ITALIANI, UN POPOLO DI CT E DI COSTITUZIONALISTI

Che noi italiani fossimo tutti ct della nazionale di calcio è cosa ben nota da tempo immemore. Che fossimo altrettanti esperti di Diritto Costituzionale lo stiamo scoprendo da domenica 27 maggio 2018, ossia da quando il PdR Sergio Mattarella ha risposto no al professore Giuseppe Conte, Premier incaricato per conto del M5S-Lega, alla nomina del professor Savona quale Ministro dell’economia nel governo del cambiamento targato appunto M5S-Lega.

A riguardo non so se ridere o piangere. Non vorrei sbagliare ma, almeno alla mia epoca, a partire dalle scuole medie, ricordo distintamente come noi studenti aspettavamo con ansia sia l’ora di religione che quella di educazione civica perché erano quelle in cui non si faceva praticamente nulla o poco più. Spesso con la tacita complicità dei professori che, consapevoli dello stringato valore delle loro materie ai nostri sguardi, anziché imporsi affinché seguissimo con attenzione la lezione, sembrava ne approfittassero per riposare. Magari  leggendo qualche passo del vangelo a quei pochi che restavano in classe, nel caso del professore di religione. Oppure non indignarsi perché in pochi avevano studiato un capitolo inerente la costituzione, rileggendolo tutti insieme o magari parlando d’altro nell’attesa suonasse la campanella.

Come dicevo, da domenica 27 maggio 2018, precisamente dalle ore 19 di quel fatidico giorno, grazie soprattutto ai social network, stiamo all’improvviso scoprendo che gli italiani, oltre a essere esperti di calcio,  sono anche esperti costituzionalisti, nessuno escluso. Partendo da totonno ‘o baccalaiuolo a tinella ‘a cammesara. Con tutto il rispetto per chi vende il baccalà e chi cuce le camice.

Gente che in vita sua non ha mai aperto un libro di diritto, se non addirittura un libro in generale, senza alcun pudore né umiltà all’improvviso si mette  a disquisire con accanimento sul comportamento del Presidente della Repubblica; attaccandolo, se ha votato M5S o centrodestra; difendendolo, se invece ha votato Pd o gli altri partiti di centrosinistra. Ripetendo pedissequamente, ovviamente a parole sue, il senso di  quanto letto o, soprattutto, ascoltato in televisione sostenere dagli “esperti”, quelli veri, di diritto costituzionale i quali per primi, avendo in merito pareri dissonanti, vuoi per formazione politica, vuoi per formazione intellettuale, stanno dimostrando quanto si presti all’interpretazione del singolo la nostra Costituzione. Perfino quegli stessi che formarono un fronte unito e compatto per difendere la Carta dalla riforma Boschi-Renzi, poi bocciata dagli italiani con la vittoria del No al referendum del 4 dicembre 2016, oggi sono in contrapposizione tra di loro nel giudicare l’operato di Mattarella.

Se a ciò aggiungiamo che, dopo il suo no a Savona al mistero dell’economia, il leader del M5S Luigi Di Maio invocò l’impeachment per il PdR, ritornando successivamente sui propri passi come un agnellino, probabilmente catechizzato da Grillo e dalla Casaleggio Associati per l’enorme cantonata presa,  è evidente che in un simile ammasso di opinioni contrastanti, a partire da ambienti in cui si dovrebbe trovare la massima chiarezza, anche l’uomo della strada alla fine si sente autorizzato a dire la sua. Male che vada condividerà la cazzata con un esimio costituzionalista. Ti pare poco?

Per carità, ognuno in democrazia è libero di dire ciò che pensa, seppure si trattasse di cazzate. Ma così come in tanti abbiamo il buon senso di recarci dal medico quando accusiamo dei sintomi per capire cosa c’è che non va nel nostro organismo, non limitandoci a farci le auto diagnosi via web – purtroppo c’è chi fa anche questo -, anche per quanto sta accadendo in queste ore nei palazzi della nostra politica, dovremmo tacere; o quanto meno sussurrare, anziché urlare a squarciagola, inveendo contro “questo” e contro “quello” per non fomentare gli esaltati politici che in maniera trasversale si annidano in ogni schieramento politico e non aspettano altro per liberare la loro natura repressa inscenando scontri di un’indicibile violenza verbale cui è difficile alla lunga non possa seguire quella materiale.

Un conto è commentare la nazionale di calcio  – a riguardo Churchill affermò, “gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio“-; tutt’altra cosa è invece disquisire con presuntuosa sicumera di argomenti di cui non si conosce nemmeno l’abc. Almeno del calcio, l’abc lo conosciamo un po’ tutti.

Se dunque in tanti avessimo l’umiltà di tacere in un momento così drammatico per il paese, dove chi, si presume, dovrebbe saperne molto più di noi a sua volta sta dimostrando di non capirci una mazza, non faremmo male. Almeno eviteremmo di fare la figura degli asini che si ostinano a coprirsi le orecchie per sembrare cavalli: quando sarà il momento di nitrire, il verso che emetteranno li qualificherà per ciò che realmente sono.

Il problema è che, mai come ora, le orecchie coperte sembra le avessero anche quelli che fino a ieri ci apparivano invece come cavalli di razza!

E SE DI MAIO FOSSE CASCATO NELLA RETE DI BERLUSCONI/SALVINI?

La politica è una “cosa” maledettamente seria. Non a caso esiste la facoltà universitaria di Scienza Politiche.

Faccio questa breve premessa perché, dopo che ieri sera il premier incaricato di formare il governo del cambiamento targato M5S-Lega, professor Conte, ha rimesso il mandato al Presidente della Repubblica visto che non c’era verso di convincere Salvini e Di Maio a sostituire nella lista dei ministri al Ministero dell’Economia il nome del professor Savona, inviso ai vertici europei per il suo scetticismo sull’Europa e sull’euro, con quello del vice della Lega Giorgetti, come suggerito dallo stesso Mattarella, in tanti si stanno lanciando in proclami e invettive contro il Presidente della Repubblica accusandolo di aver messo in atto un golpe per conto dell’Europa per evitare che i populisti andassero al governo e rompessero le uova nel paniere all’establishment e alle banche.

