Inginocchiarsi per un delinquente: la resa della civiltà

Ave Socii

Spesso i gesti simbolici valgono più di mille parole. In questi giorni, tutto il mondo è attraversato da proteste e manifestazioni contro il razzismo. E, soprattutto, il mondo sembra unirsi in un unico gesto: quello di inginocchiarsi nel ricordo di un uomo inerme, ucciso per mano di un poliziotto. Che l’evento sia accaduto negli Stati Uniti, patria dei diritti e delle libertà, fa certamente riflettere. Che quell’uomo sia un nero rende ancora più simbolico il gesto di inginocchiarsi (non certo per la stupidità dei “razzisti”, semmai per la propaganda degli “antirazzisti”). Ma che quell’uomo abbia molteplici precedenti penali, se permettete, fa riflettere ancor di più.

Un tempo ci si inginocchiava dinanzi a Dio, a un sovrano, a un signore… Ben poche erano le categorie di soggetti dinanzi ai quali era chiesto di inginocchiarsi. E, soprattutto, erano categorie di soggetti rappresentanti un qualche potere, terreno o ultraterreno che fosse. Poteri espressione di un ordine sociale verso cui i popoli erano chiamati a rispodere, dunque a tendere. Beh, oggi ci rendiamo conto (ma forse non è una novità) che valori sociali e poteri tradizionali sono stati sovvertiti. Se un tempo ci si inginocchiava dinanzi alla legge e all’ordine, oggi ci si inginocchia dinanzi all’eversione.

Che il Presidente Trump abbia arginato, nonostante COVID-19, la crescita della disoccupazione negli Stati Uniti passa in secondo piano, dinanzi a maree umane inginocchiate nel ricordo di un pluripregiudicato afroamericano. E poco importa se, durante queste manifestazioni, si verificano assembramenti, scontri e tafferugli: sono manifestazioni “per i diritti”, quindi provengono dai “buoni” della società. Poco importa se il mondo è dilaniato dal coronavirus e dalla crisi economica: l’importante è inginocchiarsi per un delinquente. Poco importa se in Italia la crisi morde più che in altri Paesi: l’importante è inginocchiarsi per un delinquente.

Soprattutto nelle società progredite, è diffusa l’idea che ogni persona abbia diritto a sempre nuove possibilità. Stranamente, l’idea che arrivati a un certo punto dare nuove possibilità sia inutile sembra stridere col concetto di “libertà” che tanto ci piace sbandierare. E allora, nell’immaginazione, diventa tutto possibile. Come in un romanzo moralista, il nemico deve diventare per forza amico. Non esistono più differenze e culture diverse, tutti si amano senza alcun pregiudizio. Buono e cattivo si confondono, con buona pace della giustizia, delle fondamenta del diritto e della stessa civiltà.

Mai come oggi il buonismo è l’oppio dei popoli. Ma dopo lo sballo, bisogna fare i conti con la realtà. Se gli immigrati commettono, in proporzione, più reati dei cittadini autoctoni, forse un problema di culture e di radici esiste. Forse chi è forzosamente trapiantato in altre culture ha maggiori probabilità di “reagire male”, dinanzi alla cultura che dovrebbe accoglierlo. Pur di non farci un bel bagno di realtà e ammettere che la totale integrazione è solo un bel sogno, preferiamo farci di buonismo e sognare un mondo senza differenze e divisioni. Oggi l’oppio che offusca il mondo si chiama “mettersi in ginocchio”. Attendiamo solo che il suo effetto finisca…

Vostro affezionatissimo PennaNera

Terrorismo islamico e riscatti: l’Italia è sotto ricatto

Ave Socii

Perché in Italia non sono avvenuti (almeno finora) gli attentati terroristici verificatisi, invece, in altri Paesi a noi molto vicini? Un semplice favore del caso? O c’è dell’altro? Forse il nostro Paese fa comodo al terrorismo islamico in altro modo. Non come palcoscenico di attentati, ma di valori contrari alla democrazia, alla libertà e alla pace. Ne abbiamo avuto la prova in questi ultimi giorni, durante il rientro in Italia della giovane cooperante rapita in Kenya un anno e mezzo fa. Più o meno consciamente, con quella “passerella” abbiamo pubblicizzato una delle fazioni più feroci del terrorismo islamico.

Ovviamente è un bene che una ragazza poco più che ventenne sia tornata a casa. Quel che fa riflettere è la modalità con cui è stata riportata a casa. Si parla di un riscatto milionario. Il nostro Paese, giustamente, pone la vita al vertice della piramide dei diritti, così come tutti i Paesi occidentali. Chi di noi non sarebbe disposto a pagare qualsiasi cifra, pur di riavere indietro una vita umana? I terroristi questo lo sanno e, consci di impugnare il coltello dalla parte del manico, fanno leva sul nostro senso di impotenza per avere ciò che loro interessa.

L’Italia è solita risolvere rapimenti e simili eventi attraverso la pratica del riscatto. Se ciò, da una parte, è una forte garanzia di tutela della vita umana, dall’altra è pure un segnale di debolezza che inviamo all’estero. Segnale che il terrorismo islamico ha da tempo captato. C’è un altro modo per tutelare la vita umana, senza per forza cedere ai ricatti di soggetti senza scrupoli, la cui cultura spesso offende il diritto alla vita e la libertà delle persone? Sì, forse sì: chiedendo a chi invia persone in luoghi pericolosi, di assumersi le responsabilità delle sue scelte. D’altronde, se la nostra cultura difende la vita, difenderla dovrebbe essere compito di tutti. Non solo degli Stati, ma anche di una qualsiasi associazione umanitaria.

Quanto successo dimostra, invece, la totale subalternità della cultura occidentale (dell’Italia, perlomeno) alla cultura islamista più radicale. Con i soldi di quel riscatto, probabilmente il terrorismo finanzierà nuovi attacchi o attentati le cui vittime, un giorno, saremo costretti a piangere. Coi criminali non si tratta, soprattutto se a trattare deve essere uno Stato. Al massimo, se è proprio necessario trattare, la trattativa dovrebbe esser sostenuta da soggetti privati, come associazioni e simili. Nessuno può chiedere a degli inermi di “fare gli eroi”, se non ha i mezzi necessari per equipaggiarli in sicurezza. Specie in luoghi ostili alla cultura occidentale, impregnati dell’Islam più radicale.

