Il cinema di Y. Ozu e dintorni

L'arpa birmana


[caption id="attachment_735" align="aligncenter" width="200"] Kon Ichikawa, il regista che ha diretto L'arpa birmana[/caption] "La storia dell'arpa birmana è la storia del nostro reparto" recita la voce narrante. Si tratta quindi di un racconto corale che non riguarda solo l'esperienza, seppur eccezionale, di un singolo ma di un gruppo coeso di persone. Infatti l'io giapponese ritrova sè stesso sempre dentro l'appartenenza ad un insieme sociale. Si tratta in questo caso di un reparto di soldati giapponesi che inviati a combattere nella giungla birmana scoprono di aver perso la guerra e si ritrovano prigionieri dell'esercito inglese. La speranza di rivedere la loro terra è debole ma il capitano è molto determinato a ricondurre tutti i suoi soldati in Giappone, costi quel che costi. Il soldato Misushima si distingue oltre che per il coraggio con cui affronta le spedizioni in solitaria anche per la sua abilità nell'arte musicale, è lui che ha imparato a suonare l'arpa birmana. Il capitano che è anch'egli un amante della musica ha insegnato ai suoi soldati a cantare in maniera ordinata. Il canto è diventato per loro il modo migliore per trascorrere il tempo e dimenticare le pene e la fatica. La vicenda di Misushima trova uno spazio particolare all'interno della vita del gruppo. E' inviato dagli inglesi in missione presso un manipolo di soldati giapponesi che si rifiutavano di arrendersi, allo scopo di convincerli alla resa. Asserragliati in un fortino sul Colle del Triangolo opporranno agli sforzi di persuasione di Misushima la loro opposizione cieca e fanatica. E ciò costerà la vita a tutti loro sotto il fuoco delle mitragliatrici inglesi. Solo lui si salva, anche se gravemente ferito. Sarà questo l'inizio di un percorso esistenziale che lo allontanerà dal proprio gruppo di appartenenza. "L'illuminazione" (satori) di Misushima sarà progressiva e passerà attraverso il suo incontro con decine, centinaia di suoi compagni morti in guerra e insepolti, esposti alle intemperie e agli avvoltoi. Come scoprirà più tardi dal bonzo buddista che lo assisterà salvandogli la vita "in Birmania i cadaveri dei nemici uccisi non vengono sepolti". E' uno shock per la sua coscienza e l'impulso interiore di dare a quei corpi una degna sepoltura e un estremo saluto è per lui troppo forte. L'assistere per caso ad un rito funebre cristiano in suffragio di un ignoto soldato giapponese (rivede forse in lui quella che poteva essere stata la sua sorte?) e ai canti ispirati che lo accompagnavano, lo convincerà del tutto a non ritornare dai suoi compagni al campo di Mudon ma di proseguire nel compito che ormai avverte come imprescindibile e da cui non può e non vuole sottrarsi. E' la sua un'esperienza interiore ineffabile e incomunicabile, egli pur volendolo non riesce a far sapere ai suoi compagni che non ritornerà al campo con loro e neppure in Giappone se mai sarà possibile "finché tutti i corpi dei soldati uccisi non avranno una sepoltura" anche "se non basterà tutta la terra rossa della Birmania a ricoprire i corpi". Sarà la ricerca instancabile dei suoi compagni e il suo stesso desiderio di non lasciarli senza una risposta a determinare il percorso dell'ultima parte della narrazione filmica. In tutto ciò ha un posto di primo piano la musica dell'arpa che Misushima porta sempre con sé e il canto accorato e vibrante del gruppo dei soldati ad interrompere un silenzio che è già in sè stesso eloquente. Ogni parola in certe situazioni è di troppo e invece di "dire" rischia di occultare e ricoprire un'implicito che si afferma da solo. Sarà tuttavia la lettera di Misushima letta sulla nave dal capitano durante il tragitto dell'agognato ritorno dei suoi soldati in Giappone a dileguare ogni dubbio sul destino del compagno d'armi che ha scelto di non ritornare nel suo amato Paese "perché una memoria d'amore si occupi di ognuno di quei corpi straziati a abbandonati". L'oblio è come una legge universale e inesorabile che tutto macina e travolge, qualcuno però decide di opporsi alla forza della corrente e di affermare la necessità e il dovere di ricordare, perché una speranza possa rimanere nel mondo. E' una decisione profondamente etica perché riguarda le realtà più sacre e spirituali dell'umano. Ed è certamente religiosa nel caso di Misushima che si pone nell'alveo della tradizione buddista e si connette alle radici etimologiche di questa parola che rimandano ai legami, a quello che lega l'uomo a ciò che egli ritiene sacro o divino. Legame che si estrinseca nell'agire "una memoria d'amore" verso ciascuno di quei soldati morti e i loro corpi in disfacimento "perché una lacrima di carità li salvi dall'oblio" come una pietosa carezza rivolta alle loro anime.