Diversamente dal mio essere per natura istintivo e precipitoso nei commenti su questioni complesse come quella in esame, mai come questa volta credo che tutti dovremmo cercare di tenere a bada gli euforici furori rivoluzionari e chiederci semplicemente perché Salvini, anziché accettare il suggerimento del Presidente della Repubblica, abbia fatto saltare il banco, mandando all’aria un’estenuante lavoro di settimane, come egli stesso ha ammesso, in stile Berlusconi ai tempi della bicamerale.

Mattarella, pur tra mille perplessità come egli stesso ha poi ammesso in conferenza stampa, aveva accettato la candidatura a Premier del non eletto professor Conte, andando contro i dettami costituzionali. A questo, punto perché forzargli ulteriormente la mano con la candidatura di Savona, quando egli stesso, dal primo istante che il nome era iniziato a circolare, aveva espresso le proprie perplessità su quella candidatura?

Se, paradossalmente, il Presidente della Repubblica avesse indicato al posto di Savona una propria preferenza che non facesse parte né del M5S né della Lega bensì di uno schieramento diverso, l’arrabbiatura di Salvini sarebbe stata comprensibile. Ma visto che Mattarella aveva indicato come alternativa il vice di Salvini, si resta stupiti sulla rabbiosa reazione del leader leghista.

Si resta talmente stupiti che di riflesso è difficile non immaginare scenari di fantapolitica, tipo che Salvini non avesse mai veramente voluto fare un governo con il M5S; che si fosse trattata di una sceneggiata ben architettata per attirare il M5S in una trappola al fine di screditarlo agli occhi dell’elettorato, dimostrando che non è in grado di gestire le redini di una discussione di governo.

È vero, ieri sera Salvini ha definito seri e affidabili i cinque stelle. Eppure le sue parole non convincono. Il motivo, come ebbi già modo di scrivere in tempi non sospetti, è l’incombente presenza di Berlusconi, leader di FI. Alleato di Salvini e della Meloni con cui ha dato vita alla coalizione di centrodestra vincitrice delle elezioni.

In tanti, non solo gli addetti ai lavori, ci eravamo stupiti quando apprendemmo che, dopo averne dette peste e corna sul M5S, Berlusconi desse via libera a Salvini di provare a dare vita a un governo con i cinque stelle. Anche perché molti punti del programma di governo del M5S erano palesemente antiberlusconiani; partendo dalla giustizia, al conflitto di interessi, alla lotta alla corruzione e all’evasione fiscale.

Tutti, sorpresi, ci chiedemmo cosa bollisse in pentola perché l’ex cavaliere cambiasse strategia nei confronti del M5S e di Di Maio. Credemmo di trovare la spiegazione nella riabilitazione concessagli dal tribunale del riesame di Milano, rendendolo candidabile da subito e non dal prossimo autunno. Una sorta di dare/avere affinché il paese avesse un governo politico.

Dopo quanto è avvenuto ieri, la sensazione è che Salvini – impossibilitato a staccarsi da Berlusconi per vicende pregresse che vedono protagonisti la Lega di Bossi e il leader di FI, i quali, stando a quanto si vocifera, avrebbero nel 2000 stipulato un contratto di alleanza politica davanti a un notaio in cui Berlusconi si impegnava a sanare le indebitate casse del carroccio, divenendo proprietario del simbolo e dunque padrone a tutti gli effetti – abbia funto da cavallo di troia per logorare agli occhi dell’opinione l’immagine del M5S, sfasciando come da copione concordato con il leader di FI il rapporto politico con i cinque stelle in prossimità del traguardo. Mandando tutto all’aria al grido di golpe da parte di Bruxelles. Quando invece non aveva mai avuto davvero intenzione di fare un governo con il M5S.

Non ci si dimentichi che l’elezione di Mattarella al Quirinale fu il pretesto per cui Berlusconi, almeno apparentemente, ruppe il Patto del Nazareno con Renzi.

Sia la bicamerale, sia il Patto del Nazareno, sia ora il contratto di governo Lega-M5S, sono stati sfasciati in prossimità del filo di lana, lasciando tutti perplessi.

L’immagine simbolica che sovviene per spiegarci quanto è avvenuto ieri è quella del padrone(Berlusconi) che mentre tiene al guinzaglio il proprio cane, (Salvini), gli dà corda come se fosse libero da vincoli. Ma al momento opportuno, quando il cane sta per fare o toccare ciò che il padrone non vuole, tira a sé prontamente la corda tirandosi appresso il cane.

Personalmente non so, né credo, che Mattarella abbia agito in maniera anticostituzionale come in tanti strepitano sui social.

Molto più probabile che il M5S, nella fattispecie Di Maio, sia caduto ingenuamente in una trappola tesagli da chi, rispetto a lui, di politica ne mastica da oltre un ventennio. E da cui non ha saputo né potuto uscirsene perché altrimenti avrebbe dovuto dare spiegazioni al proprio elettorato, ammettendo la propria ingenuità, per non dire incapacità, di capire cosa realmente volesse chi stava dall’altro lato del tavolo.

È vero che il governo Cottarelli rischia di arenarsi al momento in cui il Parlamento dovrà votargli la fiducia, avendo M5S+Lega la Maggioranza e dunque si presume che gli voteranno contro.

Ma non si può escludere che, dopo quanto è successo ieri, quella stessa maggioranza si sfaldi e, contrariamente alle aspettative, il governo Cottarelli abbia la fiducia parlamentare per senso di responsabilità di forze politiche sulla carta avverse, e inizi a lavorare, traghettando il paese verso nuove elezioni in autunno o al massimo nella primavera 2019.

Ultima cosa: non è affatto vero che il Presidente della Repubblica non può preferire un nome a un altro presente nella lista dei ministri che gli viene presentata dal Premier incaricato: Pertini disse no a Cossiga su Darida alla Difesa (1979); Scalfaro a B erlusconi su Previti alla Giustizia (1994); Ciampi a Berlusconi su Maroni alla Giustizia; Napolitano a Renzi su Gratteri alla Giustizia (2014).