Non raramente certe associazioni, ammantate di bei valori come il dialogo o l’integrazione, attirano giovani pieni di speranze ambizioni e ideali. Ebbene, se simili enti sono soliti predicare il dialogo e l’integrazione dei popoli, a maggior ragione dovrebbero farlo quando di mezzo ci sono diritti come la vita o la libertà. Motivo in più per renderle responsabili, appunto, della vita e della libertà dei loro “inviati”. Se i terroristi islamici vanno trattati “senza pregiudizi”, vadano loro a negoziare “senza pregiudizi” coi terroristi islamici. E senza scomodare gli Stati. Se poi non ne sono capaci, smettano di mentire a migliaia di giovani e ammettano una volta per tutte che l’integrazione con certe culture è impossibile.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Uomo al centro del mondo: un progetto destinato a fallire

Ave Socii

L’umanesimo inteso come esaltazione delle capacità dell’uomo… Come metodo di governo del mondo… Talvolta come vera e propria filosofia di vita… Mettere l’uomo al centro di tutto… L’uomo come origine e fine di ogni azione… Un sistema del genere vige nei momenti “di euforia” della Storia dell’umanità. Vige ai tempi di Hammurabi, parlando dell’Antica Babilonia. Vige ai tempi di Cheope, parlando dell’Antico Egitto. Vige ai tempi di Aristotele, parlando dell’Antica Grecia. Vige ai tempi di Augusto, parlando dell’Antica Roma. Vige ai tempi di Leonardo, parlando del Rinascimento. Vige ai tempi di Voltaire, parlando dell’Illuminismo. Probabilmente vigeva fino a qualche settimana fa, parlando del mondo aperto e globalizzato.

La Storia dell’uomo oscilla alla stregua di un pendolo. Da epoche di euforia si passa ad epoche di riflessione e, talvolta, di vera e propria depressione o sfiducia nelle capacità umane. E viceversa. Il momento che stiamo attraversando potrebbe costituire uno di questi momenti di passaggio. Se l’uomo, con le capacità di cui è dotato, non riuscirà a fronteggiare con successo gli effetti del coronavirus, si incamminerà verso un sentiero di sfiducia verso se stesso e la propria identità. Questo è, pertanto, uno di quei momenti in cui l’uomo può fare la Storia. La propria Storia.

L’umanesimo, nelle fasi “euforiche” della Storia, tende a diffondersi e dilagare in tutti gli ambiti. Scienza, economia, medicina, persino religione… Grazie alla visione “umanistica”, tutto magicamente diviene “a misura d’uomo”. Tutto è a servizio dell’umanità, perfino Dio. E talvolta ci convinciamo che tutto sia, in un modo o nell’altro, dovuto e lecito. Ma le conquiste umane, nella Storia, hanno spesso significato sacrifici e perdite. Non c’è nulla di così scontato. Nulla di così certo. Nulla di così sicuro e incrollabile. La “fede nell’umanità” non può durare per sempre. E forse in questi giorni difficili lo stiamo comprendendo meglio. E’ bastata qualche settimana e un essere invisibile, tale COVID-19, per mettere in discussione valori di cui nessuno avrebbe mai osato dubitare.

Globalizzazione, valori universali, caduta dei muri, abbandono dei pregiudizi, integrazione… Chiunque, solo qualche settimana fa, si fosse proclamato contrario a queste idee sarebbe rimasto relegato ai margini della Storia. Oggi la situazione è un po’ diversa. Solo qualche settimana fa i giovani riempivano le piazze per sposare la causa ambientalista… Altro frutto, neanche a dirlo, di un’umanità “in preda all’euforia”. Perché non c’è altra definizione per un’umanità che ha modo e tempo di pensare ai “diritti dell’ambiente”. Un’umanità abituata alla liberalizzazione di qualsiasi cosa… Al fatto che qualsiasi cosa sia possibile… Al fatto che non esistano limiti… Poi è arrivato il virus. E l’umanità ha dovuto risvegliarsi dal suo dolce torpore, correndo il serio rischio di piombare in una voragine di depressione collettiva.

Potrebbe anche darsi che, dopo la scoperta di un vaccino, tutto quanto ritornerà come prima. Certo, pure se ne uscirà vincitrice l’umanità non potrà dimenticare facilmente questa esperienza. L’autoconvinzione del proprio senso di onnipotenza ha reso l’umanità cieca dinanzi alla portata dell’ignoto. La fede illimitata nell’uomo ci ha fatto sottovalutare l’eventualità di pericoli inattesi. Forse questo potrà essere il tempo giusto per ritornare ad una fede autentica. Una fede basata non sulle capacità umane, fragili e limitate come abbiamo visto, ma su una riscoperta sincera del Mistero e del Regno di Dio. Magari attraverso una più approfondita lettura del Vangelo, libro che forse varrebbe la pena rivalutare e meditare. Perché se l’uomo può forse governare ciò che gli è noto, ciò che gli è ignoto può affrontarlo solo con l’aiuto di Dio.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Svuotacarceri durante una pandemia: sciacallaggio puro

Ave Socii

E’ un momento difficile per tutti noi italiani. Un momento nel quale tutti noi siamo costretti a restare il più possibile chiusi in casa, per evitare il diffondersi del coronavirus. Eppure, anche in momenti del genere, c’è chi non perde occasione per finire sotto i riflettori e accendere polemiche.

Ne è prova uno dei provvedimenti contenuti nel decreto cosiddetto “Cura Italia”: lo svuotacarceri. In pratica, far uscire di prigione i detenuti giunti quasi a fine pena. Far loro scontare la pena residua presso il proprio domicilio, onde evitare il sovraffollamento carcerario e, dunque, la possibilità di creare assembramenti.

Adottare un simile provvedimento è, secondo noi, riprovevole. Essenzialmente per due motivi. Primo. Con lo svuotacarceri viene meno il concetto di “certezza della pena” troppe volte evocato e, purtroppo, quasi sempre calpestato. Secondo. Mentre gli italiani onesti sono costretti a chiudersi, lo Stato apre ai carcerati. Il controsenso è più che evidente.

Per noi, invece, rimanere in carcere è forse una mossa vincente contro possibili contagi dall’esterno. Che una cella sia affollata è anche possibile. Ma una situazione simile, ad esempio, può verificarsi pure per un grande nucleo familiare costretto in una casa da quaranta metri quadrati. Per una simile famiglia non c’è possibilità di rimediare al sovraffollamento domestico. Perlomeno non tramite un improbabile “provvedimento svuotadomicili”. Non è questione di avere pregiudizi nei confronti di chi ha sbagliato. E’ una questione di mera praticità.

