del condannato”, come raccomanda anche la Costituzione. Rieducazione finalizzata al reinserimento del reo nel tessuto sociale. In questo senso, l’ergastolo è forse la pena più inutile che esista… Fine pena mai, nessuna possibilità di ritorno alla vita sociale, quindi nessuna finalità rieducativa… Un posto in galera occupato a vita da un tizio che, nella maggioranza dei casi, trascorre i suoi giorni a meditare una strategia di fuga oppure il suicidio (che poi non è altro che una particolare strategia di fuga)… Ergastolo spesso commutato in altra misura perché magari il condannato ha dato di matto, oppure per “buona condotta”… Alla faccia della certezza della pena… E il tutto a spese dello Stato.

La Costituzione stessa, nella sua prima formulazione, prevedeva la pena di morte in casi eccezionali. Un tempo perfino la Chiesa condannava a morte i suoi colpevoli. Formalmente, lo Stato Pontificio ha abolito la pena di morte solo nel 2001. In realtà, tuttavia, le ultime condanne risalgono a circa due secoli fa. Ora la Chiesa, coerentemente, condanna espressamente qualsiasi forma di “negazione della vita”, che sia aborto o pena di morte o eutanasia. D’altro canto, uno Stato che ha tempo di interrogarsi sull’introduzione della “buona morte”, secondo noi, dovrebbe interrogarsi anche sull’introduzione della “pena di morte”. Sembrano ora riecheggiare a nostro sfavore le parole dell’illuminista Beccaria: perché lo Stato dovrebbe prevedere la morte come pena, quando la condanna come reato?

Eppure il nostro ordinamento non può non prevedere fattispecie di reati riguardanti, in un modo o nell’altro, il concetto di “morte”. Tutti noi saremmo contenti se non vi fossero omicidi, ma evidentemente la realtà dei fatti è un po’ diversa. Qualcuno potrebbe dunque obiettare a Beccaria: perché la morte può comunque esistere come reato, all’interno di uno Stato che la aborrisce addirittura come pena? Le considerazioni di Beccaria sulla pena di morte, perciò, dovrebbero essere ribaltate: se è sbagliato aborrire la morte solo come reato e prevederla comunque come pena, perché dovrebbe essere giusto aborrirla solo come pena e prevederla comunque come reato?

Siamo dell’idea che uno Stato davvero progredito debba prevedere la pena di morte per reati particolarmente efferati, che violano gravemente specifici diritti di rilevanza costituzionale. Vogliamo incominciare a ristabilire un po’ di certezza della pena? Ebbene, pena più certa di questa non esiste davvero. Chi nega la vita altrui dovrebbe sapere che può incorrere nel medesimo trattamento. Però non vogliamo la legge del taglione. Crediamo sia comunque opportuno dare un “tempo di recupero” al reo, per consentire la sua responsabilizzazione e “rieducazione”. Qualora poi il reo non sfruttasse adeguatamente questa possibilità, lo Stato potrebbe sempre prendere i dovuti provvedimenti. Fossimo noi lo Stato, arrivati a questo punto preferiremmo senza dubbio giustiziare il colpevole piuttosto che rischiare, per causa sua, di piangere altri innocenti.

Probabilmente non tutti condivideranno le nostre posizioni, i temi qui affrontati sono particolarmente delicati. Ma noi siamo per la cultura libera e per la libera espressione del pensiero. Neanche noi condividiamo le posizioni di alcuni, in merito a questi argomenti. Tuttavia le rispettiamo e auspichiamo un confronto costruttivo nel rispetto reciproco. Speriamo che pure il dibattito politico trovi al più presto una sintesi positiva e coerente fra le varie istanze.

Vostro affezionatissimo PennaNera