“Cuma”, racconto

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Di seguito l’incipit del racconto pubblicato su “comunicare senza frontiere”, per leggerlo tutto basta cliccare qui 

 

L’ultima volta che Corrado aveva visitato l’acropoli di Cuma fu all’epoca del liceo. Successivamente, nonostante si fosse ripromesso di recarvisi non appena potesse, gli impegni universitari prima e l’attività di cardiologo poi lo avevano costretto a tenere in naftalina quel proposito.

Spesso la sera, rientrando a casa da un’estenuante giornata di lavoro tra ospedale e ambulatorio, dopo aver cenato con la famiglia informandosi sul come fosse trascorsa la giornata di Alberto e Luca, i suoi figli, e di sua moglie Rosaria funzionaria alla regione, mentre i ragazzi si ritiravano in camera per guardare la tv o giocare alla play station e sua moglie si barricava nello studio davanti al PC per continuare il lavoro d’ufficio, lui si sdraiava sulla comoda poltrona nel soggiorno, immergendosi nella lettura di uno dei tanti saggi sui Campi flegrei che riempivano la libreria di casa. Possedeva l’opera omnia del Maiuri, nonché una sfilza di libri di archeologi e studiosi della “terra ardente”. Spesso alternava a quei testi la lettura di Omero e Virgilio che nelle loro opere ponevano l’ingresso all’Ade, la terra dei morti, proprio nei Campi flegrei. Precisamente Virgilio collocava la discesa agli inferi sul Lago d’Averno. Uno dei passi che prediligeva dell’Eneide era il capitolo VI dove si narrava dell’incontro di Enea con la sibilla. A volte meditando su quei luoghi mitici, adagiandosi nella poltrona con un bicchiere di whisky tra le dita, chiudeva gli occhi sussurrando le parole che Enea proferì quando incontrò la pitonessa, <<Vergine, non sorge davanti alla mente inatteso o nuovo l’aspetto del dolore: l’animo esperto lo prevede ed è pronto ad accoglierlo: ma soltanto di una cosa ti prego: se qui vicina è la soglia di Dite e l’opaca palude donde salgono i gorghi nebulosi di Acheronte, io vorrei scendere giù a rivedere l’immagine cara del mio genitore: insegnami la via, aprimi tu quelle porte sacre. In mezzo alle fiamme fuggendo e sotto mille dardi su le mie spalle lo presi e lo strappai al nemico; lui, compagno al cammino, lui invalido, vecchio, sopportava audace con me tempeste di tutti i mari e i nembi oscuri del cielo; e ch’io venissi supplice a te, ai tuoi penetrali, lui stesso m’impose. Tu, santa, abbi pietà, ti prego, di me e di mio padre: tu certo puoi tutto né fosti invano preposta Ecate ai boschi d’Averno. Se Orfeo poté richiamare dai Mani l’amata fidando nel suono della cetra, se Polluce scambia col fratello la morte, e va tante volte e ritorna per questa via – dovrò ricordare il grande Teseo ed Ercole? – anche il mio sangue deriva da Giove>>.

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L’insolito freddo che quei giorni attanagliava il centro sud aveva scoraggiato i pazienti dal recarsi allo studio. Pertanto, come accadeva solo ad agosto, l’anticamera dello studio era vuota. Più volte nel corso del pomeriggio s’era alzato dalla scrivania per affacciarsi nell’atrio a controllare se qualcuno aspettasse il proprio turno. Sempre incrociava lo sguardo sornione di Monica, la sua assistente alla porta che, seduta dietro alla scrivania, era impegnata a risolvere un cruciverba. <<Penso che ormai non verrà nessuno>> disse fissando l’orologio al polso. <<Il freddo e l’influenza mi stanno regalando un inatteso pomeriggio di riposo. Tu va’ pure, io mi intrattengo ancora una mezz’oretta>>. Fece un cenno di saluto col capo e rientrò nello studio. Si avvicinò alla libreria di fianco alla finestra; lanciò un’occhiata attraverso il vetro del pannello scorrevole ai libri e alle riviste mediche addossate sul ripiano; lo fece scorrere per prendere una vecchia edizione dell’Eneide risalente all’epoca del liceo. Non ebbe il tempo di sedersi che il campanello bussò alla porta. Con il libro nella mano andò ad aprire. <<Buonasera>> lo salutò un uomo di media statura togliendosi il cappello. <<Sono in tempo per una visita?>> domandò, lanciando un’occhiata alle sedie vuote nella stanza. <<Certo, si accomodi pure>> rispose Claudio, spostandosi di lato perché lui entrasse.

