Cap 14 : scrivere a quattro mani . . .

C’è qualcosa di delizioso nello scrivere le prime parole di una storia.
Non sai mai dove ti porteranno.
(Beatrix Potter)

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Sembra ieri, eppure sono passati vent’anni….

Avez-vous choisi monsieur ? ” , mi chiede gentile il commesso, così indico due mousse au chocolant
e chiedo col mio pessimo francese  se possiamo sederci al tavolo che sto indicando  .
Un cameriere sistema con cura piattini e posate mentre noi vaghiamo con lo sguardo dentro questa piccola brasserie , forse nel tentativo di  rimuovere l’impalpabile imbarazzo che ci tiene compagnia
da che ci siamo incontrati all’aeroporto di Orly .

E’ la prima volta che ci troviamo da soli dopo tutti questi anni, complici il mio congresso all École polytechnique e la tua partecipazione alla mostra fotografica all’ Axe majeur , al riparo dalla naturale curiosità e dalla ovvia perplessità delle nostre rispettive famiglie, lontani da quelle convenzioni sociali che giudicherebbero scandaloso il nostro incontro: siamo l’uno accanto all’altra, in un non-luogo fatto esclusivamente di questo momento presente
e di noi  .

Insomma tu vuoi viverla questa storia ?“,
era passato un mese dalla tua mail.
Sei sempre stata più diretta di me nel porre domande
e forse in cuor mio speravo che tu me lo chiedessi.
Si” ti ho scritto ma desideravo gridarlo ,
perchè noi non avevamo cercato
ma ci eravamo ritrovati e adesso non volevamo più perderci
e negare a noi stessi sentimenti così radicati da aver superato il tempo e le distanze,
indifferenti al passare degli anni ed al trascorrere delle nostre vite
ignari del legame che, pur inconsapevoli, ci aveva tenuto uniti,
comunque e nonostante.

“N’est pas à votre goût monsieur ?”
– lo sguardo mortificato del cameriere ci ricorda che il dolce è rimasto integro nel piatto –
“C’est très bien, merci. Nous avons été distraits en admirant votre belle brasserie”
– rispondi subito tu sorridendo – .

Sto per dire qualcosa
ma tu mi anticipi e mi sorprendi,
bon appètit mon amour“.

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Cap 13 : come una bolla di sapone…

Ti guardo da lontano, nascosto, di modo che tu non possa accorgerti della mia presenza.
Alle volte sembri distante e non mi riferisco a parametri geografici e neppure ai tuoi impegni,
ma è solo una sensazione molesta, mi tiene compagnia e poi si accomiata insalutata.

Mi sono chiesto…..
mi sono chiesto cosa possa aver significato per te avermi scritto “ti amo” ,
mi sono chiesto se amavi me o la sensazione di amare
e di sapere di essere amata e non di un “amore universale”,
ma di quel tipo di amore che un uomo prova per una donna, una sola unica donna.

La domanda è leggera e rimane sospesa,
un pò come le bolle di sapone
quando vagano in aria per alcuni secondi
prima di scomparire spinte dal vento.

Io ti guardo da lontano mentre tu scrivi: io so che tu sai ciò che io provo,
ma non sono sicuro riuscire ad offrirti reciprocità,
di sapere cosa provi tu:
il nostro è un amore che manca di tutto ciò che è tangibile nell’amore,
sguardi, mani che si intrecciano, appuntamenti, risate, abbracci, sesso, complicità :
quando tutto questo mi manca , provo a non pensare a te ed a donarmi a ciò che sento dentro,
nudo, senza forma nè pretese
come una bolla di sapone che si libbra per aria
sapendo che a breve si dissolverà.

Allora provo una sensazione di leggerezza e di pace profonda:
forse anche questo è amore   .

 

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Cap 11 : Non ti sembra terribile l’eternità ?

„Poiché non potevo fermarmi per la Morte
lei gentilmente si fermò per me.“
(Emily Dickinson)

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Hanno già portato via il corpo di Matteo
non ho fatto in tempo a salutarlo per questo ultimo suo viaggio:
“non fare in tempo per” qualcosa è sempre stato nelle mie corde.

La stanza di ricovero è in perfetto ordine,
non c’è nulla che richiami alla memoria il suo ultimo ospite,
niente libri impilati sul comodino
né giornali accatastati sulla sedia
né occhiali da lettura dimenticati sul cuscino
o vestiti affidati ad un voluto disordine sul divano.