C’è un solo modo per evitare che le carceri, pure sovraffollate, non subiscano gli effetti del contagio del virus. Il modo è: evitare flussi di persone dall’esterno, ad eccezione ovviamente di quelli obbligati all’ingresso. Ciò significa, sostanzialmente, evitare le visite dei parenti dei carcerati. E forse è questo che ad alcuni carcerati non è andato giù, qualche giorno fa, quando in molte carceri d’Italia si sono verificati disordini ed evasioni.

Secondo noi, quei tafferugli si sarebbero potuti evitare prospettando sin dall’inizio la possibilità, per i carcerati, di usufruire di maggiori telefonate ai parenti. Questa sarebbe stata la cosa più giusta da fare. I carcerati sicuramente lo avrebbero capito, esattamente come tutti noi che stiamo fuori dal carcere. Perché un’emergenza del genere non può non unire tutti quanti, anche se distanti.

Certo, le teste calde si trovano ovunque. In carcere ma anche fuori. E il sospetto è che sia stato proprio qualcuno da fuori a fomentare le proteste di qualche giorno fa. Alcuni centri sociali, ad esempio. Coloro, in pratica, che da sempre portano avanti battaglie relative ad argomenti come amnistie o indulti.

In tempi del genere, proporre simili battaglie non può che essere considerato un atto di sciacallaggio. Quella dello svuotacarceri non è che una battaglia politica che i centri sociali portano avanti in maniera viscida. Affermano, a loro giustificazione, che la società ha pregiudizi verso i carcerati. In realtà, forse, sono invece certi soggetti ad aver pregiudizi ben più forti nei confronti delle Forze dell’Ordine e del resto della società. E vedere un governo che viene incontro a simili richieste, è un’immagine pericolosa per chi ancora crede nei valori della democrazia, dell’uguaglianza e della giustizia.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Razzismo, stereotipi e Commissioni per valutare i pregiudizi

Ave Socii

Chiunque dovrebbe essere contrario al razzismo e alla discriminazione razziale. Nessuno oserebbe dire il contrario. Ma l’istituzione di una Commissione parlamentare apposita, chiamata a pronunciarsi anche su altri “argomenti affini”, rischia di condurre a giudizi ambigui e di parte. E dal condannare l’odio, l’antisemitismo e il razzismo, spesso si finisce per condannare pure il patriottismo e il nazionalismo. E si finisce per identificare i nazionalisti con i razzisti… Forzatura non da poco, che inevitabilmente influenza qualunque giudizio supposto “imparziale”. E intacca la serietà di qualunque Commissione che abbia la pretesa di dirsi “al di sopra delle parti”.

Va notato che, nella pronuncia dei giudizi, si fa spesso distinzione tra “fascisti cattivi” e “compagni che sbagliano”. E non solo in politica. C’è chi elogia chi sta dalla parte dei “diritti dei gay”, poi alla prima occasione utile dà a qualcun altro del “frocio” per i più disparati motivi. C’è chi dice di vedere nelle diversità una ricchezza, ma nel privato non perde occasione per emarginare l’altro percepito come “diverso”. I giudizi dipendono sempre da chi hai di fronte: se è un amico, si interpretano; se è un nemico, si applicano fino all’ultimo. I giudizi, specie se pronunciati verso un “nemico”, sono poi fortemente influenzati da stereotipi e pregiudizi. Pure se chi li pronuncia dice di essere apparentemente “libero da qualsiasi pregiudizio”. E’ bene guardarsi da chi si proclama “libero da pregiudizi”: spesso è il miglior modo per dire che solo i suoi pregiudizi sono quelli giusti.

Una Commissione davvero giusta non dovrebbe rispecchiare le forze parlamentari in proporzione alla composizione delle Aule. Dovrebbe, invece, garantire che ogni istanza, ogni partito, ogni parte della società apporti il medesimo numero di commissari. Solo così, secondo noi, si potrà dar luogo ad un organo intrinsecamente giusto ed equilibrato. Poi c’è l’influenza del contesto nel quale siamo immersi, ma si tratta di una questione a sé… Il problema fondamentale è capire cosa andare a giudicare. E chi lo debba giudicare. Se il “cosa” è variegato e ambiguo e il “chi” è mutevole e parziale, qualsiasi Commissione è ingiusta. Perciò che i partiti di centrodestra abbiano votato contro l’istituzione di questa Commissione è, a nostro avviso, un ottimo segnale. A differenza di quanto sostenuto dal vasto coro dei fascio-buonisti, tanto bravi ad accusare gli altri di populismo ma altrettanto bravi a servirsene quando opportuno.

Oggi viviamo in un contesto in cui la razza è vista come qualità negativa e il razzismo come atteggiamento biasimevole. Non è sempre stato così in passato, lo sappiamo. Ed è meritevole che ognuno di noi si batta perché simili atteggiamenti negativi siano evitati (o almeno limitati) per consentire un dibattito sereno fra le parti. Ma di qui a considerare alcune parti come “negative”, perché espressive di idee giudicate aprioristicamente immeritevoli e biasimevoli, va contro il principio della libertà di espressione. E pregiudica ogni sereno dibattito, perché elimina dalla dialettica attori certamente importanti e che poco o nulla hanno a che vedere col razzismo. Dirsi “sovranisti” potrebbe essere un problema, se una Commissione può censurare chiunque si proclami “difensore della patria”. Per assurdo, una simile Commissione dovrebbe censurare pure il governo… Tutti i suoi membri, infatti, giurano fedeltà alla Repubblica. E pure gli stessi parlamentari, in quanto rappresentanti della Nazione.

Siamo franchi! L’istituzione di questa Commissione sembra, in realtà, l’ennesimo tentativo per tentare di mettere all’angolo certe forze politiche. Quelle forze politiche, guarda caso, che ora godono del maggior consenso nel Paese. Strumentalizzare tematiche importanti e sentite quali l’antisemitismo e il razzismo, magari con lo scopo ultimo di screditare l’avversario politico, è la peggiore e più ipocrita delle strategie. L’ennesimo tentativo di affrontare l’avversario non con argomenti politici, ma attraverso battaglie intrise di moralismo e giustizialismo. Ci auguriamo, pertanto, che questa Commissione giudichi nella maniera più imparziale possibile. E che i suoi giudizi si trasformino il meno possibile in attacchi politici.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Anziani, baluardo a difesa dei valori e delle tradizioni

Ave Socii

Nessuno tocchi i nostri anziani! L’attenzione alla terza età e alle età successive dovrebbe essere questione prioritaria per ogni partito. Specialmente qui in Italia, Paese dove l’età media della popolazione è in continua crescita. C’è chi vede il bicchiere mezzo pieno, c’è chi (purtroppo) lo vede mezzo o tutto vuoto. Qualcuno vorrebbe addirittura toglier loro il diritto di voto. Magari per darlo ai sedicenni, anche figli di immigrati che risiedono in Italia da molto meno tempo. Chi ha contribuito alla ricostruzione del nostro Paese dovrebbe meritare un minimo di rispetto in più. Taluni rigurgiti pseudo-sessantottini lasciano il tempo che trovano. Certo, chi non ha radici non ha una cultura di riferimento a cui appigliarsi. Perciò è più facilmente manipolabile. Magari proprio dai medesimi geni che sostengono l’immigrazione incontrollata, il fantomatico ius culturae e lo stesso voto ai sedicenni.

