TRADIZIONI

 Alcuni uomini molto pii e religiosi di diverse tradizioni si recarono dal Maestro, e gli chiesero, per provocarlo: “Tu che sai tutto, vuoi dirci quale tradizione tra le nostre è vera, o almeno più vicina alla verità?” Rispose: “Voi vi attaccate alle vostre tradizioni come cuccioli alle mammelle della madre: quella è la vostra madre, e le madri degli altri vi appaiono tutte brutte e cattive. Voi non potete uscire da voi stessi, le vostre tradizioni vi avvolgono come il bozzolo avvolge il baco, ma da voi non uscirà nessuna farfalla, perché il vostro bozzolo sarà filato per tessere vesti che non conoscerete mai. La vostra idea di verità è quella della vostra tradizione, e con essa misurate tutte le altre verità, e le altre tradizioni fanno la stessa cosa, misurano tutto secondo la propria misura. Se verrà da fuori un nuovo misuratore, voi non potrete misurarlo, perché verrà da un mondo diverso dal vostro, e voi di lui non capirete nulla: ciascuna tradizione lo vedrà a modo suo, secondo la sua scala di verità e falsità, di retto giudizio e di menzogna, che si sarà costruita per sopravvivere e per giustificarsi davanti ai suoi propri occhi”.

Proiezioni

Le proiezioni per cui avremo una età media sempre più elevata escludono a priori la possibilità di eventi catastrofici, che nella storia capitano spesso. Sono dunque proiezioni cieche.

La farfalla e Kant

Kant

Era giovane Kant quella mattina
quando entrò nella stanza una farfalla.
Sul vassoio del tè fermò le ali.
Ancora è buio fuori, pensò Immanuel,
e immobile guardava la creatura.
E allora Wolff, quel lupo metafisico,
ringhiò: tu manda via la farfallina
dalla mente: sostanza con natura
e tutto quanto l’ordine del mondo
e il pensato e il pensabile e il divino
può far crollare l’insetto mattutino.
Ma resta fermo Immanuel e si domanda
come si percepisca una farfalla.
La storia del pensiero e il suo destino
vibrano tra una tazza e un insettino.

Il grande racconto di Ulisse

ulix16Dopo la lettura della poderosa opera di Piero Boitani Il grande racconto di Ulisse (Il Mulino 2016), un libro che segue le innumerevoli piste percorse dalle varie reincarnazioni e mutazioni della figura dell’Itacese nel corso di tremila anni, anche attraverso un apparato iconografico di straordinaria ricchezza, che cosa mi resta? Molto, moltissimo, ma soprattutto la convinzione che il tradizionale modo di opporre le due figure di Abramo e Ulisse come simboli dell’apertura all’infinito (Abramo) e della volontà di ritorno a casa (Ulisse) sia fuorviante ed eccessivamente semplificatorio. Ulisse, a differenza da Abramo, non ha un’unica identità: è insieme l’eroe che rinuncia all’immortalità per fare rientro nella domestica e caduca intimità di Itaca, e l’anziano che abbandona nuovamente l’isola per sete di conoscenza insaziabile, che lo proietta verso l’estremo Occidente, oltre le barriere della morte.

Oscillazione

OSCILLAZIONE. Il piccolo borghese oscilla continuamente tra il rifiuto ideologico delle ideologie e la fascinazione del totalitarismo: ciò che non lo abbandona mai è la paura di essere annientato, il bisogno di Grandi Capi e di capri espiatori, insieme al disprezzo per l’intelligenza critica, per la cultura alta e le culture altre.
Tutto cambia, e tutto cambiato ritorna. Intenda chi può.

Linguaggio

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“La distruzione del linguaggio è la premessa a ogni futura distruzione.” Questa celebre frase di De Mauro sembrerebbe porre un’origine linguistica della distruzione, ma ovviamente il discorso è molto complesso.
Il concetto di “distruzione del linguaggio” come grave minaccia incombente anzitutto su noi italiani, una minaccia sulla quale il compianto De Mauro ha vanamente richiamato l’attenzione delle élites, richiede tuttavia, per essere sensatamente maneggiato, che si abbia chiara l’idea di “distruzione” sottostante, e della sua causa o cause. Anzitutto perché non esiste un solo tipo di distruzione, e quella di un raccolto causata dalla grandine non è assimilabile a quella di un’antica città sulle cui rovine sia stato sparso il sale. Ci sono distruzioni da cui si rinasce e distruzioni totali dagli effetti permanenti.
Nella mia visione, la “distruzione” del linguaggio si inscrive in un processo di indifferenziazione che ha colpito, con esiti più marcati in alcuni paesi, l’intero Occidente, e che in Italia si sta sviluppando in modo peculiare, anche a causa della cultura paracattolica che lo impregna.
L’indifferenziazione si vede a tutti i livelli e in tutte le sfere. Ed è legata a quella prospettiva vittimaria che dopo la fine del secondo conflitto mondiale si è diffusa con progressione geometrica. Se l’esistenza di un “modello alto” (di vita, di gestione del potere, di comportamento, di scrittura, di conversazione, ecc.) è a priori rifiutato in forza della sua rappresentazione come ipocrita, offensivo, oppressivo, discriminante, immorale, vittimizzante, allora non può che saltare ogni regola e ogni distinzione. E sebbene l’umano non possa assolutamente sussistere senza la differenza – che si sposta ma non sparisce mai del tutto se non nel caos assoluto – oggi la differenza come tale, nel suo stesso concetto, è in crisi. Per la qual cosa, ben difficile appare che possa darsi una qualche restaurazione di quella ricchezza linguistica che De Mauro ha a lungo difeso, con un impegno di cui gli va reso onore.

Puri

Da sempre i movimenti totalitari intendono se stessi come radicalmente differenti, “puri” e incontaminati, e rifiutano ogni compromesso e accordo con gli altri: ladri, sfruttatori, usurai, immorali, degenerati, impuri, massoni, élites, ebrei, nemici del popolo, ecc. ecc.