LA SCOMPOSTEZZA ed UN RICORDO LONTANO

“Qualcosa non ti è andato giù a proposito delle esternazioni di giubilo da parte di qualcuno dei vincitori italiani di medaglia d’oro a queste ultime Olimpiadi?”
“Guarda. Voglio raccontarti una storia talmente lontana nel tempo da poter essere definita antica
“E c’entra qualcosa con le gioie olimpiche un po’ troppo sfrenate viste in TV, ah ah ah…?”
“Assolutamente! Ascolta e giudica tu stesso”
“Ehilà! Sono tutto orecchie…”
“Ero poco più che un bambino, quando si trattò di sostenere l’esame di ammissione al Liceo Classico di Pisa. Come forse sai, il corso liceale classico, allora, si articolava in due fasi ben distinte, Ginnasio e Liceo propriamente detto, ciascuna avente come epilogo di un periodo di studi – rispettivamente di due e tre anni scolastici – un esame finale dinanzi ad una commissione esterna. In quel caso specifico, in qualità di uscenti del biennio ginnasiale, dovemmo essere valutati, appunto, dai professori del Liceo. Come ti ripeto, ero un ragazzetto di quindici anni, appena compiuti. Alla nostra sezione era toccato un certo esaminatore, la cui fama di austerità, severità ed intransigenza travalicava persino le mura del nostro stesso istituto. Eravamo a metà dei ’60, e la scuola era ancora qualcosa di estremamente serio. Lo era in un luogo come Pisa, ad esempio, dove fasti, fama ed atmosfera di una città dalla tradizione universitaria plurisecolare – per di più, sede di un tempio per la formazione di veri e propri geni, come la Normale Superiore – finivano per influenzare anche gli istituti di istruzione secondaria, nei quali la didattica assumeva caratteristiche assai elevate, rispetto a quanto veniva impartito nelle corrispondenti classi di molte altre città del paese. Insomma, quella mattina dovevo confrontarmi con quello spauracchio d’insegnante di latino, il cui solo incedere, a passi spediti per i corridoi, faceva rabbrividire, prima ancora del pensiero delle domande, su grammatica sintassi e letteratura, che avrebbe potuto porre. Ero tesissimo. Sapevo di aver fatto uno scritto assolutamente accettabile, ma l’imminente interrogazione mi terrorizzava. Mia madre, la sera prima, dinanzi all’ulteriore richiesta, da parte mia, di risentirmi, per l’ennesima volta, spezzoni di programma a caso, quando ormai stava suonando mezzanotte, m’intimò di chiudere i libri ed andare a dormire, ‘chè, tanto – sentenziò – a quel punto, quel che sapevo, sapevo…, e la mia testa era talmente nel pallone, da non consentire più alcun ragionamento lucido e sensato. Ebbene, il mattino della prova orale, alle 8,30, fu effettuato il sorteggio tra i candidati previsti per quella giornata. Risultai l’ultimo della lista. Ciò, sulla base di quel che si era verificato il giorno precedente, significava attendere fin quasi alle una. Attendere e friggere sulla graticola… Come giunse il mio turno, ero ormai una corda di violino, quasi fuori della realtà per la tensione – per giunta, per nulla rassicurato dalle facce e dai commenti insoddisfatti dei miei compagni, che, via via, vedevo uscire dall’aula del colloquio”
“Madonna! Dev’esser stato un tormento!”
