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GLI ANGELI HANNO BISOGNO D’AMORE (racconto)

Ogni volta che si trasferiva nella casa in collina lasciatagli dal nonno per trascorrere un periodo di vacanza, Federico era solito ripetere i gesti di quando, ragazzino, vi trascorreva le estati. In quel modo, diceva, aveva l’illusione di rallentare lo scorrere del tempo, di sconfiggere la vecchiaia.

Quella mattina si alzò che il cielo appena rischiariva all’orizzonte. Zaino in spalla, uscì di casa e si avviò su in paese da dove avrebbe poi proseguito sul sentiero del bosco fino alla pozza d’acqua posta a mille metri. Per raggiungerla avrebbe dovuto camminare almeno per un paio di ore, da solo, per un dislivello di quasi seicento metri immerso nella fitta boscaglia.

Quando giunse in piazza notò una strana agitazione: un nutrito gruppo di persone discuteva animatamente attorno a una pattuglia dei carabinieri. Accanto alla gazzella dell’arma era parcheggiata una jeep della protezione civile.

Incuriosito si avvicinò per capire cosa stesse succedendo: un bambino mancava da casa dal pomeriggio del giorno prima. I genitori, una coppia romana in vacanza, dopo averlo cercato a lungo nel bosco, in serata avevano dato l’allarme. Le ricerche si erano protratte per tutta la notte alla luce delle torce e delle fotoelettriche con esito negativo. Ora si stava facendo il punto sulla cartina geografica aperta sul cofano della pattuglia, dividendo i soccorritori in gruppi di due, affidando a ognuno un’area precisa in cui effettuare le ricerche.

“Tu dove vai?” gli chiese il maresciallo che stava tracciando una linea rossa sulla carta.

“Salgo alla pozza”

“Bene, ti lascio il mio cellullare, se dovessi vedere o trovare qualcosa che indichi la presenza del bambino, chiama subito!”

“Va bene! Come si chiama il bambino?

“Valerio!” […]

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