Gli anziani sono i depositari più autentici delle nostre tradizioni. Gli anziani rappresentano le nostre stesse radici. Per certi versi, sono difensori di valori anche religiosi. Avendo vissuto in periodi storici certamente meno disincantati del nostro, possono tramandare molti insegnamenti alla cosiddetta “generazione 2.0”. Non c’è bisogno di esser bigotti per tramandare dei valori religiosi: anche le tradizioni più pagane e popolari costituiscono valori da preservare. In una parola, gli anziani tramandano la nostra identità come popolo.

La maggior parte delle uscite dello Stato serve per pagare le pensioni ai nostri anziani… E’ forse una colpa? Quante volte gli anziani aiutano i figli, impegnati col lavoro, nella gestione e nella crescita dei nipoti? I soldi che lo Stato spende in pensioni hanno probabilmente un effetto benefico non solo per i nonni, ma anche per i loro discendenti. E’ forse una colpa avere uno Stato che spende tanti soldi in pensioni? Se in ballo c’è la tutela della nostra identità culturale, ben venga qualunque spesa pensionistica!

Gli anziani costituiscono pure un baluardo a difesa della famiglia. A fronte di tutte le liberalizzazioni introdotte dalla modernità, il focolare domestico ha un modello privilegiato: la famiglia tradizionale. Nessuna liberalizzazione delle relazioni potrà mai competere con l’immagine della famiglia tradizionale. Quando altri tipi di nuclei pretendono di sedere sul trono della società, invece di porsi in atteggiamento di rispetto e riverenza, la società incomincia a decadere. Ne sono un drammatico esempio la sempre più pronunciata decrescita demografica, il dilagante relativismo culturale, la crisi dei rapporti sociali, la crisi delle agenzie educative…

Smettiamo di considerare gli anziani come individui non più produttivi, da badare, da buttar via, o perfino da eliminare… C’è un forte pregiudizio nei confronti dei nostri vecchi. Forse bisognerebbe avere più rispetto per coloro che hanno fatto grande e continuano a far grande il nostro Paese. Nel bene e nel male, per carità, ma nessuna generazione è perfetta. Chi manca di radici manca di cultura, senza eccezioni di sorta. Ogni pianta ha le sue radici. Ogni pianta cresce bene nel terreno in cui si è sviluppata. Sradicarla e piantarla altrove, oppure addirittura reciderne le radici, porta spesso ad una sola nefasta conseguenza: la morte.

La morte di ogni cultura… Forse è quel che vogliono i fascio-buonisti, eliminare qualsiasi elemento d’intralcio all’appiattimento culturale dell’umanità… Eliminare ogni residuo di identità dei popoli, per affermare la dittatura dei “valori universali”… Valori imposti, perciò indegni di appartenere alla cultura di qualsiasi popolo. Dinanzi a questi valori privi di qualunque sostanza, noi affermiamo con orgoglio la nostra identità e i nostri valori come popolo. E con orgoglio sempre ci affideremo a chi la nostra identità e i nostri valori li sa difendere davvero: i nostri anziani.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Castità. Elogio di una virtù bistrattata

Ave Socii

Nell’odierna società, sempre più legata all’effimero, c’è forse sempre più bisogno di una visione del mondo che vada al di là delle contingenze. Una visione duratura e forte, che permetta di sopportare le sfide della vita con minor preoccupazione. Una visione di tipo spirituale, simile a quella dei religiosi. Ognuno, in cuor suo, può avere una visione religiosa dell’esistenza. Non è necessario essere preti per decidere di abbracciare dei valori duraturi invece che dei valori effimeri. Chi scopre valori che durano non è impensierito dalla rinuncia dell’effimero. Per costui, la castità non è e non sarà mai una costrizione. La castità è l’umiltà di rinunciare ai rapporti umani, per donarsi completamente al perseguimento di un ideale. Chi segue degli ideali, invece, è spesso considerato uno sfigato, un pazzo, un visionario nella migliore delle ipotesi.

Chi sta nella Chiesa ha un’opportunità che altri non hanno: lottare per degli ideali senza subire il ricatto di rovinare un rapporto umano. Perché il casto rinuncia ai rapporti umani stretti. E’ capace di rinunciare alla madre, al padre, ai fratelli, agli amici, alla moglie, al marito, ai figli… per seguire Gesù e il Suo messaggio evangelico. E chi più di un uomo di Chiesa è disposto a seguire il duraturo e rinunciare all’effimero?

Ma la castità non è affare solo della religione e degli uomini di Chiesa. Ciascuno di noi può essere casto. La castità è un gesto d’amore verso i nostri amici: rinunciare al legame con loro ci rende può forti e meno corruttibili dinanzi ai ricatti altrui. Il Vangelo rappresenta tutti quei messaggi scomodi che stridono con la mentalità del mondo. Chiunque, rinunciando alle comodità terrene, può aspirare a seguire il Vangelo.

Spesso la castità non viene considerata con il rispetto che invece dovrebbe meritare. Il casto è spesso vittima di forti pregiudizi da parte di quelli che fanno dell’umanesimo una sorta di religione. E del rapporto umano una sorta di idolo. E’ evidente nell’ambito del sesso: chi ha tanti rapporti sessuali è considerato persona spigliata e capace, all’interno della società. Ma questa spigliatezza, talvolta, non è che un modo per farsi notare. Un modo per cercare amore. Un modo per dire “io ci sono”. Un modo per cercare l’aiuto dell’altro, a dimostrazione della propria dipendenza dai rapporti umani.

