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VI RACCONTO COME NASCE IL RAGAZZO CHE DANZÒ CON IL MARE

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Da quando ho attivato i miei blog – LA VOCE DI KAYFA e LA VOCE DI KAYFA2.0 – e successivamente questo sito, ho avuto modo di intervistare nel corso degli anni in maniera eterogenea tante persone (pittori, cantanti, professionisti, professori, fotografi, scrittori, sportivi).

Mentre ponevo loro le domande e ne ascoltavo le risposte, mi chiedevo cosa si provasse a dover dar conto agli altri delle propria vita e del proprio lavoro.

Bene, questa domanda ha trovato risposta grazie all’intervista fattami da Ciro Biondi in cui parlo del mio romanzo IL RAGAZZO CHE DANZÒ CON IL MARE pubblicato a luglio di quest’anno con le Edizioni Helicon.

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21 DI NOI, LA MOSTRA DI SPAZIO TANGRAM DA ARTGARAGE

Sabato 17 ottobre presso l’ARTGARAGE di Pozzuoli, per la rassegna fotografica FOTOARTEinGARAGE curata da Gianni Biccari, si è inaugurata la mostra fotografica “21 DI NOI” di Spazio Tangram coordinata da Matteo Anatrella. La mostra si protrarrò fino a venerdì 30 ottobre e sarà visitabile dal lunedì al venerdì, dalle 15,30 alle 21,00

Per l’occasione abbiamo posto alcune domande a Matteo Anatrella curatore del progetto affiancato da Luigi Rossi e Riccardo Petrone.

Matteo ci parli del progetto che come Spazio Tangram presentate all’artgarage?

Alla base dell’idea c’è l’inclusione come messaggio sostanziale e poi l’identificazione attraverso la fotografia. Il fatto di essere riusciti non solo a fotografare ragazzi affetti da sindrome di down, ma soprattutto munirli di una macchina fotografica in modo che a loro volta fotografassero era il vero obiettivo cui miravamo, al di là della qualità dell’immagine che ne sarebbe scaturita. Perché ciò avvenisse abbiamo utilizzato un format univoco per tutte le realizzazioni, ottenuto con una sola ottica e una sola tipologia di esposizione. Tutto ciò finalizzato all’esposizione del racconto e alle suggestioni che sono state vissute durante questi cinque incontri con i ragazzi. Ci auguriamo che tutto ciò arrivi a quanti guarderanno le foto. Non ci siamo preoccupati di esporre qualcosa per cui gli altri, nell’osservarla, potessero dire “come siete stati bravi!”. Volutamente abbiamo tolto il pregio al valore fotografico, cercando di mettere l’accento sul valore inclusivo che può avere la fotografia.

A proposito del valore inclusivo cui ti riferisci, avete concesso ai ragazzi l’opportunità di fotografarvi a loro volta… […]

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INTERVISTA ALLA FOTOGRAFA MARTINA ESPOSITO

A seguire l’intervista alla fotografa Martina Esposito pubblicata su QuiCampiFlegrei.it

Con l’inaugurazione della mostra fotografica SOGLIE di Martina Esposito, sabato 3 ottobre all’ARTGARAGE di Pozzuoli – Parco Bognar, 21 – ha preso il via la IV edizione di FOTOARTinGARAGE coordinata da Gianni biccari, che durerà fino a fine giugno 2021. Per far conoscere al pubblico gli artisti che si alterneranno alla rassegna, ci siamo ripromessi di intervistarli uno per uno durante il vernissage della loro mostra. Con la speranza di mantenere fede a questo impegno, iniziamo con Martina Esposito:  

Martina sei fotografa di professione o fai altro nella vita?

Sono fotografa di professione e tre anni fa ho iniziato un percorso accademico che sto per concludere: la mia ambizione è lavorare con la fotografia come linguaggio d’arte anziché con la fotografia commerciale.

Quindi al momento ti occupi di foto pubblicitarie?

Pubblicità, eventi e cose del genere. Del cerimoniale mi occupo molto poco.

Con Soglie che tipo di fotografie presenti?