Come si vede, chi sostiene che Mattarella, dicendo no a Savona, ha infranto la Costituzione dice un’inesattezza.

A impuntarsi su Savona è stato Salvini. Bastava dicesse sì a Giorgetti e ora il governo del cambiamento era già partito.

E invece, per ora, il cambiamento non ci sarà!

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE FICO

Egregio Sig. Presidente Roberto Fico,

che Le scrive è un convinto elettore del M5S, come può confermarle chiunque mi conosce.

Seppure consapevole che con questa dichiarazione mi attirerò addosso il pubblico ludibrio, reputo indispensabile tale premessa, in relazione al motivo che mi spinge a scriverle.

Ieri, durante la commemorazione del 26° anniversario della strage di Capaci, cui la S. V. ha partecipato in qualità di terza carica dello Stato, all’atto dell’intonazione dell’Inno di Mameli, anche se solo per pochi secondi, diversamente dagli altri rappresentanti istituzionali presenti, Lei ha infilato le mani in tasca come se stesse aspettando il tram. Cosa non permessa nemmeno ai bambini dell’asilo in maniera che fin da piccoli imparino a rispettare i simboli dello Stato e chi lo rappresenta.

Capisco che il momento particolarmente suggestivo l’ha così coinvolta al punto da compiere un gesto istintivo, per poi correggersi subito dopo.

Purtroppo per Lei quei pochi secondi sono bastati perché gli avversari politici del M5S sparassero a zero sulla Sua  persona, insinuando che Le manchi il senso dello Stato. Dimenticando che in un passato nemmeno troppo lontano c’è stato chi, pur ricoprendo l’incarico di Presidente del Consiglio, non si premurava di fare le corna con le dita durante la foto di gruppo in un summit internazionale o farsi rimproverare dalla Regina Elisabetta perché urlava ad alta voce “mister Obama” per attirare su di sé l’attenzione del neo letto primo presidente americano di colore; o addirittura giustificava la presenza di una minorenne marocchina alle proprie “cene eleganti”, sostenendo d’essere convinto che la ragazza fosse davvero la nipote di Mubarak, come lei stessa gli aveva confidato. Peccato che Mubarak fosse egiziano – le confusioni storiche o geografiche dei leader politici italiani si perdonano a tutti tranne a voi, Di Maio docet. Trovando questa farsesca giustificazione il ridicolo appoggio dell’intera maggioranza di governo la quale compatta, con un voto alla Camera, non si vergognò di confermarla pur di difendere il proprio leader.

Le ricordo solo alcuni dei tanti episodi clowneschi o vergognosi che hanno contraddistinto un’epoca di cui a lungo come italiani dovremmo vergognarci. Non per giustificarLa ma perché, essendosi il M5S presentato come forza antisistema con l’intento di risollevare il paese dalle macerie in cui l’ha gettato la vecchia politica, non potete consentirvi certe cadute di stile, seppure inconsciamente.

Chi governa deve essere sempre lucido, anche in momenti dove alta è l’emotività, tipo l’ebvento cui Lei ha presenziato, perché sulle spalle di chi governa o rappresenta lo Stato poggia il destino della nazione e dei cittadini. Tale responsabilità non ammette margini, seppur minimi, di distrazione emotiva.

È vero, siamo uomini e, di conseguenza, soggetti a un’altalena di sentimenti e emozioni che spesso prevalgono sulla ragione facendoci fare o dire cose che mai avremmo detto o fatto se fossimo stati padroni di noi stessi. Ma mi hanno anche insegnato, e credo lo abbiano insegnato anche a Lei, che chiunque ricopra una funzione pubblica, seppure fosse un poliziotto municipale, deve anteporre alla propria personalità privata il ruolo che interpreta professionalmente in quanto, nel momento in cui si è nell’esercizio delle proprie funzioni, a prevalere è sempre la divisa mai l’uomo!

Da uomo delle istituzioni, mi dispiace dirlo, Lei quelle mani in tasche, anche se per un solo secondo, non avrebbe mai dovuto infilarle. Meglio se le avesse tenute dritte ai fianchi, come poi successivamente ha fatto, o addirittura se ne avesse portata una sul cuore come Leonluca Orlando alla sua sinistra.

Per carità, ha fatto bene a giustificarsi su Facebook, scrivendo alla fine del post in cui ha raccontato la Sua giornata palermitana: “Il rispetto per il Paese passa da qui (Montecitoriondr), da quello che noi facciamo ogni giorno, dalla dignità che con le nostre azioni diamo alle istituzioni. Ma capisco che faccia più notizia una mano tenuta in tasca per sei secondi mentre ero assorto da tutta quell’energia e da quelle emozioni, piuttosto che tutto quanto detto e fatto in questa meravigliosa giornata. Preferisco una mano in tasca per qualche secondo alla mano sul cuore di chi poi tradisce lo Stato.”

Come non darle ragione?

Tenga tuttavia presente che nella società mediatica in cui viviamo nulla passa in sordina; che è molto facile gettare fango su un avversario o su chi ci sta semplicemente antipatico. Le immagini di Lei con le mani in tasca mentre viene suonato l’inno nazionale hanno fatto e stanno facendo il giro del mondo attraverso il web, i telefonini e i telegiornali. Si immagini che esempio possono essere per i ragazzini? Per combattere il bullismo, educando i nostri figli al rispetto del prossimo, delle istituzioni e di chi le rappresenta – ad esempio gli insegnanti, categoria quanto mai sotto attacco in questo ultimo periodo da parte di alunni e genitori – bisogna che tutti contribuiamo a impegnarci nel diffondere esempi costruttivi. Anziché alimentare fantasie “eversive”, (spero mi passerà questo termine alquanto esagerato, me ne rendo conto).

Che rispetto può maturare un ragazzino verso lo Stato, i simboli e le persone che lo rappresentano nel vedere il Presidente della Camere che ascolta l’inno nazionale con le mani in tasca?