Ma la sfera sessuale è solo la punta… Essere casti significa astenersi da qualsiasi rapporto che rischi di diventare troppo profondo. La società si riempie di pregiudizi nei confronti del singolo, di chi si mostra solo. La forza sta nel gruppo, nel “noi” e non nell'”io”… Ma il singolo può portare messaggi scomodi, anche in mezzo a un branco di lupi. Il membro del gruppo non può, i messaggi che porta non sono i suoi ma quelli del gruppo di appartenenza. Pronunciando parole scomode, i suoi nemici potrebbero rivalersi sul suo gruppo e sulle persone che con lui stringono un legame importante. Il singolo, da solo, è invece libero di pronunciare parole scomode. E di perseguire ideali scomodi senza temere di perdere qualcosa. Senza mettere in pericolo le persone a cui tiene. Lo stesso Gesù Cristo non è forse esempio di una simile castità?

Un singolo disposto a seguire ideali e valori duraturi, in realtà, fa paura. Il mondo controlla a meraviglia l’effimero, perché ha la sua stessa natura temporanea e corruttibile. Ma il duraturo… Quello il mondo fa fatica a domarlo. E pur di sminuirlo gli attribuisce la qualità della pazzia. Che il mondo tema i pazzi, allora! Perché se lottare per un ideale vuol dire esser pazzi, allora i pazzi cambieranno ancora una volta il mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Sesso e amore: un binomio possibile

Ave Socii

Affermare che amore e sesso sono due cose differenti è falso. Forse siamo portati a considerarli separatamente, quasi fossero due aspetti complementari ma comunque opposti di una relazione. Sesso e amore: aspetto carnale e aspetto spirituale della relazione umana. Questo è ciò che sostiene la mentalità comune… Il sesso è una cosa, l’amore un’altra… Il primo è divertimento e spensieratezza, il secondo è responsabilità e talvolta sopportazione… Innamorarsi è soffrire, ma chi ce lo fa fare? Molto meglio divertirsi ed evitare dolori, no? Il sesso senza amore è più a portata di mano, più fruibile, più “democratico”… Se lo confondiamo con l’amore, rischiamo di rimanere sotto a un treno… L’amore può fare molto male, perciò va rispettato e dunque allontanato… Così preferiamo che l’amore rimanga confinato a un’idea eterea, un valore vuoto e privo di materialità… Quasi per paura che la sfera sessuale, sudicia e peccaminosa, contamini questa immagine immacolata.

Ma non basta… Se fai sesso in stato cosciente, magari ti resta in mente un bel ricordo della persona con cui hai condiviso questa esperienza… E se poi la storia finisce, chi toglierà dalla tua mente quel bel ricordo che tanto stona con il dolore della fine di una relazione? E’ bene evitare che una simile “incoerenza di senso” si manifesti… Allora meglio fare sesso mentre non sei te stesso, alterando la tua percezione o il tuo stato di coscienza, magari assumendo alcol o altre sostanze… Bello stratagemma per non ricordare belle immagini di storie finite male. Chi ha fatto sesso ricorrendo sempre ad alcol o droghe, non può tuttavia pretendere di insegnare cos’è il sesso “vero”… Perché non lo conosce, molto semplicemente. Al massimo può insegnare “una parte” del sesso. Probabilmente la sola parte che oggi, purtroppo, viene enfatizzata magari a scapito di tutto il resto.

Ecco forse perché chi si diverte secondo i moderni canoni, più o meno tutti ispirati al modello “festa o incontro basati sul consumo di qualche sostanza”, crede di capire tutto anche sul sesso. Le moderne industrie del divertimento puntano proprio su questo: creare un legame sempre più forte tra consumo di sostanze e innamoramento. Mettendo in secondo piano, oppure emarginando totalmente, chi è a favore di divertimenti diversi e magari pure più “naturali”. E magari, sotto sotto, creando pure dipendenza da piacere compulsivo e da relazioni malate… Tanto è in questo modo che le industrie del divertimento, oggi, possono sperare di ottenere profitti nel lungo termine.

L’approccio alla sessualità propugnato dai canoni odierni ci pare piuttosto “costruito” e “artificiale”. Noi al contrario, forse anche con un pizzico di romanticismo, siamo per un sesso “naturale” e “libero”. Libero, in primo luogo, proprio dalle sostanze. In tal senso anche la regolamentazione della prostituzione può servire, a nostro avviso, alla promozione di un sesso libero da sostanze. Libero e perciò sicuro, sia per i professionisti che per i clienti. Secondo alcuni il progresso coincide con l’abbattimento dei pregiudizi… Effettivamente, i pregiudizi verso il consumo di sostanze sembrano pian piano venir meno… Tuttavia quelli verso chi “vende il proprio corpo” paiono duri a morire, persino in tempi progrediti come il nostro.

Fisici scolpiti dalla palestra, muscoli tonici, forme attraenti, tatuaggi per abbellire il corpo, culto dell’apparenza… Guardiamoci intorno: il mondo è pieno di aspiranti cougar e toy boy più o meno invogliati a costruire sul sesso una vera e propria professione. Regolamentarlo, inoltre, li obbligherebbe a sottoporsi a controlli sanitari periodici, test antialcol e antidroga compresi. La “monetizzazione della sessualità” è affare antico come il mondo… Consentiamo almeno che possa essere conclusa in sicurezza. Evitiamo di ricorrere ai pregiudizi, in questo caso sarebbero del tutto ingiustificati… La maggior parte dei tabù sessuali sono crollati da decenni… Chi oggi vuole arricchirsi nel settore del divertimento deve per forza conoscere i meccanismi della sessualità e del corteggiamento… Non siamo ipocriti e moralisti: il mondo necessita di “professionisti del sesso” regolari e sicuri. Fingendo di ignorare la questione, continueremo ad associare alla prostituzione la strada, la droga, lo sfruttamento, la malattia…

Ovviamente, non per forza “sesso” deve coincidere con “prestazione”. All’altro ci si può concedere anche senza pretendere compensi. Anzi, è proprio questo tipo di relazione a realizzarci pienamente: donare noi stessi per “stare bene e far stare bene”. Al di là dei rapporti con l’eventuale clientela, non dimentichiamoci dei rapporti con la nostra dolce metà! Ad essa dobbiamo concedere il meglio di noi. Una relazione vera, non mascherata da alcunché e tantomeno da sostanze. Una passeggiata, parlare e ridere insieme, disinibiti non per l’effetto di qualcosa ma per il piacere di stare con qualcuno, il brivido prima di un bacio… Chissà che un approccio libero alla sessualità non sia davvero la via maestra per approdare verso l’amore… Se credete che si possa accedere al sesso unicamente attraverso alcol e droga, non sapete cosa vi perdete!

