#testdrive Mini sempre mini ed ecco la Cabrio John Cooper Works

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Da 0 a 100 km/h in 6,1” lasciando fare al cambio Sport Steptronic

Ruote da 18 e tetto apribile ma è il look che non la fa passare inosservata

Ti dicono Mini e tu pensi subito alla Minor, alla Morris, alla Cooper. Quanta acqua è passata sotto ai ponti? Pardon… Quanti km sotto le ruote? Sotto le mie, ormai diversi milioni. Ma siccome non sono un ‘divoratore’ di strade, ciò significa che è trascorso del tempo da quando il compagno di studi della ‘città bene’ mi trasportava nei luoghi dell’hinterland, soprattutto collinare, con la Mini di sua madre, per trascorrere serate in buona compagnia alla ricerca dei gusti più genuini del territorio. Salvo poi lasciarmi il volante nel viaggio di ritorno se la compagnia si allargava, o qualora avessimo assaggiato un Tocai in più. Così, la mia fidelizzazione a questa citycar, che non è mai stata semplicemente tale, risale agli anni ’70, quando

il volante ti arrivava tra le mani dal piantone conficcato al centro

del sotto plancia, disassato per poter essere installato sia verso sinistra che verso destra, ed essere rivolto, all’occorrenza, ai mercati dove il senso di marcia dell’auto tiene la destra, come il nostro, o la sinistra, come accade in Gran Bretagna, dove il marchio Mini ha avuto origine. Acquistata dalla BMW qualche decennio fa, Mini ha subito un’evoluzione tale da farla divenire eclettica, pur mantenendo il tratto iconico che sa attrarre grandi e piccini, ragazze gentili o modaiole come i giovani sportivi del volante. Già negli anni ’70, il figlio del concessionario della città era un amico, e ci consentiva di provare le diverse vocazioni della Mini. La Cooper, ancor oggi più sportiva e grintosa, sempre di dimensioni minime ma sufficienti per trasportare, strette, quattro persone, era la più scattante, con un motore che consentiva i sorpassi e una guida veloce anche nel misto come in montagna. All’epoca era già uno strumento per lo sport, e la trazione anteriore permetteva di affrontare in sicurezza anche le strade difficili, innevate o fangose. Achille Minen, nostro maestro del volante, guida dell’automobilismo friulano per decenni, nelle salite, come il fratello Mario, Fabio Del Zotto, mio cugino, nei rallies, e tanti altri avevano individuato nella city car inglese uno strumento micidiale per correre. Che vinse, all’epoca, anche il Rally di Montecarlo nella bufera di neve. Era a trazione anteriore e io, da anteriorista, non potevo che amare questa piccola e veloce vettura vestita da città che

si destreggiava imperiosamente anche sulle speciali dell’Alpi Orientali,

del San Martino di Castrozza e su altri Altari del rallysmo italiano e internazionale. Abbiamo già detto che ha vinto, nella versione evoluta della Countryman John Cooper Works già provata su #charlieinauto, ovviamente nella versione rafforzata, la Parigi Dakar. Quindi, la curiosità che ci ha saputo stimolare Alice, del Parco stampa BMW Italia, nell’assegnarcela, era in crescendo. Anche perché, mentre in un primo tempo mi era stato proposto di testare la Mini elettrica, che ancora non ho provato, all’ultim’ora mi è stato chiesto se poteva essere sostituita da una Mini Cabrio. Vabbè, ho pensato. Qualche testata televisiva nazionale avrà avuto un’urgenza maggiore: non avevo ancora inteso il senso del cambio di vettura per il test drive. Nonostante la stagione invernale, ho comunque accettato subito e con entusiasmo la proposta, perché di provare auto decapottabili, d’inverno, mi era già capitato altre volte. D’altro canto, anche d’estate, se possedete un’auto con il tetto apribile, per quanto tempo la usate ‘a cielo aperto’? Così, ecco il gran giorno ed entriamo, io e il ‘naviga’ green-passati, negli uffici della BMW Italia di San Donato Milanese per le procedure burocratiche. L’incaricato ci prega di attendere all’esterno del grande e luccicante palazzo di cristallo, e poco dopo arriva davanti all’ingresso con la piccola auto rosso fiammante, il tettuccio nero come i passaruota e due fascioni neri con bordo bianco sul cofano. I fari grandi e aggressivi, probabilmente costruiti in Carnia come altre parti destinate alla Casa bavarese e quindi oggi anche a Mini.

Chiedo quanti CV ha e, ma aveva fretta, mi dice ‘170’.

Io, con una rapida equazione sul rapporto peso-potenza, gli rispondo di getto: “Allora tira…”. Ma lui aveva interpretato male la mia domanda, perché noi ragazzi degli anni ‘70 siamo stati abituati a ragionare in CV, ovvero Cavalli. Saliamo: due porte, bagagliaio a bauletto come le prime Mini, sedili avvolgenti, regolabili elettronicamente e tipo racing, volante in pelle con funzioni e comandi analoghi a quelli della Countryman, che però era si di 2000 cc, ma era diesel da 190 CV. Gli strumenti sono uguali, così i comandi, con il cambio automatico a otto marce del tipo Steptronic Turbo, e manuale, comandabile sia con le palette al volante che con il joystick situato sull’alto tunnel centrale a prova di fidanzata. Quindi, riepilogando, si tratta dell’allestimento John Cooper Works, quello sportivo della Mini, il motore

è a benzina di 2000 cc, turbocompresso con il Mini TwinPower Turbo.

Non resta che schiacciare, pardon abbassare la leva dell’accensione al centro del cruscotto e partire. Il rumore ci insospettisce da subito: sarà il nuovo scarico sportivo. Ma?! Tira davvero! Vuoi vedere che… Infatti: l’addetto intendeva 170 KW, ovvero 231 CV, una potenza  che si riflette in una coppia massima di 320 Nm… Ovvero, un bolide per intenditori. Ma siamo ancora alla periferia di Milano. Quindi, il resto lo vedremo meglio la prossima settimana, perché non avevamo ancora attivato la funzione Sport…

#charlieinauto3/262