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IL PESCATORE DI SOGNI

Nell’attesa che l’emergenza sanitaria passi e potremo finalmente tornare – si spera – alla vita di sempre, con un gruppo di amici ci ritroviamo periodicamente in chat per discutere di argomenti vari: oggi la discussione verteva sul SOGNO. Di seguito un mio racconto inedito in cui affronto il tema.

Da quando era andato in pensione, tutte le sere caricava in auto l’occorrente per la pesca e raggiungeva la spiaggia nell’attimo cui il crepuscolo all’orizzonte si infiammava di arancio nell’estremo saluto alla vita.

Quando arrivava sul litorale, sceso in spiaggia, sistemava la sediolina a ridosso della riva, impugnava la canna da pesca, si sedeva e pescava tutta la notte. Terminava allorché i primi riverberi dell’aurora rischiaravano le tenebre.

Quando rientrava a casa, mentre attraversava l’atrio del palazzo in cui abitava, ad accoglierlo trovava sempre il portinaio che gli si avvicinava con aria sardonica; sbirciava nel secchio vuoto e sussurrava: “Anche oggi niente, eh?”

“Come niente? Non vede quanti ittico-oniricos ho pescato questa notte?” rispondeva puntualmente, levando il secchio colmo d’acqua in modo che l’uomo vi guardasse dentro.

Convinto che il pensionato avesse perso qualche rotella, il portinaio l’assecondava, dicendo:

“Come no, se non fa attenzione, mi imbratta il pavimento di pesci!”

Quella scena andò avanti fino a che il pensionato non trapassò.

Il giorno del funerale, il mesto corteo che partì dal palazzo era composto da poche persone. Tuttavia, man mano che attraversava il paese, uno dopo l’altro i cittadini vi si accodavano, seppure non sapessero chi fosse il defunto e, soprattutto, perché lo facessero. Era come se una calamita li attraesse a sé imponendogli di accompagnare il feretro nell’ultimo viaggio. […]

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SENSO DI COLPA

Nell’attesa che l’emergenza sanitaria passi e potremo finalmente tornare – si spera – alla vita di sempre, con un gruppo di amici ci ritroviamo periodicamente in chat per discutere di argomenti vari: oggi la discussione verteva sul senso di colpa. Di seguito un mio racconto inedito in cui affronto il tema.

Quel giorno, mentre in auto rientrava a casa, sentì forte l’impulso di deviare nel viale sterrato che attraversava il bosco. Quell’improvviso cambiamento, per un abitudinario come lui, testimoniava che qualcosa dentro di sé stava cambiando.

Là per là non si rese nemmeno conto di aver imboccata una strada diversa. Solo dopo alcuni chilometri realizzò di trovarsi sulla scorciatoia che percorreva da giovane quando, dopo studiato, andava a lavorare nell’azienda di famiglia. Fu proprio su quel sentiero che anni prima avvenne l’evento che per sempre gli avrebbe cambiato la vita.

All’epoca aveva ventiquattro anni: camminava a passo veloce quando udì un lamento levarsi tra gli alberi. Incuriosito si incamminò in quella direzione. Steso sul terreno, con la schiena poggiata al tronco di un albero, c’era un uomo in tenuta da jogging con la mano premuta sul petto, gli occhi chiusi. Era il proprietario dell’azienda concorrente. Per anni le due ditte s’erano spartite fette di mercato senza mai invadere l’una lo spazio dell’altra.

Avendo un senso degli affari molto marcato, più volte aveva chiesto al padre perché limitare il business a un territorio ristretto quando lo si sarebbe potuto ampliare invadendo quello della concorrenza con un prodotto qualitativamente identico ma di costo inferiore!?

La risposta era sempre la stessa: tutti dobbiamo vivere. Bisogna smetterla con questa blasfemia che il mercato è una guerra e che il concorrente va schiacciato. Ragionando così si corre il rischio di diventare degli assassini! […]

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IL RIVOLUZIONARIO (racconto)

Nell’attesa che l’emergenza sanitaria passi e potremo finalmente tornare – si spera – alla vita di sempre, con un gruppo di amici ci ritroviamo in chat due volte a settimana per discutere di argomenti vari: oggi la discussione verteva sulla libertà. Di seguito un mio racconto inedito in cui affronto il tema.

Fin da ragazzino il suo spirito libero aveva fatto sì che tutti, a cominciare dai famigliari, lo ribattezzassero il rivoluzionario. Quel nomignolo gli piaceva così tanto che, dopo essersi documentato su cosa esattamente significasse, crescendo, adottò un atteggiamento che ne rispecchiasse il significato profondo.

Quel suo modo di essere e di fare fece sì che a scuola fosse inviso ai professori, ma nello stesso tempo fosse ammirato dagli altri studenti. In modo particolare dalle ragazze attratte, come tutte le donne, dai tipi sui generis, che disattendendo le regole e impongono la propria visione di vita.