Hanno già sistemato letto ed arredi
e tutto è pronto a ricevere un’ altra anima dentro un corpo sofferente,
la stanza ordinata e pulita è illuminata dalla luce dell’alba timida
ma sufficiente a sottolineare l’autorità della morte in quello spazio.

Alle mie spalle sento il pianto composto di Cristina,
mi volto ma non riesco ad abbracciarla,
non so consolare e non so più piangere.

Il senso forte della precarietà delle cose terrene
che mi accompagna da una intera vita ,
questa prepotente mia consapevolezza che tutto ciò che abbiamo amato
è destinata comunque a finire, prima o poi,
piuttosto che rendermi indifferente alla morte
oggi appesantisce e curva ulteriormente le mie spalle
mentre rimarca l’evidenza che tutto questo dolore,
tutto la sofferenza che abbiamo conosciuto,
sembrano non avere alcuno scopo
che non sia il piacere di torturarci.

Scendo le scale e passo dal salone,
tu sei al “tuo” posto, sulla “tua” sedia, davanti alla “tua” finestra;
ti guardo da lontano e rifletto su quanto  io sia stato in questi anni stupido
e folle nell’immaginare una storia tra  noi
che avesse vita anche fuori dai miei sogni e dai miei pensieri.

Tu non sei mai stata ciò che io descrivevo nel copione della mia mente,
quello stesso che poi recitavo
e in cui facevo recitare anche te chiamandolo “amore” ;
tu non sei mai stata quella che io raccontavo a me stesso
e non potevi esserlo.

Sei stata quella figura che io desideravo che fossi,
senza mai curarmi di scoprire la tua vera anima,
ascoltare i tuoi bisogni o lasciarmi raccontare i tuoi sogni.

Adesso eri la mia compagna di banco, più tardi la mia complice, poi l’amica del cuore,
ed infine la mia amante
compagna, amica e complice in un amore impossibile,
ma per me assolutamente naturale
e ribelle alle convenzioni sociali ed a quelle religiose,
incurante di matrimonio e figli
come di problemi quotidiani ed attività lavorative che inevitabilmente
imponevano una distanza logica tra noi,
logica per tutti ma non per me,
non per la storia del mio copione.

Cosa ci faccio qui ? Cosa mi aspettavo che accadesse ?
Io non so nulla di te da anni, non so se neppure ti ricordi di me,
non so chi sei su quella sedia né cosa osservi attraverso quella finestra.
Trovarti qui è stato un altro evento amaro della vita,
venire qui oggi un’ altra sofferenza inutile.

Mi avvicino a te, rassegnato alla tua indifferenza.
stanco di provare a scorgere il mondo in cui ti nascondi,
mi appoggio alla parete e poso lo sguardo dove tu sembri posare il tuo
ma vedo solo la strada, le auto ed il bosco sullo sfondo.
mi giro per andare via,
non tornerò mai più qui.

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“Non ti sembra terribile l’eternità ? “

– lo chiedi inaspettatamente
mentre continui a guardare oltre la finestra –

” Io ci penso spesso e mi sembra così buia che quasi desidererei che non ci fosse Eternità.
Credere che dobbiamo vivere per sempre e non cessare mai di esistere.

Sembra come se la Morte,
di cui tutti hanno paura
perché ci lancia in un mondo sconosciuto,
sia un sollievo rispetto a uno stato di esistenza così interminabile.

Non so perché ma mi sembra di non dover mai cessare di vivere sulla terra,
non riesco a immaginare con la mia immaginazione più fervida la scena della mia morte

Mi sembra di non dover mai chiudere gli occhi nella morte.

Non riesco a rendermi conto che la tomba sarà la mia ultima dimora,
che gli amici piangeranno sulla mia bara, che il mio nome sarà menzionato,
come uno di quelli che ha cessato di essere fra i rifugi dei viventi,
e ci si chiederà dove è volato il mio spirito disincarnato.

E’ della Dickinson sai ?“
– ha girato il capo e guarda verso di me –

“Come ?”
– chiedo istintivamente ma instupidito per la sorpesa  –

” E’ di Emily Dickinson , una lettera mandata ad Abiah Root,
la sua migliore amica, forse la sua unica amica”

“erano molto legate spiritualmente, due anime libere,
ma la distanza ed i diversi ruoli sociali furono il costo da sopportare
per vivere quel legame
e segnarono una differente interpretazione del senso del dovere
che però non le separò mai
fino alla morte”

Riprendi ad osservare il bosco lontano oltre il vetro
mentre io rimango basito ed incredulo,
mentre il silenzio ci unisce,
di nuovo insieme.

