Quella risposta mi fulminò: il libro è una sorta di autobiografia in cui Ernesto Salemme, professore di lettere, racconta del periodo in cui fu ricoverato in una clinica per malattie mentali; dei motivi che indebolirono la sua psiche costringendolo a quell'estrema soluzione; di come la letteratura e la scrittura funsero da validi supporti terapeutici aiutandolo ad uscire dal baratro della follia.
L’opera è scritta in maniera egregia e rimanda a infiniti agganci letterari con autori del passato, dimostrando non solo quanto siano attuali i classici e come la loro lettura possa rigenerare un’anima ammalata, ma come il lavoro di Ernesto Salemme sia anche un valido supporto antologico per i lettori, in particolare gli studenti. Quel che colpisce di più del libro, oltre alla freschezza e alla fluidità del linguaggio, è la lucida freddezza con cui il professore Salemme attribuisce le cause del proprio dramma alle incomprensioni familiari inerenti le proprie scelte di vita contrastanti rispetto a quanto i familiari pretendevano da lui, al punto da farlo apparire un estraneo se non addirittura un disadattato. E di come questa sua apparente alienazione, umiliante per la famiglia, fosse stata poi trasposta in scena dal fratello Vincenzo nelle proprie commedie con la figura del nipote scemo.
A quanti hanno avuto la fortuna di leggere questo libro sofferto, il testo sarà sembrato una denuncia di Ernesto Salemme nei confronti dei familiari, in particolare del fratello famoso. Viceversa secondo me rappresenta un atto d’amore, un gesto con cui porre fine, una volta e per sempre, agli attriti familiari, malgrado il malessere procuratogli.
Mi chiedo perché il libro, che a mio avviso definire bello è limitativo, non si trovi in commercio, malgrado fosse stato regolarmente stampato e presentato ad ottobre 2009 nell'auditorium del liceo in cui Ernesto Salemme all'epoca insegnava!?
Speriamo che quanto prima lo si possa ritrovare in libreria o magari in vendita online perché leggerlo è un’illuminazione. Il professore Salemme ha saputo trarre dal proprio dramma esistenziale un insegnamento di vita e non è giusto che le sue parole restino confinate nel limbo di pochi fortunati lettori.