«Una delle ragioni che ci impediscono di avere un grande
teatro, è che la vita pubblica, illustrata dalla stampa, è già
un sufficiente palcoscenico dove le commedie si sviluppano
e si intrecciano, ognuna portando avanti i suoi personaggi.
Ne segue un'insofferente generale stanchezza, perché nella
cronaca c'è una pervicacia, una mancanza di pudore, un gergo
e una facilità di soluzioni che è appunto il contrario di ciò che si
propone ogni arte teatrale. Si aggiunga che la cronaca, nella sua imparzialità, esalta i bricconi e umilia gli onesti, necessariamente.
Puttane, avventurieri e geni mancati salgono l'Olimpo, servono
da modelli per gli scontenti, che sono la maggioranza.
Si finisce per doverli imitare. Chi proprio non ci riesce, tace, soddisfatto di sé: ma resta col sospetto di essere inadatto per questo mondo e - coi tempi che corrono - anche per l'altro mondo».
ENNIO FLAIANO da "La Solitudine del Satiro"
Flaiano scrisse queste righe a Roma, alla fine degli anni 50.
Il bel paese era quasi intatto, incurante dello stupro ambientale e antropologico che lo aspettava;
un giovane Pasolini vi si trovava ancora a suo agio, appena infastidito dai processi contro la morale;
fiorivano il cinema, la musica, le arti applicate... eppure l'occhio quantico di Flaiano vedeva già tutto in filigrana.
Se resuscitasse oggi morirebbe all'istante, stroncato dalle risate e dai singhiozzi.