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Cap 10 : i libri …

“L’oggetto dei tuoi pensieri è con i suoi figli adesso” – Matteo non mi concede neppure il tempo per salutarlo stamattina – ” Gaia Lunardi, dico : sono venuti a prenderla due giorni fa i suoi figli  e starà con loro sino alla prossima settimana ma….tranquillo” – e mi guarda sorridendo  – ” tra sette giorni sarà di nuovo qui “.

“Come …?” – balbetto io –
” Come…? Come…? ” –  Matteo mi fa il verso – “Ma stai sempre ad elucubrare sulle cose tu !? Comunque sarà qui tra una settimana e quindi puoi evitare di venirmi a fare visita ogni giorno  portandoti appreso i miei giornali ed i tuoi occhi tristi !”

Ha ragione lui, al solito, io non so semplicemente essere felice senza cominciare ad elucubrare
sul motivo della mia felicità, su quanto durerà, se durerà, su cosa potrà portarmela via .

” E comunque adesso vai” – chiosa  – “Ho barattato un pò del tuo tempo per avere quella notizia” – e ride: sentirlo  ridere è stato uno dei momenti più belli dell’ultima settimana.

“Grazie…” e fa una specie di inchino,
Cristina mi guarda negli occhi e ride sorniona mentre si volta per poggiare una scatola di compresse
sul vassoio che sto reggendo per lei: era questo il baratto quindi, che io fossi disponibile a passare
qualche ora del mio tempo all’interno di questa struttura,  per dare una mano ad infermieri ed operatori.

Nello specifico, oggi devo dare una mano a Cristina mentre distribuisce farmaci e sciroppi agli ospiti del centro, coccolati da tisane calde e cioccolata dentro questo enorme salone: un vecchio pensionato aiuta una giovane infermiera a distribuire farmaci ad altri vecchi !

Sopporto stoicamente la faccenda che comunque termina dopo alcune decine di minuti.

Prima di andare via passo dalla finestra di Gaia, sfioro volutamente con la mano lo schienale della sua sedia,
mi accorgo che il libro che l’altro giorno ho lasciato per lei sul tavolino è ancora li, sotto una tazza di tisana ormai fredda ma dalle cui pagine chiuse fa capolino un segnalibro che non è il mio e sul quale lei ha scritto qualcosa:

i libri non si abbandonano

Apro le pagine segnalate,
una poesia di un’autrice che non conosco
sembra essere scritta per noi due:
ed è come se quel libro
abbia attivato un nuovo legame

“Il silenzio
è un ponte sospeso
su un canto lontano
dove anime dense
– vibrando in quel suono –
ritrovano
l’antico contatto”

(http://www.paroledelcuore.com/poesia.php?poesia=185150)

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Cap 9 : Non ho smesso di pensarti …

Apro gli occhi:
dovevo essermi addormentata sulla poltrona
ma un dolore improvviso alla schiena adesso mi ha riportato con violenza nel mondo reale.
Mi muovo appena, quasi non respiro,
ma il mio corpo sa come fare
a trovare una sua posizione
ed io devo assecondarlo e dargli tempo:
d’altro canto
attendere è ciò che so far meglio.

Mentre aspetto che il dolore allenti il suo morso,
ruoto il capo ed attraverso con lo sguardo il salone:
nessuno ha fatto caso a me
ed io continuo a guardare gli altri compagni di ricovero
con indifferenza
e con la certezza che se io non entrerò nelle loro vite,
nelle loro storie,
essi non entreranno mai nella mia.

Fa freddo qui,
o sono io che sento freddo,
sistemo la sciarpa attorno al collo.

Guardo la finestra che ho di fronte
ed il bosco che le sta oltre,
osservo le miei mani
ed il vuoto che esse stringono,
poggio lo sguardo sul tavolino
il caffè sarà freddo ormai.