Istintivamente non potrebbe sentirsi autorizzato a fare altrettanto durante una manifestazione pubblica cui partecipa con la scuola? E quando la maestra o un professore lo ammoniranno perché assuma un atteggiamento rispettoso, non è presumibile possa rispondere, “lo fa il Presidente della Camera, perché non posso farlo io?”.

So bene che l’esempio è estremizzato. Ma reputo che, sebbene a sua difesa sono intervenuti Pietro Grasso e Maria Falcone sorella del magistrato ucciso dalla mafia, un gesto del genere, seppure involontariamente, non andava fatto. È una caduta di stile!

Mi auguro che per il futuro la Sua indiscussa sensibilità e serietà non La inducano a compierne altri gesti dissonanti dal “cerimoniale” e dal Suo ruolo, facendo il gioco di chi non vede l’ora di tacciare di dilettantismo, incapacità e mancanza di senso dello Stato il M5S e i suoi rappresentanti istituzionali,al fine di screditarli agli occhi dell’opinione pubblica.

In questo paese dalla memoria corta, si è portati a guardare e a indicare con indignazione la pagliuzza nell’occhio del vicino invece della trave infissa nel proprio. E la cosa più grave è che la gente quasi sempre abbocca all’amo, dimenticandosi che chi inveisce contro “nuovi barbari” fu lo stesso che causò il male del paese, dando occasione a quegli stessi barbari di fare breccia nelle speranze della gente.

Se non erro fu proprio Giovanni Falcone ad affermare “Se poni una questione di sostanza, senza dare troppo importanza alla forma, ti fottono nella sostanza e nella forma.”

Egregio Signor Presidente,

La prego, la prossima volta faccia più attenzione!

Con assoluto rispetto,

Vincenzo Giarritiello

ROSATELLUM: LA CAUSA DI OGNI MALE, CON IL SENNO DEL POI

Ieri sera, mentre facevo zapping col telecomando del televisore alla spasmodica ricerca di un programma che mi aiutasse a rilassare dallo stress mentale conseguente a un periodo personale non proprio roseo, mi sono imbattuto in Di Martedì in onda su La Sette. Esattamente mi sono sintonizzato nel momento in cui Ettore Rosato del PD, l’ideatore del rosatellum, controbatteva a Massimo Giannini di Repubblica il quale attribuiva lo stallo politico che stiamo vivendo, dopo oltre settanta giorni dalle elezioni, all’impianto del rosatellum. In particolare Giannini, senza se e senza ma, ha accusato Rosato, e dunque il PD, di aver partorito “quella legge elettorale” perché certi che dalle urne sia il Pd che FI avrebbero ottenuto un risultato migliore rispetto alla debacle registrata; con il proposito, all’indomani del voto, di allearsi tra di loro e dare vita a un governo PD-FI, facendo fuori sia il M5S che la Lega.

Come invece sono poi andate le cose lo sanno tutti: gli elettori hanno punito sia il Pd che FI, premiando M5S e Lega!

A supporto di Massimo Giannini è intervenuta Concita De Gregorio la quale, a Rosato che cercava di smentire la tesi del vice direttore di Repubblica sostenendo che anche con leggi elettorali diverse ci sarebbe stato un simile stallo essendosi instaurato nel paese un tripolio politico, ha dichiarato che era evidente che la legge elettorale era stata ideata per sfavorire il M5S.

Ovviamente Rosato ha negato ciò, suscitando la reazione della giornaliste la quale ha affermato: sono trent’anni che seguo la politica e so per certo che le leggi elettorali vengono fatte per sfavorire gli avversari!

Stanco di tale querelle, ho cambiato canale. Non potendo però non provare per un istante solidarietà verso Rosato: se lui fu l’ideatore del rosatellum, è altresì vero che da più parti si sosteneva che così, com’era strutturato, non avrebbe partorito una maggioranza in grado di governare ma un caos politico. Così come è altrettanto vero che, malgrado tali perplessità, l’approvazione della legge elettorale avvenne con ben 5 voti di fiducia, rispetto a un’ampia discussione parlamentare che coinvolgesse tutte le forze politiche come previsto dalla Costituzione.

Domanda: perché solo ora una “certa” stampa si scaglia contro il rosatellum, il suo ideatore e il Pd che la sostenne, evidenziandone i tanti aspetti negativi  e i rischi derivanti?

LEGA-M5S: DOPO TANTI OTTIMISMI, UN PO’ DI PESSIMISMO NON GUASTA

Per comprendere la diffidenza con cui oggi tanti italiani, sottoscritto incluso, guardano alla nascita di un eventuale governo Lega-M5S – fondando le proprie perplessità sia su quella che molti ritengono una strana “alleanza”, (malgrado Di Maio si affanni a negare si tratti di un’alleanza bensì di un vincolo contrattuale finalizzato al bene del paese, di alleanza si tratta in quanto due parti distinte che stipulano un contratto di collaborazione si associano tra di loro, dunque si alleano alla realizzazione di un fine comune); sia leggendo le continue bozze dell’ipotetico contratto di governo stipulato dalle controparti, diffuse quotidianamente, anche più volte al giorno, dagli organi di informazione – penso si debba ricordare l’entusiasmo con cui circa sette anni fa una buona fetta di paese esultò alla caduta dell’ultimo governo Berlusconi. Allora alcuni si recarono addirittura a brindare sul Piazzale del Quirinale per ringraziare il Presidente Giorgio Napolitano, ritenendolo principale artefice della disfatta politica del cavaliere, unitamente alla troika europea la quale, valutando inefficaci le manovre finanziarie di quel governo, inviò una lettera all’esecutivo in cui gli assegnava praticamente i compiti da fare a casa, indicandogli nei dettagli quello che bisognava fare. Una mortificazione sena precedenti!