Tuttavia negli studi eccelleva, costringendo i professori a non poter fare a meno di promuoverlo, seppure con il minimo sindacale, giustificando quella penuria di voti con il fatto che aveva messo il suo intelletto sopraffino al servizio del disordine sociale.

Ogni qualvolta i genitori andavano a scuola per verificarne il rendimento, si sentivano rispondere: è un ragazzo intelligentissimo, peccato sia un ribelle!

Non sapendo se sentirsi lusingati o offesi da quelle dichiarazioni, rientrando a casa dai colloqui, cercavano di parlargli affinché si convincesse a sposare un atteggiamento meno intransigente nei confronti delle regole; rispettando i professori, vittime sacrificali al suo credo libertario, riconoscendone la giusta autorità. […]

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DIGNITÀ (racconto)

Nell’attesa che l’emergenza sanitaria passi e potremo finalmente tornare – si spera – alla vita di sempre, con un gruppo di amici ci ritroviamo in chat due volte a settimana per discutere di argomenti vari: oggi la discussione verteva sulla dignità. Di seguito un mio racconto inedito in cui affronto il tema.

Una delle ultime cose che mio padre mi disse poco prima di spirare fu, “figliolo, nella vita potranno toglierti tutto, tranne la dignità. Quella, se la perdessi, sarà solo per colpa tua! Procurati un gozzo e puoi stare certo che non la perderai mai!”

All’epoca ero poco più che ragazzino. Non appena era libero dal lavoro, papà usciva presto di casa per imbarcarsi sul suo gozzo ancorato a Baia e andarsene a pesca o semplicemente per starsene qualche ora al largo a farsi cullare dal mare mentre leggeva un libro o oziava pigramente con le mani incrociate dietro la testa a fissare le nuvole e il cielo. Quelle rare volte che, su insistenza di mamma, mi portava con sé, non faceva che ripetermi che quel gozzo era il segreto della felicità, sua e nostra.

Pur non comprendendo cosa volesse dire, lo ascoltavo ammirato. Era mio padre, per dio!  […]

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PARADOSSI

La figura di Giuda Iscariota istintivamente suscita ripugnanza, riflettendo il traditore per eccellenza. Eppure egli è fondamentale perché si affermasse la natura divina di Gesù, a prescindere si fosse o no credenti. In questo racconto ho cercato di immaginarmi un dialogo tra i due in cui si mettesse in evidenza tale sua funzione…

Svuotato d’ogni sostanza, il tempo ristagnava come nebbia nella stanza arredata con due sole sedie di legno, disposte l’una di fronte all’altra, rispettivamente occupate da un uomo sereno e da uno triste, entrambi vestiti di niente.

Svuotato d’ogni sostanza, il tempo ristagnava come nebbia nella stanza arredata con due sole sedie di legno, disposte l’una di fronte all’altra, rispettivamente occupate da un uomo sereno e da uno triste, entrambi vestiti di niente.

Fasci di luce, cadenti dal soffitto, avvolgevano le loro figure in opache fluorescenze, esaltandone i contrastanti stati d’animo trasparenti sui loro volti.

 “Rabbi, potrai mai perdonarmi?” – chiese l’uomo triste, fissando la scacchiera di marmo del pavimento.

“Perdonarti di cosa?” – replicò serenamente l’altro.

“Di averti venduto agli uomini come bestia al mercato.”

“Nelle azioni degli uomini dimora la volontà di Dio!”

“Mia madre, povera donna, sarà maledetta in eterno per avermi dato alla luce” – piagnucolò l’uomo triste. Dai suoi occhi il dolore stillava in gocce dense al suolo.

“Eppure il ricordo del figlio ne allevierà la sofferenza dal cuore ogniqualvolta la solitudine busserà alla porta dell’anima” – replicò l’uomo sereno. […]

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AUDIORACCONTO: ESCURSIONE NOTTURNA DA RAGGIOLO AL PRATOMAGNO

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anima

IL RISVEGLIO DELL’ANIMA

Questa notte un sussurro mi ha destato. Ho aperto gli occhi e davanti a me c’era una splendida donna vestita di bianco che mi sorrideva.

“Chi sei?” ho chiesto alzandomi a sedere nel letto, stropicciandomi gli occhi con le mani

“Che importa chi io sia? Quel che conta è se sai chi tu sia!?”

“Sei la morte?” feci spaventato, convinto fosse giunta la mia ora.

“La morte non ti desta per portarti via con sé, la morte ti rapisce per sempre nell’oblio!” rispose lei prendendomi la mano. “Viene” disse attirandomi a sé.

“Dove mi porti?” feci alzandomi per seguirla, la mano stretta alla sua.

