Che popolo interessante il nostro, fatto di santi, poeti e allenatori dell’utopia a cui lo strappo zemaniano pare iniquo posto che non sconfini nel divinizzato diritto a vincere sempre e comunque. Come spesso accade nel day after, in questa curiosa vicenda Zeman, si consuma un fenomeno che prevede il sollevare da ogni responsabilità il boemo, come lo hanno definito nei loro striscioni i curvaioli, l’esaltare il suo modello di gioco appiattendo la questione Roma sulla ragion di Stato e su quella frettolosa sintesi che prima abbiamo riassunto nel diritto a vincere. Nell’industria del calcio è francamente poco per esonerare un allenatore su cui una società ha investito, nel quadro di una azione di marketing commerciale più complessa.
La fenomenologia di Zeman, il suo bel calcio (verso cui nutro riserve), una certa retorica masturbatoria del perdente incompreso ma giusto va frenata. Come, d’altronde, quella strisciante e probabilissima imputazione di responsabilità al solo credo del tecnico della crisi di una squadra in cui la grande assente è la disciplina che ha richiamato ZZ, prendendosi il cartellino decisivo dalla dirigenza, visto il seguito.
La società, altro tema interessante in questa storia: una struttura dicotomica su cui andrebbe fatto un approfondimento per comprendere fino a che punto è banca e fino a che punto è James Pallotta e gli altri. Dietro la Roma c’è una proprietà fluida, il cui progetto, dopo questa debacle, è ancora più fumoso per i modi e i tempi dell’esonero.
Doppi azionisti tra americani e Unicredit, doppi ruoli, figure in coabitazione in un condominio societario che ha optato per la soluzione interna come si temeva all’alba della 23° giornata di campionato. A che pro, andrebbe analizzato perché con Luis Enrique le cose non si erano presentate diversamente dal caos topico in cui abbiamo elencato l’esclusione di De Rossi, il caso Osvaldo, il castigo inflitto a Stekelenburg, la consueta fragilità della difesa e la provvisorità di classifica e risultati.
Strano che uno come Laurent Blanc, giocatore di pregio e c.t. della Nazionale francese, non abbia ceduto lusingato alla possibilità di inserirsi in questo contesto a febbraio, vero?
Sarcasmo a parte, con Zeman o senza Zeman, Aurelio Andreazzoli dovrà sostenere un ruolo ingrato fino alla conclusione di questa stagione.
Dovrà gestire De Rossi, giocatore sublime che attraversa rmai da tempo una sorta di irrequietezza che gli è costata l’esclusione dalla lista dei convocati ai tempi di Luis Enrique e dalla Nazionale di Cesare Prandelli. Capitan Futuro convive con il suo perenne condizione di secondo, di opzione due, di capo in seconda insomma. Almeno fino a quando Totti non deciderà di intraprendere un percorso diverso da quello professionistico.
Il mercato giallorosso è stato oggetto di critiche già dalla lunga estate calda 2012, quando si palesò il volere dello spagnolo di far ritorno da dove era venuto con iPad e bagagli, stress compreso. Rosella Sensi, in quel caos, avrebbe palesato il proprio desiderio di investire Vincenzo Montella dell’incarico per conferire una sorta di continuità, un sottile filo rosso sensiano che ricompattasse l’ambiente. Molto chiacchere e spumantino per l’attuale tecnico della Fiorentina, a cui fu preferito Zeman. Ci si può soffermae su ineleganza e capacità di lettura di Daniele Pradè o di come qualche segnale di difficoltà vi fosse già allora. I giocatori arrivati l’estate scorsa hanno mostrato un discreto valore tecnico (penso a Destro), molta buona volontà (Bradley) e anche una stima superiore al dovuto (Goiocoechea).
Su alcune operazioni nutro tuttora delle riserve: non avrei mai ceduto Borini al Liverpool per reclutare alla causa Destro che ad oggi ha fruttato 4 gol e lasciare in disparte Osvaldo che di reti ne ha collezionate quasi tre volte tanto, incidendo in maniera inequivocabile sul risultato finale.
Dopo quella rete assurda di venerdì scorso, in cui il portiere voluto da Zeman è contravvenuto alle regole più elementari che si impartiscono a un giocatore nel suo ruolo mettendo di fatto la palla in rete, verrebbe da prendere le difese di Stekelenburg a prescindere. Verrebbe da scrivere in questa sceneggiatura una scena con battuta epocale, della serie ‘Nessuno mette Steke in un angolo’ e restituirgli il suo posto tra i pali.
Pare, però, sia troppo tardi per recuperare. L’olandese ha chiuso così la vicenda dello stop al trasferimento al Fulham: “Mi ci vorrà un po’ per assorbire il colpo”. Dalla sua ZZ ci tiene a farci sapere – ma è solo una conferma – che per fargli smettere di allenare gli devono solo sparare. E della sfortuna (Sabatini dixit) non se ne cura come è giusto che sia, vista la conclusione.
Finale che più amaro e grottesco neanche in un film di Mario Monicelli.