Spaventanti dallo spread – parola fino a quel momento ignota a tanti di noi, che sfondava quota 500 rendendo il paese in balia della speculazione finanziaria – e dalle varie cassandre che, attraverso i giornali e i telegiornali, delineavano foschi presagi per il paese se non si fosse intervenuti in tempo seguendo le direttive europee con un governo diverso da quello in carica, magari a guida Monti, ecco che agli occhi di tanti, all’improvviso, un emerito sconosciuto, ovviamente per i non addetti ai lavori, dal nome Mario Monti assurse a emblema di salvatore della patria.

Ascoltare l’illustre professore parlare di equità sociale durante le interviste che rilasciava nei vari programmi di approfondimento giornalistico cui interveniva, suonava alle orecchie dei più come una dolce melodia di speranza.

Come siano poi andate veramente le cose, una volta che Monti diede vita al proprio governo tecnico lo sanno bene quelle centinaia di migliaia di tanti italiani che dall’oggi al domani videro distrutti in un colpo solo i propri sogni pensionistici, dopo aver perfino concordato un abbandono anticipato del lavoro, a causa della famigerata legge Fornero che modificò in meno di quindici giorni, un record per il nostro paese, l’impianto pensionistico, originando il fenomeno degli esodati, né carne né pesce, ossia troppo giovani per la pensioni, troppo vecchi per riposizionarsi sul mercato del lavoro. Legge Fornero la cui modifica è prevista nel contratto di governo tra Di Maio e Salvini per agevolare l’uscita dal lavoro di chi ha una certa età di servizio e anagrafica per fare spazio ai giovani.

Così come ci entusiasmammo, per poi pentircene amaramente, per l’avvento del governo Monti, così ora siamo molto scettici nei confronti di un possibile governo Lega-M5S. Scetticismo dovuto al fatto che fino a “ieri” i due partiti se ne dicevano di cotte e di crude; mentre Salvini inveiva contro i meridionale fannulloni e puzzolenti, auspicando la secessione del nord dal resto del paese e ora si candida a sua volta a paladino della patria e dei meridionali…

Viste le precedenti speranze di riscatto nazionale, Renzi incluso, poi trasformatesi in iattura per noi cittadini “normali”, questa volta teniamo a freno il pessimismo e incrociamo le dita. Magari davvero un governo Lega-M5S, contrariamente a quanti in molti pensiamo, potrebbe rivelarsi un bene per il paese.

Male che vada, così come avvenne prima per Monti che, dopo l’esperienza a Palazzo Chigi, fondò un proprio partito, Scelta Civica, sparito nel nulla, e poi per Renzi la cui guida del governo si è rivelata decisiva per il dimezzamento dei voti del Pd nell’arco di 4 anni, alle prossime elezioni li puniamo non votandoli.

Seppure i nostri amati politici ci hanno tolto il diritto di sceglierci i parlamentari, abbiamo ancora la facoltà di votare la lista. Fino a quando, non si sa!

SU DI MAIO E SALVINI ALEGGIA L’OMBRA DEL CAIMANO

Stando alle cronache di ieri mattina riportate dai giornali e dai telegiornali, sembrava praticamente cosa fatta l’accordo di governo Lega-M5S. Addirittura, prima che le delegazioni dei rispettivi partiti salissero nel pomeriggio sul Colle per riferire a Mattarella, pare che Di Maio e Salvini si fossero nuovamente incontrati per mettersi d’accordo su cosa dire al capo dello Stato per evitare di cadere in contraddizione l’uno con l’altro.

Chi ha poi seguito la conferenza stampa tenuta da Di Maio all’uscita dall’incontro con il Presidente, avrà certamente notato con quanta soddisfazione il capo del M5S comunicava ai giornalisti di aver chiesto ancora qualche giorno al Presidente per mettere a punto gli ultimi dettagli del contratto di governo e la puntualizzazione che, di comune accordo con Salvini, nessun nome sarebbe stato fatto ai giornalisti riguardo al probabile candidato premier né per gli eventuali ministri. Contraddicendo se stesso visto che alcuni giorni prima delle elezioni lo stesso Di Maio si presentò al colle con la lista dei ministri di un presunto governo M5S già pronta per mostrarla a Mattarella che delegò altri all’incontro.

In pratica il pacato ottimismo mostrato davanti alle telecamere dal leader pentastellato lasciava presagire che davvero mancasse poco all’accordo con la Lega.

A raffreddare le speranze, l’aria grigia con cui Salvini, uscendo dalle consultazioni con Mattarella, si è rivolto ai giornalisti: dalle sue parole si è subito capito che qualcosa doveva essere andato storto; che, all’atto in cui ci si era trovati al cospetto con Mattarella, le cose avevano assunto una piega diversa da quanto gli accordi con Di Maio, e forse con lo stesso Presidente Mattarella, lasciassero supporre.

Fatto sta che, contenendo a stento la propria irritazione, Salvini ha fatto capire che qualcuno aveva infranto i “patti”, che lui non ci sta a governi fantoccio.

Al momento nessuno sa con certezza, nemmeno i “retroscenisti” dei grandi giornali, cosa sia esattamente successo nella sala delle consultazioni, prima tra Di Maio e Mattarella e poi tra il Presidente e Salvini.

Da quello che si può immaginare, visti gli umori discordanti dei due leader all’uscita dai colloqui, c’è da presumere che durante gli incontri Mattarella possa aver posto dei veti sul nome del probabile premier o di qualche ministro, magari su quello della giustizia, o chiesto modifiche incisive al programma di governo. Istanze che avrebbero trovato sostegno nei pentastallati, forse perché loro stessi non erano tanto convinti sia sui nomi che su parte del programma; suscitando invece il malcontento in Salvini, e indirettamente di tutto il centrodestra: non a caso il leader leghista a un certo punto, rivolgendosi ai giornalisti, ha chiamato in causa il presidente Berlusconi e il Presidente Meloni a conferma che il centrodestra è tutt’altro che diviso per via dell’accordo di governo della Lega con il M5S.

Sembra che questa mattina le delegazioni di Lega e M5S torneranno a incontrarsi ma senza i rispettivi leader. Un segnale che non lascia presagire nulla di positivo.