Soglie è un progetto completamente diverso da qualsiasi altro che finora abbia fatto, essendomi occupata fino agli inizi di quest’anno di reportage sociali: uno su quattro donne transessuali, raccontate con la mitologia greca; uno sul campo rom di Scampia. Nel momento in cui ci è stata imposta la quarantena, non potendo uscire di casa e muovermi verso gli altri, ho scoperto una dimensione più intima che credo sia la svolta nel mio percorso artistico in quanto il lavoro che è venuto fuori lo reputo molto maturo. […]

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PARTE LA IV EDIZIONE DI FOTOARTinGARAGE: INTERVISTA AL COORDINATORE GIANNI BICCARI

A seguire la mia intervista a Gianni Biccari pubblicata su QuiCampiFlegrei.it

Sabato 3 ottobre, alle ore 17 presso, l’ARTGARAGE di Pozzuoli – Parco Bognar, 21 – con il vernissage della mostra fotografica SOGLIE di Martina Esposito si inaugurerà la IV edizione di FOTOARTinGARAGE curata da Gianni Biccari con la collaborazione di Emma Cianchi, Veronica Grossi e Ylenia Lessoni.

Per l’occasione abbiamo intervistato Gianni Biccari.

Gianni, sabato prossimo si inaugurerà la IV edizione di FotoArtinGarage, una rassegna partita in sordina e che si è andata affermando anno dopo anno, te l’aspettavi?

Ci contavo, seppure non avrei mai sperato nei modi in cui è avvenuto, soprattutto per quanto concerne l’edizione dello scorso anno: durante i vernissage abbiamo registrato sempre un’enorme affluenza di pubblico, probabilmente dovuta al fatto che all’inaugurazione della mostra abbiniamo una sorta di conferenza per presentare il fotografo e spiegarne il genere.

Qual è il tuo obiettivo?

Non solo quello di creare un polo di attrattiva fotografica in ambito provinciale, ma soprattutto di avvicinare i puteolani alla fotografia visto che la stragrande maggioranza delle persone che inizialmente partecipavano agli eventi erano per lo più napoletani: devo dire che ci sono riuscito grazie a una sorta di joint venture con altre realtà associative del territorio impegnate nell’organizzazione di eventi culturali di altro genere con le quali ci aiutiamo a vicenda nella diffusione degli eventi. […]

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GIUSEPPE PETRARCA E LA SUA “NOTTE NERA”

Di seguito l’intervista pubblicata su QuiCampiflegrei.it

Giovedì 9 luglio a Pozzuoli, nello splendido scenario di Terrazza Lopez con vista sul Tempio di Sarapide, si è presentato il romanzo NOTTE NERA di Giuseppe Petrarca, edito da HOMO SCRIVENS. Dopo l’intervento introduttivo del dottor Carmelo Cicala, proprietario dell’Hotel Neronensis, di cui la “terrazza” è parte integrante, che ha illustrato agli ospiti in sala i progetti in cantiere per il futuro, la serata è stata ufficialmente aperta dal giornalista Ciro Biondi il quale, dopo aver presentato i relatori, ha passato la parola allo scrittore Pino Imperatore presente in qualità di relatore. Sono intervenute: Anna Copertino, Enza D’Esculapio, Ginella Palmieri; letture di Liliana Palermo. A fine serata, durante l’elegante convivio offerto dalla padrona di casa Pasqualina Petrarca, ne abbiamo approfittato per porre alcune domande all’autore.

Giuseppe, Notte Nera è il tuo quarto poliziesco. Ai tuoi romanzi incominci a lavorare solo dopo che hai la trama ben strutturata in mente o le storie si sviluppano man mano che le scrivi?

Io ripeto sempre quel che diceva Giorgio Manganelli: l’autore scrive sotto dettatura. A volte lo scrittore scrive al di fuori di se stesso, della propria esistenza, della propria esperienza personale, in mondi sconosciuti. Ecco perché poi i personaggi prendono strade diverse. Siamo noi che in qualche modo creiamo delle storie che poi nel tragitto narrativo cambiano completamente. Io credo che tutto quello che si scrive all’inizio, anche per quanto concerne le storyboard, ossia le tavole su cui strutturare la storia, non vengono poi seguite pedissequamente. Man mano che vai avanti nella scrittura c’è uno stravolgimento, un itinere continuo ed è questa la cosa più straordinaria che fa della scrittura un’avventura affascinante.

