Quel gran, bel rito collettivo che è Sanremo riflette lo stato del Paese, con giusto qualche spigolatura in più. Quindi, immaginiamo la seconda serata del Festival di Sanremo senza Francesco Totti. Impossibile, vero? Sarebbe come se la Roma si privasse del suo capitano, l’ultima bandiera di questa Serie A. Così risulterebbe finto, fino a sembrare stucchevole, un elogio senza ammissione di responsabilità per questa edizione, la terza, firmata da Carlo Conti come direttore artistico. Insomma, in questo canto del cigno contiano si mutuano molti elementi che ricalcano anche senza pudore i format che hanno reso la De Filippi, per tutti, semplicemente Maria. Manca quel guizzo geniale, capace di cucire l’alto e il basso che la televisione generalista vorrebbe e che Conti più di tanti colleghi è in grado di declinare nella migliore modalità possibile come in Tale e quale show.
Dopo l’esordio boom da ascolti record, i risultati Auditel della seconda serata hanno sgonfiato il sogno di una curva in crescita con un netto ridimensionamento: media di 10.367.000 telespettatori con il 46,6 % di share.
Eppure Maria, come lei stessa ha ammesso nella conferenza stampa di mercoledì, era più tranquilla, rilassata. E si è visto, sia chiaro. Ma non basta.
La serata si è aperta con i quattro giovani in gara che, quest’anno, si sono esibiti e hanno atteso il responso del pubblico. Avanti Francesco Guasti (un recidivo) e Leonardo Lamacchia. Fuori a sorpresa Marianne Mirage e Braschi, che vantavano brani più maturi e strutturati. Ma Sanremo è Sanremo.
Dicevamo che senza Totti ci saremmo annoiati. Vero. Perché il Pupone ha donato genuina freschezza a una sersta che stentava a decollare. Grazie a lui anche Bianca Atzei (“Ora esisti solo tu”) e Marco Masini (“Spostato di un secondo”), si sono illuminati di un significato diverso. E quindi la gaffe Sciopè, le pallonate al pubblico, il saluto al maestro, tutto l’universo-mondo tottiano ha alleggerito il clima festivaliero.
Sergio Sylvestre (“Con te”) ha concluso questo passaggio idilliaco della scaletta e riempie con la sua voce potente il teatro, candidandosi a un posto da podio subito dopo i deludenti Nesli & Alice Paba.
Il momento sociale, preso e attaccato direttamente da c’è posta per te, ha combinato emozione a un certo gusto per la sublimazione dell’assurdo. Il signor Salvatore Nicotra, dipendente pubblico di Catania non si è mai assentato per malattia dal suo posto di lavoro. L’incertezza su che cosa stessimo vedendo si è palesata ai saluti, quando il signor Nicotra ha detto: “Grazie Maria, ci sentiamo”. In pieno orario di picco, è comparso Maurizio Crozza, più in forma rispetto alla prima complice il personaggio di Sergio Matarella e un paio di battute assolutamente quadrate.
Lo spettacolo è poi continuato con Gigi D’Alessio (“La prima stella”), che ha confezionato per questo Sanremo un brano melodico, accattivante, decisamente in linea con il Festival e la sua produzione. Piaccia o meno, sarà una delle più gettonate. Tenero, ma convincente il piccolo, grande Michele Bravi sempre più maturo che ha dato una interpretazione de “Il diario degli errori” struggente e bellissima.
Altrettanto emozionate Paola Turci che ha proposto “Fatti bella per te”, elegante e forse pacificata con quello che è Sanremo e che le deve qualcosa in più, francamente.
Su Robbie Williams e il bacio a Maria diremo solo: ok, abbiamo avuto la nostra star, peccato non avesse minimamente idea di dove si trovasse e di dove andare a ritirare l’assegno.
Più divertente, quasi onirico, Francesco Gabbani con il suo mohair arancio e il gorilla ballerino. Grazie per averci risvegliato da un torpore malinconico, in cui sta scivolando pericolosamente questa kermesse.
Su Giorgia che dire, se non che è la migliore su quel palco e che avrebbe meritato un vestito migliore?Con una certa fatica, si è chiusa con una certa stanchezza la questione big: prima Michele Zarrillo con “Mani nelle mani”, poi Chiara con “Nessun posto è casa mia”, e infine Raige & Giulia Luzi con “Togliamoci la voglia”. Proprio loro con Atzeni e Nesli rischiano l’eliminazione.
Troppo tardi per un pubblico che ha masticato Sveva Alviti e la sua Dalida, un Keanu Reeves simpatico e disponibile e un trio comico (Cirilli, Brignano, Insinna) che rimane l’ossessione incomprensibile di Conti. Perché toglie spazio a Rocco Tanica, che meriterebbe con la sua mascotte Colon una finestra alle 22.45.