Dato che da sabato mattina Silvio Berlusconi è stato riabilitato dal tribunale del riesame di Milano per cui può già essere candidabile – lo sarebbe stato comunque tra sei mesi – c’è chi, dietro quest’improvviso cambiamento di umore di Salvini, non esclude si nasconda l’ombra del caimano il quale sarebbe proprietario del simbolo della Lega, come ha raccontato Gigi Moncalvo ex direttore de La Padania, e dunque terrebbe per il guinzaglio il leader leghista.

Al di là delle ipotesi tutte da verificarsi, forte è la sensazione che, nella foga di voler andare a ogni costo al governo, il M5S possa essere caduto vittima di un tranello tesogli da Berlusconi il quale, come già fece in passato con D’Alema per la bicamerale e poi con Renzi per il Patto del Nazareno, anche questa volta, all’ultimo minuto, quando ormai i giochi sembravano fatti, dopo aver dato il via libera a Salvini per un contratto di governo con il M5S, abbia deciso di far saltare il tavolo delle trattative imponendo la propria volontà e interessi su tutto e su tutti; dimostrando che nessuno può sopravanzarlo; che, politicamente parlando, in Italia non si muove foglia se non lo vuole lui.

L’ombra del caimano aleggia su tutto e su tutti!

 

LA DEMOCRAZIA E’ IN AGONIA

E alla fine, tanto che fecero, la 18° legislatura partirà, se partirà, con un governo a tempo determinato imposto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il quale, preso atto che dopo sessanta giorni dall’esito del voto, non esiste una maggioranza parlamentare in grado di garantire la formazione di un esecutivo politico, stanco delle vane rassicurazioni di Salvini, Di Maio di essere pronti a governare insieme o col PD – questa ultima possibilità la sosteneva il leader grillino come alternativa a Salvini – ha deciso di intervenire in prima persona per dare al paese un governo con scadenza a dicembre 2018, nemmeno fosse uno yogurt.

Sempre che tale governo trovi il sostegno parlamentare – Di Maio ha già fatto sapere che il M5S non sosterrà alcun governo tecnico o del Presidente – diversamente si dovrà andare nuovamente al voto. Quando? Non si sa! Stando a quanto si legge o si ascolta, Salvini e Di Maio vorrebbero andare alle elezioni già a luglio, dando vita a una sorta di ballottaggio tra Lega e M5S. Cosa impossibile in quanto non si rispetterebbero i 60 giorni necessari previsti dalla legge per il preavviso elettorale da dare agli italiani all’estero. E poi ci sarebbe il pericolo che cadendo le urne in piena estate, ciò scoraggi gli italiani dal recarsi ai seggi, incrementando ulteriormente il numero degli astenuti, sempre più il primo partito italiano.

La seconda la seconda soluzione sarebbe quella di votare in autunno. Ma anche questa non andrebbe bene in quanto entro quella data bisogna varare la finanziaria per scongiurare l’aumento dell’IVA. Meglio dunque un governo che duri fino alla fine dell’anno, giusto per portare avanti le incombenze internazionali e finanziarie e poi andare al voto, magari nella prossima primavera se non prima.

Ok, vada per questa scelta. Ma con quale legge elettorale, visto che perfino molti che votarono la fiducia al rosatellum oggi attribuiscono lo stallo politico in corso all’attuale legge elettorale?

La sensazione è che, una volta insediatosi, il cosiddetto governo del Presidente durerà più del previsto; almeno fino a quando i partiti sconfitti dalle urne il 4 marzo, FI e PD, non riusciranno a rifondarsi e a riacquistare credibilità nel proprio elettorato, recuperando parte dei milioni di voti persi confluiti nella Lega e nel M5S.

Tuttavia c’è da scommettere che, tra i due vincitori, chi avrà vita dura sarà il M5S, seppure con i numeri che ha può fare un’opposizione intransigente, mettendo in seria difficoltà il governo quando si tratterrà di votarne i provvedimenti in Parlamento. Per quanto concerne la Lega, invece, è presumibile che Salvini ingoi il rospo e segua, senza colpo ferire, Berlusconi, tenuto conto che, dopo le reiterate promesse di dare in breve tempo un governo al paese con l’appoggio del M5S, il leader leghista ha dovuto rivedere la propria decisione visto che Di Maio non ne vuole sapere di fare un governo con dentro FI, mentre Berlusconi non solo non vuole saperne del M5s ma non vuole essere subalterno a Salvini né a chiunque vorrebbe imporre le proprie scelte politiche senza tenere conto di quelle dell’ex cavaliere.

L’unica certezza è che, alla fine, qualunque governo si faccia, sarà un governo che non rifletterà la volontà espressa nelle urne.

Ma ormai noi italiani ci stiamo sempre più abituando che la nostra volontà elettorale venga disattesa ogni qualvolta infrange gli interessi dei partiti di vecchio stampo o contrasti i dettami dell’Europa, dei mercati e delle lobby, ( vedi alcuni referendum tipo quello per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, da lì abolito dalla volontà popolare e da lì ripristinato sotto forma di rimborsi elettorali dai partiti; quello che decretò che l’acqua doveva restare pubblica e invece l’hanno comunque privatizzata; quello per le trivellazioni a mare, osteggiato sia dal Presidente della Repubblica Napolitano sia da quello del Consiglio Renzi; il referendum del 4 dicembre 2016 che bocciò la riforma costituzionale Boschi/Renzi e che, malgrado tutto, i partiti, Pd in testa, vorrebbero invece realizzare a ogni costo perché, a loro dire, sarebbe necessaria per il bene del paese…).

Con buona pace per la democrazia che in Italia sta lentamente assumendo sempre più i contorni di mera un’utopia!

E’ IN ARRIVO IL PATTO DEL NAZARENO BIS?

Se davvero fosse che, dopo 2 mesi dalle elezioni, ci troveremmo un governo di centrodestra a guida Lega – con Giorgetti numero due del carroccio, anziché Salvini, proiettato a Palazzo Chigi – con l’appoggio esterno del PD, potremmo tranquillamente affermare, senza paura d’essere smentiti che, seppure con sessanta giorni di ritardo, si concretizzerebbe quanto Berlusconi e Renzi auspicavano allorché votarono l’approvazione del rosatellum: un’alleanza tra Pd e FI, magari estromettendo dai patti Lega e FdI.