Vostro affezionatissimo PennaNera

Pregiudizio. Alcuni miti da sfatare

Ave Socii

Quante volte avete sentito dire che “per conoscere il diverso non bisogna avere pregiudizi”? Della serie: se hai pregiudizi sarai sempre un ignorante e non conoscerai mai davvero… Perciò apriamo le frontiere, abbattiamo i muri e superiamo i limiti! In realtà, la questione è un po’ più complessa di come viene semplicisticamente insegnata. Siamo esseri umani, pertanto sempre inclini all’errore. Per di più siamo quasi sempre influenzati dalle nostre esperienze passate, nelle scelte attuali e future. Cancellare i pregiudizi non è affar da poco, dunque. Ognuno di noi, chi più chi meno, corre il rischio di essere influenzato da qualche pregiudizio. La differenza, pertanto, non è tra chi ha pregiudizi e chi non li ha. La differenza, semmai, è tra chi ammette di averli e chi vuol far credere di non averli. Chi dice di non avere pregiudizi è un ipocrita. Speriamo perlomeno che non lo sia in mala fede.

Forse parlare di “pregiudizio” non è che l’arma migliore per scatenare sensi di colpa e di inadeguatezza in persone che hanno pensieri scomodi e “politicamente scorretti”, in modo da farle tacere. Un’arma utilizzata per affermare determinate idee e deprecare le idee di chi la pensa diversamente. Il senso di colpa che chi condanna il pregiudizio vorrebbe scatenare, nella nostra società occidentale, scaturisce il più delle volte dalla apparente discordanza fra norma giuridica e morale cristiana. Ma esse hanno campi di applicazione diversi, non dovrebbero essere confuse. Alcuni invece vorrebbero trasformare questo dualismo in un punto debole per la società occidentale. Avranno certamente i loro (loschi) interessi per fare una cosa del genere… Magari favorire determinate culture tradizionalmente ostili a quella occidentale… Culture che magari confondono il culto con la legge e ne fanno, al contrario di noi, un punto di forza… Intenda chi ha orecchie…

Il pregiudizio agisce sempre a doppio senso: c’è chi pre-giudica, ma c’è anche chi si sente pre-giudicato e vorrebbe far sentire agli altri il peso di questo pregiudizio. Per farli sentire in colpa facendosi vedere “vittime”, metterli in difficoltà e cercare di ottenere quanto desiderato. Magari trattamenti “più umani”, invocando un fantomatico “stato di necessità”, pure a costo di violare la legge. Prendete il caso dei rom… Costoro dovrebbero spostarsi periodicamente, in quanto “nomadi”… Tuttavia se hanno la possibilità di avere un alloggio stabile e confortevole, non fanno certo troppi complimenti… Magari occupano abusivamente le case altrui, oppure si allacciano abusivamente ai servizi, o entrambe le cose… Si circondano di donne incinte, così nessuno può cacciarli… Rubano e magari pretendono pure di essere compresi, perché “povere vittime” in “stato di necessità”! Contrastare le leggi con la “presunta umanità”: così fanno le “vittime”, appoggiate spesso da qualche “paladino dei diritti umani”.

Pregiudizio nell’immigrazione. Per fronteggiare il continuo calo di popolarità, ogni tanto i fascio-buonisti ricorrono ad immagini forti e tentano di “scuotere le coscienze”… Adesso tutti si turbano, per quella foto che ritrae padre e figlia morti annegati durante l’attraversamento del fiume… Chissà in quanti saranno morti in quel modo e per quanto tempo, purtroppo, senza che a nessuno sia mai passata per la mente l’idea di parlarne… Perché se ne parla solo in certi momenti? Perché certe immagini vengono esibite solo quando i fascio-buonisti sembrano trovarsi in difficoltà? Ah, questi ipocriti “paladini dell’umanità” a intermittenza! Si attaccano a tutto, pur di screditare l’avversario politico… Anche se i flussi totali sono crollati, dicono che la linea dura non paga perché tanto i migranti arrivano coi “barchini”… Tutti a dire che il problema è l’Italia che non accoglie, invece di dire che il problema vero sta in Africa…

Dovrebbero solo vergognarsi, certi politici millantatori di presunta umanità! Prima consentono che arrivino immigrati a frotte… Poi fanno gli scandalizzati e gridano al pregiudizio e al razzismo, perché il “decreto sicurezza” lascia per strada migliaia di “disperati”. Forse la responsabilità è pure di chi a suo tempo ha ingiustificatamente aperto le porte a tutti questi “disperati”, o no? Le tensioni in Libia ormai fungono quasi da pretesto… Improvvisamente l’Italia sembra essere diventata l’unico porto sicuro del mondo, anche con quel “selvaggio razzista disumano troglodita” di Salvini al Ministero dell’Interno. Trasformare l’Africa in una polveriera forse fa comodo a qualcuno, almeno i migranti saranno sempre giustificati a non mettervi più piede e andare altrove. Sennò non si spiegherebbero il silenzio e l’immobilismo dell’Onu… Con tutti gli “ambasciatori dei diritti umani” che annovera tra le sue fila, qualcuno potrebbe pure preoccuparsi di cosa succede in Libia! O no?

L’ultimo ricorso presentato “dai migranti” della nave olandese è stato respinto dalla Corte Europea… Vuol forse dire che anche i giudici hanno dei pregiudizi verso gli immigrati? L’assistenza va garantita, ma perché la nave deve per forza puntare in Italia, quando batte bandiera olandese e l’equipaggio è tedesco? L’Italia che c’entra? La nave forza più volte il blocco perché “i migranti sono allo stremo”… E c’è pure chi applaude, invece di invocarne l’affondamento. Siamo noi quelli disumani? Chi invece viola deliberatamente le leggi per ottenere un po’ di visibilità, mettendo a rischio la vita di decine di persone, è forse meno disumano? E se la prossima volta schierassimo i cannoni? Non lasciamoci intenerire da chi fa finta di stare dalla parte dei più deboli. L’immigrazione non è un diritto. L’accoglienza si fa in ben altro modo. Non confondiamo i principi evangelici con le prese per il c…

Finché in Italia c’erano altri governi andava tutto bene. Nessuno in Europa si preoccupava della questione migranti, tanto c’era l’Italia che pigliava su tutti… Finché accoglievamo porci e cani potevamo pure sperare in un minimo di flessibilità… Ora invece rischiamo perfino la procedura di infrazione per debito eccessivo. L’ipocrisia dell’Europa è stata svelata, è dunque evidente che questo governo vada di traverso a qualcuno. E non solo in Europa… Nel mondo c’è chi pensa che l’immigrazione sia un diritto… Quando forse non è altro che la risposta (spesso patologica) alle carenze di Paesi che non riescono a dare un futuro ai propri abitanti. Mettiamocelo in testa: il problema dell’immigrazione non sta da noi, sta da loro! Ed è “a casa loro” che va risolto, creando condizioni tali affinché queste persone non siano costrette ad emigrare e ad essere trattate come “disperati”.