Vicino la mia tazza c’è un libro,
la copertina rossa ed un po’ sdrucita
dichiara la sua appartenenza a qualcun altro
che immagino stesse passando da qui
e poi forse richiamata da una telefonata
non ha trovato di meglio che abbandonarlo qui

I libri non si abbandonano.
I libri si scelgono, o forse sono loro a scegliere il lettore.
Ci chiamano dallo scaffale di una libreria,
prima solleticano la nostra curiosità con una copertina
che richiama la nostra distrazione,
ci invitano a sfogliarli ed a leggere a casaccio qualche riga
e ci portano per mano proprio su quella pagina,
quella che sembra essere stata scritta solo per noi:
quella che sembra
chissà per quanto tempo,
abbia atteso proprio noi.

Lo portiamo a casa nostra,
cominciamo a leggerlo
e quel tempo, sempre troppo avaro, che trascorriamo con lui
diventa un appuntamento caro,
un rifugio sicuro , un luogo tranquillo,
dove la nostra vita sembra non essere mai stata
quella che ci siamo raccontati
ma altro,
un altro che è solo nostro,
e nessuno può comprenderlo
e nessuno può leggere il nostro cuore
come lui.

Allungo il braccio destro,
ruoto il libro:
un segnalibro colorato
si affaccia tra le pagine
ed io lo assecondo
complice.

Una mano ha disegnato una stella
sull’angolo in alto della pagina
e sottolineato
il titolo di una poesia.

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“Non ho smesso di pensarti,
vorrei tanto dirtelo.
Vorrei scriverti che mi piacerebbe tornare,
che mi manchi
e che ti penso.
Ma non ti cerco.
Non ti scrivo neppure ciao.
Non so come stai.
E mi manca saperlo.
Hai progetti?
Hai sorriso oggi?
Cos’hai sognato?
Esci?
Dove vai?
Hai dei sogni?
Hai mangiato?
Mi piacerebbe riuscire a cercarti.
Ma non ne ho la forza.
E neanche tu ne hai.
Ed allora restiamo ad aspettarci invano.
E pensiamoci.
E ricordami.
E ricordati che ti penso,
che non lo sai ma ti vivo ogni giorno,
che scrivo di te.
E ricordati che cercare e pensare son due cose diverse.
Ed io ti penso
ma non ti cerco.”

(Charles Bukowski)

ti passo a perdere…

“.

” – Ti passo a perdere tra poco
– A perdere ?

– Si, vengo da te e ci perdiamo insieme
– E se poi ci trovano ?

– Ma noi ci perdiamo bene
-Devo portare qualcosa ?

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– Si, porta quella curiosità disordinata e bella che ti rende sfacciatamente vera.
La voglia di soffiare via le nuvole dal tuo cielo, che da un pò di tempo è scuro.
La forza di far scivolare via la tristezza che ti ostini a tenere per mano.
Gli abbracci li porto io, per quando avremo freddo.
– Ho paura.

– Ed è per questo che ogni tanto è necessario perdersi, in nuove persone, in altri luoghi, dentro nuovi viaggi.
Perchè la vita passi e non ci trovi lì, fermi, ad aspettarla.
Per ricominciare bisogna perdere la strada del ritorno.
Per diventare persone nuove bisogna rischiare.
Rompersi e rinascere.
Prendere coraggio e fare quella “cosa” che ci terrorizza,
quella cosa che non avremmo fatto mai.
Fare il primo passo per capire che siamo noi a doverci spostare
da dove non riusciamo più ad essere, senza attendere che qualcosa
per miracolo succeda.
– Passa a perdermi, ti aspetto”.
(A. Faber)

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Cap 8: ed è finanche attesa …