Poiché il risultato elettorale ha premiato Salvini, relegato al secondo posto nella coalizione di centrodestra FI e bocciato clamorosamente il Pd, è ovvio che, se si facesse un governo centrodestra/centrosinistra, a guidarne le fila sarebbe per l’appunto la Lega primo partito della coalizione di centrodestra.

Fin dall’indomani delle elezioni mi dicevo scettico sulla concreta possibilità che, se avesse ricevuto il mandato da Mattarella, Di Maio difficilmente sarebbe riuscito a trovare una maggioranza di governo. Ponendo come alternativa la possibilità che si formasse un Patto del Nazareno bis, dove lo sconfitto PD non avrebbe avrebbe avuto problemi a sostenere un governo di centrodestra. Tale convinzione nasce dal fatto che da sempre Renzi ha dimostrato una naturale tendenza ad avvicinarsi a Berlusconi anziché a quanti condividono “ideali”, premesso gli ideali esistano ancora, di sinistra.

Dopo i mandati esplorativi andati a vuoto del Presidente del Senato la forzista Casellati e successivamente della Camera il grillino Fico, sta prendendo sempre più corpo la possibilità di un governo di centrodestra con il sostegno esterno del PD, quanto meno dei renziani.

Praticamente ci troveremmo nella condizione originariamente preventivata da coloro che sostennero il rosatellum: un governo centrodestra/Pd con il M5S all’opposizione. Un’opposizione certo non da poco visto la vastità dei numeri che i grillini possiedono sia alla Camera che al Senato, che potrebbe mettere i bastoni tra le ruote a un simile progetto, se andasse in porto. Soprattutto se la sua nascita fosse finalizzata al varo di una nuova legge elettorale e ad apportare modifiche alla Costituzione. In quest’ultimo caso vanificando di fatto l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 che con la vittoria dei No bocciò in maniera clamorosa la riforma Boschi varata dall’allora governo Renzi, la cui sconfitta tuttora brucia a Renzi il quale non manca di attribuire l’attuale stallo istituzionale come conseguenza di quel voto quando proprio lui in altre sedi aveva sempre disgiunto il referendum dall’approvazione dell’Italicum da parte della Corte Costituzionale: l’Italicum fu bocciato dalla Consulta il 25 gennaio 2017, esattamente più di un mese dopo il referendum costituzionale, a conferma che i due aspetti erano completamente distaccati l’uno dall’altro!

Se tutto ciò alla fine si realizzasse, avremmo l’ennesima conferma di quanto poco valore una parte della politica italiana dà al voto popolare quando questo non riflette le reali esigenze della stessa politica.

Con buona pace per la democrazia!

 

SELF PUBLISHING, UNA BELLA OPPORTUNITA’ PER CHI SCRIVE

La decisione di pubblicare un nuovo romanzo, dopo poco più di 18 anni dall’uscita dalla mia ultima raccolta di racconti LA SCELTA edita con EDIZIONI TRACCE di Pescara e di 21 anni dalla prima L’ULTIMA NOTTE edita con TOMMASO MAROTTA EDITORE e ristampata a novembre 2017 con Amazon, nasce principalmente dall’esigenza, che credo colga chiunque scriva, di dare un senso ai tanti racconti e romanzi conservati da anni nel fatidico “cassetto”. Esigenza soffocata dal pensiero di dover ricorrere a un eap (editore a pagamento) per consentire alla mia modestissima arte di farsi conoscere per poi essere apprezzata o stroncata.

Alla fine, su suggerimento di alcuni amici scrittori cui feci leggere e piacque SEGNATURE RERUM, anziché ricominciare la trafila di inviare a varie case editrici il manoscritto nella speranza che qualcuna poi mi rispondesse per dirmi che non era interessata oppure mi chiedesse per la pubblicazione il contributo spese in migliaia di euro, decisi di servirmi anch’io del self publishing messo a disposizione su diverse piattaforme online per auto-pubblicarmi, nel mio caso mi sono servito di Amazon Kindle.

So benissimo che in molti considerano questo strumento un ripiego per scrittori falliti o un mezzo per appagare a ogni costo la propria vanità. Personalmente lo ritengo invece una grossa opportunità messa a disposizione dalla rete per chiunque scriva di farsi conoscere.

Del resto non è un caso se oggi diverse case editrici di grosso calibro hanno degli incaricati la cui funzione è quella di sondare periodicamente la rete per visionare se tra i tanti scrittori che bazzicano il web vi sia qualcuno che meriti di essere sottratto al mondo virtuale ed essere lanciato nel panorama dell’editoria reale.

Ovviamente pubblicare un libro a costo zero solo per indurre chi ci conosce ad acquistarlo per leggerci, per quanto possa essere simpatico, è riduttivo se non ridicolo. Per quanto mi riguarda penso che nel momento in cui si ha l’ardire di pubblicare un libro, anche se solo con l’ausilio del self publishing, ogni autore dovrebbe interessarsi di curare anche l’aspetto promozionale in modo da incuriosire anche gli sconosciuti a leggerlo: un conto è infatti il parere di un amico o di un parente il quale, per quanto possa essere imparziale, alla fine, seppure il racconto non gli fosse piaciuto, cercherà sempre di addolcire la pillola definendolo “carino”; altro conto è invece il giudizio di un lettore ignoto il quale, imbattutosi in rete nella pubblicità del libro e incuriosito dalla trama, decidendo di spendere dei soldi per leggerti, se lo troverà al di sotto delle aspettative palesategli dal promo, ti stroncherà pubblicamente in rete senza “se” e senza “ma”.