“ Uuh… Me lo ricordo come fosse adesso, credimi! Insomma, fu chiamato il mio nome, e mi ritrovai seduto dinanzi all’arcigno cattedratico, in uno stato d’animo simile a quello di un astronauta che fluttua all’interno della propria capsula senza poter poggiare i piedi per terra. L’uomo mi fissò dritto negli occhi e, con voce severa, tuonò: Dulcis in fundo. Riuscii, tuttavia, a parare il colpo, con la rapidità di uno schermidore in pedana, e, sfoderata una reminiscenza degli epigrammi di Marziale, che giudicai, ad occhio e croce, opportuna alla circostanza, ribattei, con un’inflessione ironica della voce: Venenum in cauda”
“Bravo, caspita! Riuscire a trovare lo spirito per ironizzare sul paradosso del finale, in quei momenti… Il destino della cosa ultima, non è vero? …che può essere dolce, come, generalmente, ci si aspetta, avendola gelosamente conservata; ma che può, invece, nascondere un’amara sorpresa, proprio come lo è il veleno contenuto nella coda del serpente”
“Bravissimo! Proprio così! E questa mia uscita colpì tanto favorevolmente il mio temuto interlocutore, da renderlo, d’un tratto, gioviale ed amabile, come mai mi sarei aspettato. Iniziò, dapprima, con il complimentarsi per il buon scritto che avevo fatto qualche giorno addietro, quindi m’invitò a disquisire di un qualsivoglia argomento mi andasse di illustrare, cosa che si trasformò ben presto in un cordiale scambio di opinioni, tanto compiaciuto da parte sua quanto ricco di ogni sorta di riferimenti e richiami letterari e lessicali appropriatamente addotti da parte mia, sulla scorta della grande sicurezza di me, su cui adesso potevo contare, e che non poteva non derivare dalla conoscenza del materiale scelto. Per farla breve, fu un trionfo. E, tra le prove d’esame fino a quel momento svoltesi, il professore dichiarò la mia come quella più meritevole di un’alta valutazione”
“Cavoli…! Con quel veleno, lo disarmasti, letteralmente…!”
“Be’, fui fortunato a trovare l’appiglio giusto, mettiamola così. Però, effettivamente mi ero molto preparato. Avevo studiato molto”
“E poi…?”
“Al termine dell’interrogazione, uscii dalla stanza e trovai mia madre nel corridoio, che, nel frattempo, aveva raggiunto l’istituto e mi attendeva, fuori della porta, insieme col mio compagno di classe del cuore e la di lui genitrice, anch’essi venuti con l’apprensione e la curiosità di vedere come l’esame mi fosse andato. Dissi che ero soddisfatto, avendo ricevuto anche i complimenti dell’esaminatore; baciai teneramente mia madre e, tra composti sorrisi e sommesse esclamazioni, lasciammo in gruppo l’edificio. Tutto lì. Nessuna particolare esultazione. Ricordo che, nel punto in cui le strade di casa si dividevano, il mio coetaneo allungò il braccio per stringermi la mano. Ecco, vedi, questo era il modo sobrio e misurato con cui… non un uomo, bensì un fanciullo di pochi anni reagiva ad un successo e ad un consenso conseguiti, dopo molti sacrifici e molta tensione accumulata”
“E già… Di certo non ti rotolasti sul pavimento di quel corridoio come un indemoniato di fronte all’esorcista, e non ti abbandonasti ad evoluzioni scimmiesche, balzando da una parte all’altra con le braccia protese verso il nulla e gli occhi fuori dalle orbite…”
“Oh no, davvero…! E neppure cacciai grida isteriche, come una strega condotta al rogo”
“Allora, credi ci sia stato qualcosa d’inappropriato nel contegno di un atleta azzurro, vincitore di medaglia d’oro?”
“Sì. Qualcosa di eccessivo, di becero, di volgare, come solo questi tempi, fuori di ogni freno e di ogni misura, possono dispensare. Un segno di cattivo gusto e di egoismo, in conflitto perfino con lo spirito sportivo… Una grottesca parata di ululanti dimenamenti senza cura e rispetto, in primis, per chi non ha ottenuto tanto e forse era ugualmente meritevole. Uno spettacolo indegno, insomma! Una vergogna per chi, per età e finanche per il ruolo che ricopre nella vita, vestendo la divisa di un corpo militare dello Stato, dovrebbe aver imparato che esultare per un successo conseguito può e dovrebbe mantenersi su livelli di maggiore compostezza e dignità”
“Eh sì, son d’accordo con te. E, dimmi, fu di parola, il professore? Ti dette poi un buon voto?”
“Ebbi 8 in latino. Qualcosa di stratosferico per uno studente del Liceo-Ginnasio Galilei di Pisa, nel 1964”
“Bello il tuo ricordo di scuola”
“Roba lontana. Di un tempo antico, te l’ho detto”

LA SCOMPOSTEZZA ed UN RICORDO LONTANOultima modifica: 2021-08-04T15:41:25+02:00da alberto.gambineri