Forme dell’impermanenza

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Pubblichiamo il primo capitolo del libro di Youssef Ishaghpour “Formes de l’impermanence. Le style de Yasujiro Ozu” che offre un’interessante chiave di lettura attraverso cui poter leggere l’intera opera del regista giapponese. Il libro è uscito alle stampe nel 2002 in Francia. La traduzione dal francese è di Davide Bersan

“Nei suoi film, Ozu fa mettere in posa i personaggi per una fotografia. E’ in generale un istante di felicità: il momento di una riunione familiare. Qualcosa di memorabile in sé, ma anche destinato a sparire, che non durerà, ecco perché lo si fotografa.
Tra la fotografia e il suo “soggetto”, esiste una armonia prestabilita: tracce di una assenza e di una sparizione, e anche immagine della famiglia. Nel mondo, si ha l’uso più comune della fotografia da lungo tempo: l’idillio familiare vi possiede il suo luogo, il suo “mezzo di espressione”, identico alla natura della famiglia, di cui il principale “compito” direbbe Hegel, nel portare il lutto.

La fotografia registra ciò che sembra destinato a dover sparire. Ma in molti film di Ozu, è di questa sparizione stessa che si tratta: la disgregazione della famiglia costituisce il tema principale dei suoi ultimi film.
La felicità, che i fotografi tentano di fissare, appare fugace, a livello dei film. Poiché il tempo differenzia l’immagine cinematografica dalla fotografia. E questo passaggio, come “impermanenza”, diviene presso Ozu il tenore essenziale, “l’idea” stessa dei film.
Tuttavia qui i fotografi sono quelli dell’epoca. Con degli apparecchi su dei piedi, essi scelgono il loro quadro, danno delle indicazioni, correggono gli atteggiamenti. Se la fotografia registra, in generale, i dati dell’esistenza ordinaria, senza cambiarvi niente in maniera intrinseca, i fotografi mettono questa esistenza in scena: essi la apprezzano attraverso il ritaglio, la posa e l’inquadratura. Così, in maniera ironica, e attraverso di essi, i film rivelano la loro propria pratica.

La riproduzione tecnica instaura un rapporto immediatamente mortifero tra l’immagine fotografica e il suo oggetto (ciò che Barthes chiamava la morte piatta, senza rituale). Ma per l’inquadramento dello spazio e del tempo e anche per la “tenuta”, a livello di ogni arredo, ogni oggetto, ogni gesto, ogni immagine, ogni istante il rituale si reintroduce presso Ozu. La sublimazione della relazione mortifera diviene, in quanto forma, costitutiva dei suoi film: la cerimonia del lutto, anche quando si tratta di vita.
Così il mondo dato, positivo, attuale, come si presenta davanti all’apparecchio, costiutisce l’oggetto dei film. La “cronaca di gente ordinaria” e il vissuto di questo mondo: la vita di famiglia, sottomessa, nella sua essenza stessa, al tempo, ne è il tema. L’immagine di riproduzione: apparenza spogliata di sostanza, e l’immagine cinematografica: la pura fugacità, creano il sentimento dell’impermanenza, la loro Idea. La possibilità di inquadrare, di ritagliare nello spazio e nel tempo, di stabilire degli intervalli e dei ritmi, di mettere a distanza, trasformare la vita ordinaria nella sua immagine, attraverso la stilizzazione del mondo e della quotidianità. E diviene, grazie al distacco stesso della forma, la conoscenza stessa dell’impermanenza: il “c’est ainsi” (è così) dell’esistenza tale quale essa è.”

 

Forme dell’impermanenzaultima modifica: 2018-01-06T23:46:01+01:00da david.1960