„Poiché non potevo fermarmi per la Morte
lei gentilmente si fermò per me.“
(Emily Dickinson)
Hanno già portato via il corpo di Matteo
non ho fatto in tempo a salutarlo per questo ultimo suo viaggio:
“non fare in tempo per” qualcosa è sempre stato nelle mie corde.
La stanza di ricovero è in perfetto ordine,
non c’è nulla che richiami alla memoria il suo ultimo ospite,
niente libri impilati sul comodino
né giornali accatastati sulla sedia
né occhiali da lettura dimenticati sul cuscino
o vestiti affidati ad un voluto disordine sul divano.
Hanno già sistemato letto ed arredi
e tutto è pronto a ricevere un’ altra anima dentro un corpo sofferente,
la stanza ordinata e pulita è illuminata dalla luce dell’alba timida
ma sufficiente a sottolineare l’autorità della morte in quello spazio.
Alle mie spalle sento il pianto composto di Cristina,
mi volto ma non riesco ad abbracciarla,
non so consolare e non so più piangere.
Il senso forte della precarietà delle cose terrene
che mi accompagna da una intera vita ,
questa prepotente mia consapevolezza che tutto ciò che abbiamo amato
è destinata comunque a finire, prima o poi,
piuttosto che rendermi indifferente alla morte
oggi appesantisce e curva ulteriormente le mie spalle
mentre rimarca l’evidenza che tutto questo dolore,
tutto la sofferenza che abbiamo conosciuto,
sembrano non avere alcuno scopo
che non sia il piacere di torturarci.
Scendo le scale e passo dal salone,
tu sei al “tuo” posto, sulla “tua” sedia, davanti alla “tua” finestra;
ti guardo da lontano e rifletto su quanto io sia stato in questi anni stupido
e folle nell’immaginare una storia tra noi
che avesse vita anche fuori dai miei sogni e dai miei pensieri.
Tu non sei mai stata ciò che io descrivevo nel copione della mia mente,
quello stesso che poi recitavo
e in cui facevo recitare anche te chiamandolo “amore” ;
tu non sei mai stata quella che io raccontavo a me stesso
e non potevi esserlo.
Sei stata quella figura che io desideravo che fossi,
senza mai curarmi di scoprire la tua vera anima,
ascoltare i tuoi bisogni o lasciarmi raccontare i tuoi sogni.
Adesso eri la mia compagna di banco, più tardi la mia complice, poi l’amica del cuore,
ed infine la mia amante
compagna, amica e complice in un amore impossibile,
ma per me assolutamente naturale
e ribelle alle convenzioni sociali ed a quelle religiose,
incurante di matrimonio e figli
come di problemi quotidiani ed attività lavorative che inevitabilmente
imponevano una distanza logica tra noi,
logica per tutti ma non per me,
non per la storia del mio copione.
Cosa ci faccio qui ? Cosa mi aspettavo che accadesse ?
Io non so nulla di te da anni, non so se neppure ti ricordi di me,
non so chi sei su quella sedia né cosa osservi attraverso quella finestra.
Trovarti qui è stato un altro evento amaro della vita,
venire qui oggi un’ altra sofferenza inutile.
Mi avvicino a te, rassegnato alla tua indifferenza.
stanco di provare a scorgere il mondo in cui ti nascondi,
mi appoggio alla parete e poso lo sguardo dove tu sembri posare il tuo
ma vedo solo la strada, le auto ed il bosco sullo sfondo.
mi giro per andare via,
non tornerò mai più qui.
“Non ti sembra terribile l’eternità ? “
– lo chiedi inaspettatamente
mentre continui a guardare oltre la finestra –
” Io ci penso spesso e mi sembra così buia che quasi desidererei che non ci fosse Eternità.
Credere che dobbiamo vivere per sempre e non cessare mai di esistere.
Sembra come se la Morte,
di cui tutti hanno paura
perché ci lancia in un mondo sconosciuto,
sia un sollievo rispetto a uno stato di esistenza così interminabile.
Non so perché ma mi sembra di non dover mai cessare di vivere sulla terra,
non riesco a immaginare con la mia immaginazione più fervida la scena della mia morte
Mi sembra di non dover mai chiudere gli occhi nella morte.
Non riesco a rendermi conto che la tomba sarà la mia ultima dimora,
che gli amici piangeranno sulla mia bara, che il mio nome sarà menzionato,
come uno di quelli che ha cessato di essere fra i rifugi dei viventi,
e ci si chiederà dove è volato il mio spirito disincarnato.
E’ della Dickinson sai ?“
– ha girato il capo e guarda verso di me –
“Come ?”
– chiedo istintivamente ma instupidito per la sorpesa –
” E’ di Emily Dickinson , una lettera mandata ad Abiah Root,
la sua migliore amica, forse la sua unica amica”
“erano molto legate spiritualmente, due anime libere,
ma la distanza ed i diversi ruoli sociali furono il costo da sopportare
per vivere quel legame
e segnarono una differente interpretazione del senso del dovere
che però non le separò mai
fino alla morte”
Riprendi ad osservare il bosco lontano oltre il vetro
mentre io rimango basito ed incredulo,
mentre il silenzio ci unisce,
di nuovo insieme.