Maglie

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Prima di iniziare il post rivolgiamo un doveroso ringraziamento al sito www.ilnobilecalcio.it, per averci permesso di pubblicare le fotografie sopra.

Le immagini ritraggono nell’ordine: il Milan 1950/51, l’Inter 1977/78, il Perugia 1976/77, Helmut Haller quando giocava nel Bologna, il “Barone” Franco Causio, Paolo Pulici e Carlo Bresciani della Sampdoria.

Cos’hanno in comune? In tutte (sia quelle riguardanti le squadre, sia quelle riguardanti i singoli calciatori) si vedono maglie bellissime, a nostro avviso (ma crediamo non solo nostro) più belle di quelle di oggi.

Queste maglie sono rimaste nella memoria di tutti noi, appassionati di calcio.  Per realizzarle le società non chiamavano stilisti di grido, piuttosto che multinazionali della moda. Semplicemente sapevano quali erano i colori sociali della squadra e si regolavano di conseguenza, senza snaturare in alcun modo quello che era, per tutti i tifosi, un simbolo: la maglia.

Oggi le maglie cambiano ogni anno per questioni di marketing. Gli sponsor la fanno da padrone e così si è arrivati al punto di vedere persino la Juventus senza le strisce sulla divisa.

Ai tifosi non piacciono le maglie? Chi se ne frega, l’importante è che l’Adidas, la Nike o chiunque sia, sborsi i quattrini, i tifosi tanto alla fine correranno lo stesso a comprare, per se stessi o per i figli, le maglie dei calciatori.

La maglia rispecchia semplicemente il passaggio dal calcio di un tempo a quello di oggi. Un tempo le maglie subivano modifiche negli anni, ma non radicali, proprio come le formazioni delle squadre, la cui ossatura rimaneva la stessa per anni. Si era talmente abituati a ripetere formazioni come: Zoff, Gentile, Cabrini…, piuttosto che Sarti, Burgnich, Facchetti…,  che col tempo diventavano litanie. Oggi non è più così, sia per quanto concerne le formazioni, sia per quanto concerne le maglie.

Il calcio-business, col mercato aperto tutto l’anno, in mano a sponsor e procuratori, ha trasformato quello che per i tifosi era un oggetto quasi sacro in un oggetto profano e pacchiano.

Peccato.