democrazia sociale

Il reddito i cittadinanza: una vera rivoluzione sociale


Stanno ricominciando ad avvelenare i pozzi: questa volta le batterie caricate a lordume sono puntate sul reddito di cittadinanza, che è l’unica riforma radicale del lavoro, già attuata nel 99% dei Paesi occidentali, per integrare il reddito di chi ne ha troppo poco, e fornirlo a chi non ne ha affatto. Accompagnata a quella sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio, per far posto alle migliaia di dipendenti traditi dalle corbellerie di Calenda & Soci, dopo che l’Italia ha regalato metà della sue manifatture ai fondi speculativi e ai ladroni italiani e stranieri, che poi le sfruttano e le abbandonano come gusci vuoti!

Certo che costa, una riforma rivoluzionaria come questa, né ci si illuda che si farà in sette giorni: la macchina da mettere in moto è gigantesca!

Si dovrà cominciare da subito con una riforma radicale dei “centri per l’impiego”, cellule sgangherate e mantenute in piedi dal Ministero del Lavoro, divenute veri e propri “cimiteri degli elefanti” di ex- sindcalisti, porta borse, lacchè e scansafatiche; e che servono solo a gettare fumo negli occhi di migliaia di disoccupati illusi. In realtà, in questo Paese, marcio fino alle midolla, il lavoro non è oggetto di controllo pubblico, ma è in mano ai privati (lo Stato dovrebbe obbligatoriamente fare i concorsi, ma non nel mondo assurdo con cui li impronta –decine di migliaia di poveracci per duecento posti!-; e poi ci sono le raccomandazioni e le segnalazioni, e succede che le graduatorie, come per incanto, mutino!), con il cosiddetto “sistema a chiamata”, di cui avete l’esempio, ogni giorno con centinaia di annunci, sui giornali o sul web, perché la regola (non la legge) stabilisce che debba essere “pubblicizzato”. Poi, come al solito, le aziende per lo più si fanno gli affari propri convocando i candidati e concludendo contratti di lavoro “senza controllo” e a condizioni lesive per il lavoratore! Solo una minima parte delle richieste occupazionali transitano dai “centri”, e si riferiscono, per lo più, a occupazioni in agricoltura e nei servizi (le più desolate!). Allora? E’ necessario, anche qui procedere alla creazione di una "banca-dati del lavoro", in cui si inseriscano, obbligatoriamente, offerte e domande di lavoro, consultabili on-line presso il “centro”, e che svisceri, secondo le caratteristiche del lavoratore, tutte quelle opportunità che gli si offrono (in Italia, ma anche all’estero), corredate da tutte le specifiche (durata, tipo di lavoro, stipendio, assistenza, ecc.).

Solo nel caso che l’incrocio non trovi soluzione, scatta il rdc, che è legato, da subito e per una durata limitata, all’inserimento automatico del lavoratore in una serie di corsi e aggiornamenti (se il lavoratore vuole allagare la sua esperienza), ma anche in forme di occupazione sociale gratuita nel periodo della ricerca. Ricerca che, per lui, intanto, continua “automaticamente” all’interno della banca dati, fino a che l’input rivelerà il suo posto di lavoro. In tutti i Paesi civili, dagli Usa, alla Germania, fino all’Australia, ogni persona che abbia raggiunto il 18 anno di età è in possesso di un tesserino, rilasciato dal Ministero del Lavoro, contenente il curriculum lavorativo del portatore (da zero lavori, titoli di studio, nuove occupazioni, periodi di disoccupazione, ammortizzatori sociali percepiti, ecc.), da inserire nella banca–dati di cui sopra.

Il rdc diventa così uno stantuffo, non certo di tipo assistenzialista, per contribuire al mantenimento di chi viene licenziato, o si trova in mobilità, ma senza stipendio. Ovviamente il percepimento degli ammortizzatori sociali (finchè questo istituto non sarà modificato, perché è da ripensare da capo, in quanto divenuto la spalla su cui poggiano gli imprenditori disonesti e i sindacalisti collusi!), esclude il rdc; l’esclusione avviene, altresì, dopo che il lavoratore abbia rifiutato tre proposte, purchè tutte incentrate nel suo curriculum, oppure la frequentazione dei corsi.

Il secondo aspetto del rdc è relativo, poi, al vero assistenzialismo, ma non c’è da meravigliarsi, visto che dal 2011 ad oggi, la povertà in Italia ha raggiunto milioni di famiglie (in degrado o incapienti): le quali, in base a quanto designeranno gli assistenti sociali (altro istituto da rinnovare in pieno!), dopo accurate indagini, riceveranno il sussidio pro-capite, perché ormai privi, per età o condizioni di salute e sociali, ad assumere una occupazione. Anche in questo caso, la riscossione della pensione (anche di quella sociale) decurterà, tuttavia, il rdc, dell’importo pieno.

Come si vede, si tratta di una riforma strutturale che esporrà lo Stato ad un investimento di oltre 15 miliardi l’anno (10 da recepire dall’annullamento degli 80 €!), ma che aumenterà la domanda di beni e servizi, trasformandola in un volano di maggior occupazione. Non si capisce, infatti, come dovrebbero utilizzare il rdc coloro che si trovano sul serio in condizioni disagiate (che non hanno chi percepisce gli 80 €!), se non spendendolo! Il finanziamento del rdc sarà prerogativa della “banca pubblica di interesse economico-sociale”, da fondare in base al modello tedesco (BfW), che potrà usufruire delle garanzie di CDP o di un apposito fondo interbancario, e che utilizzerà i capitali per finanziare esclusivamente la pmi, a tassi agevolati e a condizioni di privilegio.

Accanto a questa riforma, è auspicabile che ne venga messa in cantiere un’altra, che si esprime negli art, 39-42-43-46 della Costituzione, e che riguarda sia la trasformazione del sindacato in effettivo rappresentante pubblico dei lavoratori, ma in libera emanazione e costituzione; sia, in taluni esempi (diventati frequenti, ormai!) di cattiva gestione o addirittura vacanza dell’imprenditore (come quando delocalizza, solo per profitto proprio!); in questi casi lo Stato espropria l’impresa e la affida alla gestione delle maestranze, in appositi consigli di gestione: nei quali i dipendenti possono (cogestione) o meno (autogestione) dirigere l’azienda, pienamente avallati dall’impegno solidale del Ministero.

Anche in questo caso, come già in effetti si sta verificando ricorrendo al modello cooperativo, le maestranze spotranno autofinanziarsi inizialmente con i propri TFR, e poi si rivolgeranno alla solita “banca pubblica di interesse economico-sociale”. Anche in questo caso è evidente che, piuttosto che escludere e far sparire dal mercato un’azienda “svaligiata” dall’incuria di imprenditori e avventurieri (che, ripetiamo sono stati avallati dal Ministero e dal sindacato!), e quindi un soggetto sociale e fiscale, è conveniente consegnarlo in mano alle maestranze, così come previsto dalla Costituzione. (D.S.)