<<Si direbbe che il gelo di questi giorni abbia potuto più dei medicinali>> sorrise volgendo lo sguardo sulle sedie vuote, precedendo lo sconosciuto nello studio. <<Si accomodi>> disse, indicando con la mano una delle sedie davanti alla scrivania. A sua volta si sedette di fronte all’uomo, poggiando l’Eneide sul bordo del tavolo. <<E’ la prima volta che la vedo, è mio paziente da poco?>>. Prima di rispondere, l’uomo volse interessato lo sguardo sulle stampe seicentesche alle pareti ritraenti diversi luoghi storici dei Campi flegrei. <<Mi tolga una curiosità>> fece tornando a incrociare lo sguardo di Claudio, <<Tutte queste stampe sono un abbellimento casuale oppure frutto di una scelta mediata dalla passione per quei luoghi?>> <<Una scelta mediata>> rispose tormentandosi il mento tra le dita, fissandolo con curiosità. <<Perché me lo chiede?>> domandò poi, raddrizzandosi nella poltrona girevole. <<Perché anch’io li amo, uno in particolare!>> <<Quale?>> <<L’acropoli di Cuma!>> <<Ma guarda>> sorrise Claudio <<Anch’io sono innamorato di quel posto. Tuttavia ci manco da circa vent’anni, non le sembra un paradosso?>> fece divertito. <<Per niente>> rispose seriamente l’uomo. <<L’acropoli di Cuma non è un comune sito archeologico da visitare quando si vuole. E’ l’acropoli, ovvero lo spirito ctono del luogo, a decidere chi dei tanti visitatori dovrà ritornarci e quando… Fino a che lo spirito dell’acropoli non farà udire la propria voce nessuno sentirà il bisogno di ritornarci!>> Ascoltandolo, Claudio fu colto da un leggero tremore. Per un istante temette di trovarsi al cospetto di un pazzo. Fissando la fredda lucidità che traspirava negli occhi dell’uomo, accantonò l’idea considerandolo un appassionato come lui del mito virgiliano. <<Guardi cosa avevo deciso di leggere poco prima che lei arrivasse>> disse, mostrando l’Eneide all’uomo. Questi sorrise. <<Come vede avevo ragione!>> <<In che senso?>> <<Nel senso che la sibilla la sta chiamando!>> Lo studio cadde in un profondo silenzio. Gli uomini sembravano sfidarsi con gli sguardi. Alla fine Claudio sfuggì quello dell’uomo insolitamente intenso e luminoso. <<Lei chi è?>> chiese aprendo un cassetto, cercandovi il nulla. <<Certo non quello che pensa lei!>> <<Ossia?>> <<Né un pazzo, né un paziente! Se domani mattina sarà così gentile da raggiungermi all’acropoli conoscerà la verità!>> concluse accennando un leggero sorriso.<<Ma domani devo andare in ospedale…>> <<Si prenda un giorno di riposo>> lo interruppe, <<perché non accadrà nulla di così grave da richiedere la sua presenza. L’aspetto domattina a Cuma>> disse. Si alzò, aprì la porta dello studio e sparì. […]

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“Cuma”, raccontoultima modifica: 2019-01-31T13:24:23+01:00da kayfakayfa