Pregiudizio di chi si droga verso l’autorità e il resto della società. Chi si droga lo fa in aperto contrasto con l’autorità e con una società percepita come contraddittoria nei messaggi che manda. La società prima mi dice che sono libero, poi però mi giudica se mi comporto in certi modi… L’autorità non mi ama, è buona solo a bacchettarmi e a mettermi in difficoltà… Perciò l’autorità deve sentirsi in colpa e io, pure a costo di rischiare la vita, voglio farla sentire in colpa… Così ragiona chi si droga o, in generale, assume comportamenti rischiosi. L’autorità trova difficile sanzionare tali comportamenti, se di mezzo c’è una relazione che potrebbe naufragare. Perché una relazione che naufraga genera sensi di colpa. E l’autorità si trova in difficoltà, poiché sente tutto il peso del senso di colpa. Peso mitigato dalla sostanza, invece, per chi si droga o assume comportamenti simili.

Tutto il precedente ragionamento è sostenuto, guarda un po’, da un pregiudizio di fondo: il drogato crede che all’origine della sofferenza sia sempre l’autorità, mai la relazione. E se una relazione va male, la colpa è sempre dell’autorità e mai della “vittima”. E’ l’autorità, con le sue regole, che mette a repentaglio la relazione, non la vittima con i suoi comportamenti rischiosi. Perciò è l’autorità che deve piegarsi, eliminando le regole e liberalizzando questi comportamenti. Ma proviamo a cambiare prospettiva: dal lato dell’autorità, se essa è stata coerente nelle sue scelte e nell’applicazione delle regole, non c’è nulla che le possa essere rimproverato. Se l’autorità, nella relazione, ha dato tutto l’amore di cui era capace, ogni suo senso di colpa è ingiustificato. La sofferenza, in tal caso, non può che provenire dal capriccio di una relazione malata. Questa autorità, pertanto, non trova alcuna difficoltà a troncare una relazione del genere.

Ma quale autorità riesce a mostrarsi davvero credibile e coerente, alla luce di una società contraddittoria come la nostra? Quale genitore oggi avrebbe il coraggio di dire a un figlio drogato “io ho fatto tutto il possibile per te, se il tuo desiderio è morire va’ e ammazzati!”, senza sentirsi più o meno in colpa per questo? Molti in questa società dicono che è bene provare qualsiasi esperienza, ma che in caso di difficoltà bisogna intervenire in ogni modo per evitare il peggio… Messaggio che va a nozze con l’atteggiamento del drogato, il quale per definizione prova esperienze al limite così da scatenare sensi di colpa in chi non si mostra capace di aiutarlo fino in fondo. E molte volte l’autorità, per inseguire i capricci del drogato, tollera certi comportamenti financo a liberalizzarli.

La società deve tornare ad essere coerente, se vuol sperare di generare delle autorità credibili. Solo allora si potrà invertire la rotta, in tema di liberalizzazione e simili, relegando ai margini i comportamenti “da drogato”. Tutto il contrario di ciò che accade ora, poiché oggi al margine forse stanno proprio quelli che non si sono mai fatti una canna. Da diversi studi sta emergendo pure che il consumo di cannabis aumenta spaventosamente, proprio qui in Europa ad esempio… E che questo può comportare un aumento del rischio di dipendenza… Bella scoperta, meglio tardi che mai! Allora speriamo che vengano presi conseguenti provvedimenti nelle opportune sedi. Perché drogarsi non è un diritto.

Altri pregiudizi. Bello vedere che nel calcio c’è posto anche per le donne. E’ certamente un segnale di integrazione e di abbattimento di pregiudizi. Alcuni vorrebbero che uomini e donne fossero equamente retribuiti in ogni lavoro… Un sogno, ma davvero un giorno si realizzerà? Certamente lo speriamo tutti. Però ricordiamoci di questo: se le donne sono pagate meno degli uomini, non è perché la società ha dei pregiudizi verso di loro. Ma per una questione ben più pratica: ad un’azienda, a parità di altre condizioni, le donne costano più degli uomini. E questo per motivi tutt’altro che sociali. Che le donne siano predisposte ad attraversare una gravidanza non lo decide la società, ma la natura. Una donna che va in maternità rappresenta un costo per l’azienda. Non sempre una donna gravida è in grado di lavorare e “produrre” tanto quanto una donna non gravida. E’ la natura, non è pregiudizio…

Anche per questo siamo dell’idea che ognuno di noi, che sia uomo o donna, debba essere libero di svolgere lavori domestici, pure in via esclusiva rispetto ad altri lavori. E che il lavoro casalingo debba essere retribuito come un qualsiasi altro mestiere. Sarebbe un toccasana per tutti i nuclei familiari, soprattutto per i figli. Ma ad alcuni questo ricorda troppo la famiglia “tradizionale”, ovvero il “Medioevo”… Così si costringono le donne a stare a casa… Ecco, anche questo è un pregiudizio secondo noi. Chi ha detto che debba essere per forza la donna a stare a casa e badare ai figli e alle faccende domestiche? Anche un padre può farlo, se la madre lavora al di fuori dell’ambito domestico. Nessuno lo vieta.

Madre, padre e figli: questo secondo noi è il modello di famiglia che dovrebbe prevalere, rispetto a famiglie affidatarie e altri tipi di famiglia. Nella nostra cultura, ogni altro tipo di famiglia non può che prendere a modello la famiglia nucleare suddetta. Siamo noi che abbiamo un pregiudizio verso i “genitori” omosessuali e le famiglie “arcobaleno”, o piuttosto altri che hanno pregiudizi verso la famiglia “tradizionale”? Per poterli affidare, i figli bisogna prima farli. E’ la natura, non è pregiudizio…

Condannare il pregiudizio verso i diritti civili, le minoranze, il “diverso”… spesso non è che una trovata dei fascio-buonisti per disgregare la società democratica e indebolirne l’identità culturale. Come se tutto quel che è stato conquistato in passato sia da dare per scontato, oppure da accantonare per far posto al “nuovo”. Intanto l’identità culturale occidentale traballa pericolosamente: scossa dall’avanzata dei “diritti civili”, all’interno, e dall’avanzata di culture ostili e intolleranti, all’esterno. Accogliere tutti per creare un’accozzaglia sociale indistinta, senza radici certe e dunque più influenzabile e controllabile da certi centri di potere… Forse è questo l’obiettivo che alcuni intendono raggiungere, ben consapevoli che il pregiudizio non smetterà mai di esistere e di influenzarci.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Prostituzione. Dell’inutilità del moralismo