Ovviamente un conto è una critica negativa in virtù del genere del romanzo, e dunque vincolata ai gusti personale del lettore, per cui l’autore può fare ben poco; altro conto se invece essa evidenziasse in maniera ragionata la pessima qualità del libro; partendo da un’assoluta mancanza di cura nell’editing con conseguenti strafalcioni grammaticali e periodi sconclusionati che rendono il libro illeggibile. Così come di una scrittura lenta e ridondante, che alla lunga stanca il lettore inducendolo a riporre il libro nello scaffale o nella pattumiera, e di una trama priva di sostanza che non conduce a nulla. Sono aspetti questi che vanno presi in considerazione anche con il self publishing e curati al fine di offrire un prodotto, seppure artigianale, che comunque non difetti di qualità grafica ed editoriale rispetto ai volumi editi da una casa editrice professionale.

Così come non può escludersi una critica negativa fatta a prescindere per il solo gusto di stroncare l’autore. Magari a opera di chi, conoscendolo e non nutrendo simpatie verso la sua persona, celandosi dietro l’anonimato di un nikename o di una falsa identità, non voglia semplicemente divertirsi alle sue spalle disprezzandolo come artista, screditandolo perché nessuno lo legga.

L’utilizzo del self publishing, oltre ai rischi i rischi sopraelencati, sicuramente ne contempla tanti altri che al momento mi sfuggono. Tuttavia, in base alla mia esperienza passata e presente, e dopo un confronto con scrittori che pubblicano con editori “veri” che li pagano per scrivere, viste le molte problematiche comuni, a partire proprio dalla promozione del libro, non avrei esitazioni a consigliare chi volesse pubblicare un libro mediante il selfpublihing a farlo senza pensarci su due volte. Magari abbinandovi un minimo di attività promozionale investendo un budget di poche decine di euro, affidandosi a un’agenzia specializzata, io ho scelto MARKAPPA, per far sì che il proprio lavoro venga adeguatamente pubblicizzato per essere conosciuto da chi non ti sa.

E se poi il libro a molti piacesse, sperare nella magia del passaparola, mai come oggi amplificata dal megafono dei social network, la quale ha portato alla luce tanti autori sconosciuti rendendoli famosi come Zafon!

Se si è avuto il coraggio di pubblicare, bisogna osare fino in fondo altrimenti che senso ha mettersi in viaggio?

IMANE FADIL: QUELLE CENE ELEGANTI PUZZANO DI ZOLFO

Dopo aver letto ieri mattina su Il FATTO QUOTIDIANO l’intervista alla modella marocchina Imane Fadil – la quale, raccontando delle famose “cene eleganti” ad Arcore cui partecipò nel 2011, a un certo punto, presumibilmente riferendosi a Berlusconi, dichiara testualmente, “Questo signore fa parte di una setta che invoca il demonio. Sì lo so che sto dicendo una cosa forte, ma è così. E non lo so solo io, lo sanno in tanti”; aggiungendo, “in quella casa accadevano oscenità continue. Una sorta di setta, fatta di sole donne, decine e decine di femmine complici”; concludendo che le prove di quanto asserisce le svelerà nel libro che sta completando – non ho potuto fare a meno di immaginarmi il clamore, l’indignazione, se non addirittura il putiferio che le sue parole avrebbero scatenato da parte del diretto interessato e di quanti, politicamente e non, gravitano intorno a lui.

Invece, che io sappia, nulla: l’intervista è passata in sordina come se non fosse stata mai rilasciata. Ciò stupisce per due motivi: 1) è appena uscito LORO 1, il primo capitolo del film di Paolo Sorrentino in cui si racconta di Berlusconi e delle “olgettine”, le ragazze che partecipavano alle “cene eleganti” ad Arcore nella speranza di fare strada nel mondo dello spettacolo; 2) il nostro è un paese sensibile agli argomenti pruriginosi, lo dimostra l’alto numero di copie venduta dai giornali di gossip e dal successo di pubblico dei reality show tipo Il Grande Fratello e L’Isola dei Famosi. Pertanto un argomento come quello inerente le dichiarazioni di Imane Fadil, per quanto surreali possano apparire, supponevo avrebbero provocato quanto meno  un minimo di rumore nell’ambiente.

È presumibile che il silenzio che ne è invece  scaturito sia da attribuirsi a una precisa strategia del diretto interessato, Berlusconi, al fine di non fare pubblicità gratuita a una donna disperata in cerca di notorietà, la quale punta sulla pubblicazione del proprio libro dove racconterebbe per esteso quello che per sommi capi ha dichiarato nell’intervista con il sostegno di prove documentali, le cui affermazioni sono talmente surreali che alimentano qualche dubbio sulla sua serenità mentale, come le fa notare nell’intervista lo stesso giornalista che ne ha raccolta la testimonianza.

Tuttavia le dichiarazioni di Imane Fadil riportano alla mente quelle con cui nel 2009 Veronica Lario, all’epoca ancora moglie del Silvio Berlusconi, commentò la presenza di Berlusconi alla festa di 18 anni di Noemi Letizia: “Quello che emerge dai giornali è ciarpame senza pudore. E tutto in nome del potere… figure vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo e la notorietà”.

Per quanto riguarda il coinvolgimento di presunte sette sataniche in fatti di cronaca, non è questa la prima volta che se ne sente parlare: un accostamento fu fatto durante l’inchiesta per i delitti del mostro di Firenze, oppure  per la morte a Palma di Maiorca dell’imprenditore toscano Massimiliano Rossi. Così come di un coinvolgimento di sette sataniche si è sussurrato riguardo la misteriosa morte di Davi Rossi, ufficialmente suicidatosi, responsabile delle comunicazioni del Monte dei Paschi di Siena il 6 marzo 2013.

Del coinvolgimento di sette sataniche in tanti altri fatti di cronaca si viene a conoscenza se si ha la pazienza di “navigare” nel mare virtuale di internet digitando nel motore di ricerca SETTE SATANICHE COINVOLTE IN FATTI DI CRONACA.

Ma tutte le vicende che ne derivano sono tragici fatti di sangue. Quelle che invece riguardano il racconto di Imale Fadil sono banali festini, o “cene eleganti”, con probabile finale a sorpresa…