Si dice che scrivere un giallo equivale a impostare e poi risolvere un problema matematico: devi avere tutti i dati per poi riuscire ad arrivare al risultato finale. Quando apponi la parola fine alla storia, vieni mai colto dal dubbio che manchi qualche elemento per renderla credibile come avresti voluto che fosse?

Poiché i miei sono dei gialli atipici in quanto, seppure in maniera maldestra, utilizzo l’architrave del noir – colpi di scena, suspense – perché mi piace accattivare il lettore con le mie storie, in realtà affronto tematiche di fondo etico/sociale che riguardano un po’ tutti noi, per cui, alla fine la soluzione del caso è relativa rispetto ai dubbi che posso aver infuso nel lettore riguardo i mali della società, essendo la storia il pretesto attraverso cui ho modo di affrontare i veri temi che mi interessano. […]

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NANDO PAONE: DA GRANDE VOGLIO FARE L’ATTORE

Di seguito l’intervista all’attore Nando Paone pubblicata su QuiCampiflegrei.it

Attore di teatro e cinema, caratterista per eccellenza, Nando Paone insieme a sua moglie, l’attrice Cetty Sommella, ha istituito a Pozzuoli, presso l’Art Garage, un laboratorio teatrale e, successivamente, ha fondato il Teatro Sala Moliere, proponendo ogni anno un calendario interessante, includendo serate di reading con nomi importanti del teatro italiano come Renato Carpentieri e Alessandro Preziosi.  In questa lunga intervista l’attore racconta i suoi esordi teatrali e cinematografici, parlando del suo rapporto con grandi personaggi dello spettacolo quali Eduardo, Gassman, Bud Spencer, Vincenzo Salemme e tanti altri, non omettendo di narrare aneddoti simpatici.

 Nando quando nasce la tua passione per la recitazione?

Da bambino. La scintilla scoppiò intorno ai 14/15 anni: stavamo andando al cinema – all’epoca andare al cinema non significava andare a vedere un determinato film, ma proprio “andare al cinema”, quel che c’era c’era. Eravamo un gruppo di scugnizzi bagnolesi squattrinati: facevamo la colletta; uno di noi pagava il biglietto, entrava, apriva la porta laterale e gli altri, uno dopo l’altro, s’imbucavano in sala. Ricordo che andammo a vedere L’inquilino del terzo piano, un thriller bello tosto diretto e interpretato da Roman Polansky. Restai incantato dalla sua interpretazione. Il mondo dello spettacolo mi affascinava, ma fino a quel momento ero proiettato verso la costruzione artistica; la scenografia, per intenderci, perché ho sempre reputato che nel campo dell’arte non ci fosse da prendere molto. Infatti, al di là di quel che se ne pensi, questo mestiere ti dà la notorietà ma non la ricchezza. I ricchi son pochi.

Che studi hai fatto?

L’istituto d’arte, sono maestro d’arte. Quindi decisi di fare architettura, ma non mi sono laureato perché, poco dopo che mi iscrissi all’università, iniziai a guadagnare i primi soldi come attore professionista, percependo i contributi. Prima di allora lavoravo in una compagnia cosiddetta primaria, ossia professionale, ma, essendo giovane, poiché credo che all’epoca fosse consentito, non guadagnavo fiscalmente. Per un paio d’anni, precisamente intorno ai diciassette anni, ho lavorato con la compagnia di Mico Galdieri che è stato un eminente personaggio soprattutto del teatro napoletano. In seguito, sempre con la sua compagnia, andammo a fare uno spettacolo a Roma dove venni notato da un’agente cinematografico che, per la cronaca, dopo quarantasei anni è ancora la mia agente, e fu così che iniziai il mio percorso nel cinema. All’epoca, siamo intorno alla fine degli anni settanta, in Italia si faceva tantissimo cinema, circa 300 film all’anno. Su 300, 100 mi richiedevano; su 100, ne interpretavo 6/7.

Nando tu hai lavorato con Bud Spencer: di questo personaggio che rivendicava con orgoglio le proprie origini napoletane, tanto da sottolineare “io non sono italiano, ma napoletano”, che ricordo hai?