Ave Socii

Il settore del divertimento è uno di quelli che sta andando per la maggiore, nella parte opulenta del mondo. Anche grazie ai tentativi, sempre più pressanti, di liberalizzazione di interi segmenti di mercato altrimenti in mano alle associazioni criminali. E’ davvero sempre positivo cercare di togliere potere ai criminali, semplicemente liberalizzando attività inizialmente in mano loro? Alcuni suggeriranno di prendere a modello l’Olanda e di osservare i successi ottenuti nel contrasto allo spaccio di droga. Ma non è tutto oro quel che luccica. Probabilmente alcuni olandesi non apprezzano tutta questa “libertà di sballo” portata dal libero consumo delle droghe “leggere”. Probabilmente la questione dello sfruttamento illegale della prostituzione nei quartieri a luci rosse è tutt’altro che risolta. Probabilmente in Olanda hanno liberalizzato troppe cose. Ma in genere questo non viene detto…

I mercati controllati dalla criminalità si possono anche regolamentare, nessuno lo vieta. Purché poi si facciano i dovuti controlli. Come per la regolamentazione della prostituzione. Se nessuno controlla, l’intento di evitare lo sfruttamento illecito della prostituzione non si realizza e i criminali continuano a regnare tanto quanto regnavano prima. Tuttavia i controlli costano. E’ dunque necessario, per ottimizzare le risorse, scegliere con attenzione cosa liberalizzare e cosa no. Non si può avere tutto, quando le risorse scarseggiano. Neanche quando in gioco c’è la sacrosanta libertà di divertirsi. Non è moralismo, è realismo. E se proprio vogliamo regolamentare il divertimento, scegliamo tipologie di divertimento meno artificiali possibile. I divertimenti naturali sono i più democratici che esistano: non hai bisogno di nulla, fuorché del tuo corpo.

Perché impedire di usufruire dei divertimenti davvero naturali, quando si fa del tutto pur di far passare quelli artificiali e indotti dalle sostanze? Fra i due, noi preferiamo di sicuro regolamentare il divertimento naturale. Perché tanta attenzione riservata solo alle “droghe leggere”? Quando si potrebbe fare benissimo la stessa cosa con la prostituzione? Anzi, regolamentando la prostituzione forse la salute collettiva e l’ordine pubblico ne gioverebbero pure. Difficilmente, invece, ne gioverebbero legalizzando le droghe. Spesso chi vuole la regolamentazione del mercato dello spaccio, non si mostra altrettanto “liberale” riguardo la prostituzione. Spesso chi da un lato inneggia all’antiproibizionismo, dall’altro veste inspiegabilmente i panni del moralista. Vendere droga è forse meno immorale che vendere il proprio corpo?

Deprecabile, a nostro avviso, dovrebbe essere invece il fatto che ragazzine di 13 anni già indossano abiti succinti e si truccano pesantemente. Perché qui i sostenitori del femminismo e dell’antiproibizionismo non si scandalizzano? Che tipo di modelli imitano, queste ragazzine? Speriamo non le loro madri! Chi è maggiorenne può fare quel che vuole della propria vita, ovviamente nei limiti della liceità. Anche vendere il proprio corpo in piena libertà, a nostro avviso. Se dobbiamo proprio fare lezioncine di morale, sarebbe più opportuno farle ai minorenni quando siamo ancora in tempo per farci ascoltare. Ma i minorenni assorbono più facilmente ciò che vedono e sentono attorno a loro. Ciò che è buono come ciò che è cattivo. E poi, scimmiottando i valori propugnati dai loro modelli adulti, li estremizzano e mettono “alla prova” la coerenza della società, per vedere fin dove la società stessa tollera che ci si spinga.

La società manda messaggi ambigui e contrastanti… Prima esalta l’apparenza, il farsi vedere, il dare un’immagine di sé attraente, il sex appeal… Poi si scandalizza dinanzi alle donne di facili costumi. O dinanzi alle “ragazze oggetto”. O dinanzi alle pubblicità in cui le donne posano in atteggiamenti provocanti. O dinanzi a comportamenti che esaltano il maschilismo o il “machismo”. Nessuno di noi saprebbe prendere una posizione chiara e netta, dinanzi a comportamenti del genere. Forse tali atteggiamenti un po’ ci piacciono anche. Sotto sotto, oppure anche più in superficie, ad ogni uomo piace vedere una donna in forma e provocante. E ad ogni donna piace vedere un uomo possente e sicuro di sé. Influenze della società o caratteristiche naturali? Chi lo sa…

Ogni essere umano, in buona sostanza, sembra provare attrazione per chi “si vende”. Gli uomini, forse, perché alla ricerca di sicurezza. Le donne, forse, perché alla ricerca di attenzioni. Quando ci sono di mezzo i bisogni umani, il moralismo è utile quanto una penna priva di inchiostro. Se una persona fa di tutto pur di attirare l’attenzione, magari arrivando a vendere il proprio corpo, probabilmente questa è la strategia che meglio si adegua alle sue esigenze di attenzione da parte degli altri. Se la correzione di determinate strategie non è arrivata in tenera età, in età matura nessuno più gliele toglierà. Ovviamente c’è pure chi si vende per necessità e magari non ha di questi problemi di autostima… Riguardo tutte queste persone, comunque, vale la stessa domanda: perché rischiare che del loro corpo benefici la criminalità?

E allora, piuttosto che condannarle ad una vita di inutili pregiudizi, giudizi ipocriti e sensi di colpa, perché non consentire loro di vendere il proprio corpo in piena libertà e consapevolezza? Magari non in mezzo a una strada. Magari con qualche protezione in più. Magari con maggiori tutele anche per i potenziali clienti, oltre che per loro stesse. Magari consentendo loro, tramite un lavoro regolare, anche di raggiungere una sorta di realizzazione personale. Forse non è la priorità, ma lo Stato dovrebbe regolamentare il mondo della prostituzione. Ne beneficerebbe esso stesso. Anche se ciò farebbe arrabbiare non poco le associazioni criminali, che di punto in bianco si vedrebbero togliere il monopolio su un segmento di mercato redditizio. Con le droghe sarebbe diverso, il potere dei narcotrafficanti rimarrebbe sempre ben saldo. Forse è per questo (lo diciamo con un pizzico di malizia) che qualcuno spera così tanto nella liberalizzazione delle droghe.

Vostro affezionatissimo PennaNera