“È tristezza, solitudine e malinconia.
È il ricordo di un’assenza,
il desiderio di una presenza.
È bisogno di compagnia.
È favola per un dolce sonno,
O veglia accanto ad una malattia.
È ciò che resta di chi è andato via:
l’angolo di saggezza di un nonno,
la dolcezza d’una nonna che sferruzza,
la tenerezza della mamma, che al seno allatta
e il riposo d’un padre che ci accomoda, la sua stanchezza.
È luogo d’incontro, di dialogo;
di confessioni tra “antiche” amiche
che rendono, a volte, la vita tedia;
ed è finanche attesa
…la sedia. “
(Pino Palumbo http://pinopalumbo.blogspot.com/2017/08/la-sedia-vuota.html)
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Mattia si è addormentato, il suo volto è sereno,
ed io non ho intenzione di ridestarlo ad una vita che sta per abbandonarlo.
Lascio le riviste che mi aveva chiesto, poggiate bene in vista sulla sedia vicino al suo letto,
di modo che possa accorgersi al risveglio che sono passato da lui:
sapere che sei, comunque  e nonostante, nei pensieri di qualcuno
rende felice il cuore, anche solo per un po’.
Scendo le scale, insolitamente di corsa, per raggiungere il salone: per raggiungere te.
La sedia di fronte alla “tua” finestra è vuota e la tua assenza imprevista mi blocca il respiro,
così comincio a vagolare tra gli altri ospiti, tra tavolini sparecchiati e sedie libere,
mi affaccio in giardino [forse hai preferito sederti li],
mi inoltro nelle sale vicine sperando di trovarti
e non riesco a mascherare il disagio neppure a Cristina,
l’operatrice gentile che ormai si è abituata a vedermi passare da li quasi ogni giorno,
“Marco, si sente bene? Posso aiutarla?”: no, non può aiutarmi,
non riesco a mascherare il disagio neppure a me stesso
nè a darmi risposte.
Mattia aveva ragione.
Ho pensato a lungo ieri pomeriggio a cosa dirti stamattina, a come presentarmi,
a ciò che avresti potuto dire od a come forse avresti reagito alla mia presenza:
avevo paura per questo incontro.
Mattia aveva ragione.
La paura è il volto della mia incapacità ad accettare
che la vita si muova secondo la sua natura e non secondo i miei programmi
ed i miei desideri.
Essa è l’impronta sulla sabbia lasciata dall’illusione che,
se le cose andassero come immaginato, non mi potrebbe accadere nulla di triste
o di brutto ed io sarei solo allora eternamente felice.
E’ il motore di un delirio che mi fa vivere in un mondo ipnotico da me creato,
lo stesso delirio che puo’ facilmente precipitarmi in un abisso da un momento all’altro,
lo stesso nel qual precipito quando perdo la memoria: perchè i miei ricordi riguardano in parte eventi accaduti
ma anche storie che negli anni mi sono voluto inventare ed in cui ho voluto credere,
sino al punto da non comprendere piu’ la differenza tra gli uni e le altre.
Senza che io lo voglia un sorriso si fa spazio tra le rughe del mio volto,
mi accomodo sulla “tua”sedia, osservo il bosco attraverso la “tua” finestra,
il sole attraversa i vetri e riscalda il mio corpo,
mentre attorno a me sembra formarsi una bolla
che mi separa e protegge da tutto cio’ che ho intorno:
ospiti, operatrici, infermiere, visitatori.
Ed in quel momento chiudo gli occhi,
immagino la tua mano che si appoggia al mio petto,
supera la pelle e le ossa,
raggiunge il cuore
ed attiva una chiave: mi sento felice.

Cap 7: una rosa di maggio…

“Non succede all’improvviso…proprio no.
All’inizio non ci fai caso. Non sei attento.
Lentamente l’immagine si fa meno nitida
e da quel momento, da quel preciso istante,
incominci a soffrire.
Muori dentro,
in un’affannosa agonia
fatta di giudizi
che tu solo ti dai”

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Sono seduto su un letto.
Di fronte a me una parete bianca,
una stupida parete bianca, niente altro.
Il pigiama che ho indosso è madido del mio sudore;
un sudore freddo.
Decido di rimanere seduto su questo letto,
farlo mi offre sicurezza.
Ho deciso che non mi muovo da qui.
Forse quella parete cambierà colore,
non so…..magari accade qualcosa.

Io…….
Chi sono io?
Come mi chiamo?
Aspetta…..

Il cuore batte forte
lo sento correre dentro mio il petto,
è perduto anche lui,
come se mi trovassi sull’orlo di un precipizio
e la gola brucia
come fosse un cespuglio di spine.

Le rose hanno le spine

Una rosa di maggio……la rosa di maggio !
Il profumo preferito da Gaia !
La rosa di maggio: adesso ricordo
adesso ricordo tutto.
Io mi chiamo Marco.

Questa è la mia casa, io sono a casa,
e questi i mobili che ho scelto io.
Questi sono i miei libri
e queste le volte che mi sono ritrovato su strade
che improvvisamente non riconoscevo piu’.
Questo volto sullo specchio è il mio
lo stesso cui ogni tanto la memoria
non sa piu’ dare un nome
avendone perduto il ricordo.

Chiudo gli occhi
ed una lacrima di sollievo
mi accarezza la guancia.