 All’epoca in cui lavorammo insieme, lui era letteralmente un divo. Io sono cresciuto con i film di Bud Spencer e Terence Hill tipo LO CHIAMAVANO TRINITÀ, quindi per quelli della mia generazione lui era un mito! Diversamente da quel che si potrebbe immaginare, era un personaggio molto schivo: stava sempre per conto suo con i suoi collaboratori più stretti, non si univa mai alle tavolate di tutti noi. Tuttavia la cosa molto significativa, che poi mi sono spiegato anni dopo sentendolo esaltare la propria napoletanità, io ero l’unico che salutava. Ad esempio, se eravamo radunati nella hall dell’albergo e lui passava, non salutava nessuno. Poi si girava verso di me e mi rivolgeva uno stentoreo “Ué guagliò!” a cui rispondevo prontamente “buongiorno, signor Carlo”, o “buonasera signor Carlo”, suscitando l’invidia degli altri che mi chiedevano “ma perché saluta solo te?”. […}

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CORRADA ONORIFICO, UNA DONNA A SPASSO PER IL MONDO.

Sabato 14 marzo all’ArtGarage di Pozzuoli era in calendario il vernisage della mostra fotografica “Viaggio in Mongolia” di Corrada Onorifico, curata da Francesco Cito. A causa degli eventi pandemici, l’evento è stato rinviato a data da destinarsi. Grazie alle tecnologie digitali, lunedì 18 maggio si è tenuto su Skype, moderato da Francesco Soranno, un incontro in video con Corrada che, dopo aver raccontato di sé, ha presentato gli scatti che avrebbe in parte esposti a Pozzuoli. All’evento ha assistito anche Enzo Giarritiello che l’ha poi intervistata.

Corrada perché, dopo tanti anni, hai deciso di abbandonare
l’attività di regista/documentarista per dedicarti alla fotografia?

Quando sei regista in qualunque caso hai bisogno di un tramite – uno, due cameramen, forse anche tre – in base a ciò che devi fare. La loro presenza ti lega al soggetto con cui devi comunicare, dovendoti confrontare prima con loro e poi con esso. Sia chiaro, io non ho mai avuto alcuna difficoltà a interagire con i membri del mio staff: con loro ho avuto sempre un buon feeling; mi capivano e accontentavano perfettamente. Tuttavia quando inquadri c’è un momento in cui hai bisogno di instaurare un rapporto diretto, non solo con il soggetto ma con l’inquadratura stessa: chi fa fotografia sa benessimo che basta cambiare di pochi gradi l’angolo di osservazione per modificare il momento che si vuole raccontare. Io avevo necessità di farlo anche dal mio punto di vista!

Per quanti anni hai lavorato come regista?

Quindici anni!

Poi una mattina ti sei svegliata e hai detto basta!?

No, era un malessere che mi portavo dentro da tempo; un’insoddisfazione che mi coglieva ogni volta che visionavo il girato. Senza nulla togliere a chi collaborava con me, guardando le riprese non trovavo quello che avevo visto e sentito. Tutto ciò mi frustrava perché in quei filmati non riconoscevo l’intimità che si era creata tra me e il soggetto all’atto che giravamo. Fu allora che, piano piano, mi munii di fotocamera e iniziai a scattare. Seppure agli inizi le mie foto non fossero tecnicamente corrette, secondo me, a livello contenutistico, raccontavano molto più dei video. A quel punto decisi di perfezionarmi tecnicamente attraverso lo studio. […]

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LA BLUES WOMAN ELDA SALEMME SI RACCONTA

Di seguito vi propongo la mia intervista alla cantautrice Elda Salemme pubblicata su quicampiflegrei.it

L’appuntamento con la cantautrice/chitarrista Elda Salemme è a Bacoli nell’attico di famiglia da cui si ammira lo splendido panorama del golfo di Pozzuoli. Classe 1987, Elda ha un curriculum di tutto rispetto: è stata fondatrice del trio vocale al femminile The Drops; ha collaborato con Walter Maioli nel progetto di ricerca sonora ancestrale “Oriental Blues” e in “Synaulia”, spettacolo di musica e danze dell’Antica Roma; è presente nell’album italo-portoghese Mar Da Lua di Mimmo Epifani con la sua versione polivocale di Tarantella Del Gargano; ha scritto per Rah.ma il branoUNA STORIA DA RACCONTARE, vincitore di molti premi in Italia, tra cui “Miglior Inedito” e “Primo Classi­ficato” al Festival della Canzone 2017. Dal 2012 insegna Canto Moderno e Chitarra Base con la passione e la curiosità che accompagnano una continua e instancabile ricerca.