“Voglio mostrarti una cosa” rispose avviandosi verso la finestra. Spalancò le imposte e salì sul davanzale.

“Sei impazzita?” mormorai temendo volesse saltare nel vuoto. […]

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surf

A CAVALLO DELLA VITA

Man mano che si avvicinava alla costa, l’onda s’ingrossava sempre di più avvolgendo nel suo abbraccio schiumoso qualsiasi cosa si frapponesse al proprio cammino: pesci, granchi, conchiglie, uccelli, barche, uomini. Per un istante tutto veniva sfiorato e accarezzato dalla sua mano spumeggiante.

In lontananza i surfisti pigramente rosolavano al sole. Vedendola arrivare, si levarono dalle asciugamani per imbracciare le tavole e tuffarsi in mare per andarle incontro. La montagna d’acqua e sale aveva raggiunto un’altezza tale che chiunque fosse riuscito a cavalcarla avrebbe sfiorato il cielo con un dito sentendosi un dio. […]

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antro della sibilla

LA CITTÀ DEI CIMMERI

Il mio nome è Milos, sono primo sacerdote dei Cimmeri, il popolo che ha edificato le proprie città nelle viscere della terra ardente, chiamata Flegrea dagli invasori giunti di là dal mare. L’aggettivo “primo”, diversamente da come potrebbe apparire, non si riferisce al grado del mio ruolo, bensì indica che sono il primo maschio a vestire i paramenti sacri, essendo stati tutti i miei predecessori femmine vergini.

Quando scoprì d’essere incinta di me, dopo che un miscredente abusò di lei mentre era raccolta in preghiera sulla collina, mia madre, Gran Sacerdotessa della Dea, in ogni modo cercò di occultare la gravidanza fasciandosi strettamente il ventre con l’intento di partorirmi di nascosto e affidarmi alle creature del bosco perché nessuno scoprisse il suo peccato.

Una sera, mentre invocava gli spiriti della terra affinché rendessero prospero il raccolto, si accasciò sul sagrato dov’era l’ara sacrificale, premendosi le mani sul ventre in preda alle doglie. Quale oltraggio fu per le vestali che officiavano ai riti scoprire che la Gran Sacerdotessa aveva ceduto all’umana natura. Tuttavia nessuna si dispensò dall’aiutarla a partorire né svelò il suo segreto.

Fino all’età di dodici anni crebbi nel tempio insieme alle vestali, dividendo con loro finanche il sonno. Una notte d’estate fui svegliato da un piacevole languore all’inguine, scoprendomi con un fiume vischioso fluente dal pene in erezione. Pensando si trattasse di una malattia, premurandomi che le pizie non mi vedessero ridotto in quello stato, allarmato corsi da mia madre la quale, dopo avermi accarezzato il viso e pulitemi dolcemente le parti intime con foglie di fico intinte in acqua di fonte per placare l’ansia della gioventù, mi condusse al tempio e, alla luce della luna piena, con un colpo di coltello mi evirò. […]

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UN UOMO FELICE (a mio padre)

All’inizio incontrò la felicità cavalcando l’infinita onda della vita in un oceano di gelatina nutriente.

Attraverso la spirale ombelicale, godeva della frenesia dei sensi di cui era preda sua madre ogniqualvolta il marito la stringeva a se e l’amava dolcemente, accarezzandole i seni gonfi di vita e baciandola con passione, niente affatto inibito dal pancione che ella orgogliosamente mostrava. Entrambi erano consapevoli di rendere partecipe il loro frutto del loro amore della felicità che li univa e d’aiutarlo a crescere felice.

Per nove, lunghi mesi, si avventurò in un mare d’emozione, navigatore solitario, alla scoperta di un mondo oscuro, dove l’eco d’incomprensibili mormorii di dolcezza e amore si dissolveva nell’infinità del sogno.

L’incanto di quegli istanti svanì allorché le acque fluirono attraverso il canale della vita e mani guantate lo strapparono all’oblio.

Riconobbe la felicità nel capezzolo colmo di latte che ogni quattro ore gli si accostava alle labbra. Succhiandolo, riascoltava il ritmo che aveva scandito il lento evolversi della sua esistenza, addormentandosi felice perché il sogno era ripreso. Crescendo, la felicità assunse il gustoso sapore degli omogeneizzati e della crema di riso che si stropicciava, impertinente, su tutta la faccia, suscitando la gioia di quanti lo guardavano pasticciare.

Felicità era infilare le dita nel bicchiere colmo di succo di frutta che sua madre gli porgeva preoccupata, sperando che non lo riversasse sul pavimento appena lavato.

Felicità fu strappare le orecchie ad un cagnolino di pezza regalatogli dai nonni per la sua festa, o schizzare l’acqua mentre faceva il bagno circondato da pesciolini di plastica e anatroccoli di gomma. […]

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