Elda, nonostante tu sia nipote dell’attore/regista Vincenzo Salemme, hai orientato la tua vena artistica verso un campo diverso rispetto a quello che ci si poteva attendere, ovvero il teatro e il cinema, perché?

È stata una scelta naturale. Fin da piccola il mio spazio emotivo, in cui coltivavo la vera me stessa, ha trovato nella musica il suo ambiente naturale. Ritengo che l’arte sia la voce dell’anima, l’espressione della propria interiorità. Se questa voce l’avessi falsata per fini opportunistici, avrei di riflesso tradita me stessa e la mia sensibilità. Il teatro e il cinema mi piacciono, ma il mio mondo è la musica e la canzone; è lì che trovo la mia vera dimensione artistica. Inoltre la musica si è rivelata un’ottima medicina per alleviare, metabolizzare e sublimare le sofferenze e il dolore della vita.

Dunque anche tu ritieni che per un artista la sofferenza sia un concime indispensabile per dare vita al proprio estro creativo?

L’artista che non soffre non penso possa creare. E la sofferenza di un artista è rapportata al suo grado di sensibilità. Più sei sensibile, più soffri, più dai corpo al tuo dolore attraverso l’arte. Per quanto mi riguarda sensibilità-sofferenza-arte sono una triade imprescindibile l’una dall’altra. […]

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GIOVANNI RUGGIERO E LE SUE SCATOLE DEI RICORDI

Nell’ambito della rassegna FotoArtinGarage in corso all’Art Garage di Pozzuoli, sabato 29 febbraio si è inaugurata la mostra fotografica EX MALO BONUM di Giovanni Ruggiero. L’esposizione si protrarrà fino al 13 marzo e sarà visitabile dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 22, e il sabato dalle 10 alle 19.30. Per l’occasione abbiamo intervistato l’autore.  

Giovanni Ruggiero fotografo per passione o per professione?

Sicuramente per passione. Seppure, avendo fatto il giornalista – sono stato inviato speciale per Avvenire per venticinque anni – la fotografia l’ho utilizzata per corredare i miei servizi. Però è una grande passione che nutro da che ero bambino.

Più che foto, le tue opere sembrano delle sculture…

Sì, effettivamente sono difficili da definire. Penso che la chiave di tutto sia rappresentata dalla frase di sant’Agostino che dà il titolo alla mostra, EX MALO BONUM (da male nasce bene). La trovo molto significativa e, soprattutto, piena di speranza.

La foto è già se stessa un ricordo, perché questa ulteriore necessità di serbare il ricordo in un contenitore ad oc?

Seppure ci siamo conosciuti ora, sono pronto a scommettere che anche tu a casa hai una scatola in cui conservi dei ricordi

Sicuramente.

Cosa potrebbe contenere? Una conchiglia, un fiore secco, un tappo di spumante? Quelli sono i tuoi ricordi, i ricordi di Enzo, che mostrerai ai tuoi amici, alle persone più care. Io invece ho deciso di mostrare i miei a tutti, indistintamente. Tu giustamente dici “la fotografia è già se stessa un ricordo”. Ma non richiede elaborazione mentale nella ricostruzione del ricordo. Ad esempio se prendi una foto del natale del 1982 vedi che all’epoca un tuo parente era vivo, un altro non era ancora nato, un altro mancava perché impegnato altrove. Ma se di quel giorno tu prendi un tappo di spumante con su annotata la data di quando fu stappata la bottiglia, devi ricostruire il ricordo. Bene, la fotografia ti dà il ricordo già confezionato.

Mentre tu il ricordo preferisci confezionarlo…

Sì!

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