Una short story dell’orrore… tratta dalla mia raccolta.

L’AUTOSTOPPISTA

Route 66, U.S.A. Una delle più antiche higway degli StatiUniti: aperta alla fine del 1926, collega Chicago, sulla costa orientale, alla spiaggia di Santa Monica sulla costa occidentale, percorrendo quasi 4 mila km e attraversando otto Stati.

L’auto di Jack sfrecciava sicura. I fari, due lame di luce, illuminavano il percorso da molte ore rettilineo, attraverso il Texas. Alla radio, un motivetto country cercava di allietare una notte un po’ lugubre, senza stelle.

Jack, studente di medicina fuori corso, stava portando al nonno quella vecchia carriola d’epoca ereditata dal padre, defunto da pochi mesi. Per risparmiare qualche soldo, aveva deciso di partire da New York e portarla lui stesso al Los Angeles: il percorso sulla vecchia Route 66 era pericoloso e affascinate nello stesso tempo, un’occasione unica per stare solo con se stesso e misurarsi con le sue incertezze di adolescente all’ultimo stadio.

Erano da poco passate le 2 del mattino e il ragazzo cominciava a sentire la stanchezza: le palpebre gli si chiusero per un istante e l’auto, sebbene non andasse particolarmente veloce, cominciò a sbandare. Fu il procedere a sobbalzi sul bordo strada sconnesso che lo riportò di colpo alla realtà: “Cristo!” – esclamò Jack, sterzando vigorosamente per rientrare in carreggiata.

L’auto sbandò, si impuntò a centro strada ed eseguì un perfetto testacoda: Jack si ritrovò fermo, con il motore spento, a fissare la direzione da cui era arrivato.

Dalla radio accesa, la litania del cantante sembrava prenderlo in giro. “Cristo!” – borbottò, scuotendo la testa dal torpore. “Se non dormo qualche ora, finisce che mi ammazzo” – dichiarò a se stesso, mentre girava la chiave e rimetteva in moto il vecchio macinino.

Riprese il suo viaggio, raddrizzando l’auto nella giusta direzione: un infinito rettilineo davanti a lui si perdeva nel nero di quella notte scura. Solo da molte ore, il ragazzo riprese a parlare da solo: “Dove diavolo sono? Ci sarà un posto di ristoro quaggiù? Certo che se ti capita qualcosa in questo deserto possono passare settimane prima che qualcuno possa aiutarti…”.

All’improvviso, i fari illuminarono una sagoma, che il procedere dell’auto rese nitida solo all’ultimo momento: era un ragazzo. Un ragazzo come lui, anche più giovane, con uno zainetto in spalla, che chiedeva un passaggio.

Jack lo superò e poi continuò a guardare la sagoma scura che scompariva nello specchietto retrovisore. Frenò di colpo: “Un po’ di compagnia mi farà bene e… mi terrà sveglio!”. Innestò la retromarcia e raggiunse l’autostoppista, che, nel vederlo retrocedere, stava correndo verso di lui.

Il giovane si chinò verso il finestrino dell’auto, mentre Jack abbassava il cristallo: “Buonasera, può darmi un passaggio? Sono diretto a Santa Monica”, esordì cordialmente il ragazzo.

Aveva un viso allegro e fresco, che ispirava fiducia e simpatia. Nel vederlo, Jack non ebbe esitazioni: “Ma certo, sali pure. Santa Monica mi è di strada”.

Mentre saliva sull’auto, il ragazzo si profuse in ringraziamenti e sorrisi: getto lo zaino sul sedile posteriore e si accomodò su quello del passeggero: l’auto ripartì istantaneamente.

“Sai, la mamma mi dice di non dare mai passaggi a nessuno: ma ti ho visto qui, solo, nella notte e così… sei uno studente?” – chiese il guidatore al ragazzo, spostando rapidamente gli occhi da lui alla strada.

“Beh… non proprio…” – rispose lui, un po’ vago. Si guardava attorno con interesse: “Ehi, ma questa è una Buick Riviera del ’64, giusto?”

“Esatto” – ribatté Jack un po’ stupito – “ti intendi di auto d’epoca?”

“Un po’…” – rispose il giovane, con una punta di imbarazzo che gli colorava di rosso il viso – “…è davvero uno splendore…” – osservò accarezzando il cruscotto di pelle della berlina.

“Mio nonno l’aveva regalata a mio padre, che l’ha tenuta in un garage in affitto per anni; ora che è morto, la sto riportando al suo proprietario originale” – spiegò Jack al nuovo arrivato, che lo guardava con interesse.

L’auto sfrecciava sicura nella notte e Jack era sempre più contento di aver preso a bordo Bill (questo era il nome del ragazzo), che si stava rivelando un ottimo compagno di viaggio.

“Accidenti che scuro: una notte senza luna, da licantropi” – disse ad un certo punto, dopo un momento di silenzio tra una conversazione e l’altra, guardando il cielo color inchiostro.

“Ti piacciono le storie dell’orrore? Io ne conosco di bellissime…” – disse Jack, un po’ annoiato, continuando a scrutare il nastro d’asfalto, che scorreva veloce sotto di loro.

“Eccome!” – sussultò Bill – “sono la mia passione! Dai, racconta…”

Dopo un breve quanto inutile tentativo di dissuasione, Jack iniziò a raccontare una storiella vista in un episodio di “The Twilight Zone”, che raccontava di una coppia di fidanzati che andava ad amoreggiare in pieno deserto e lì venivano aggrediti da quello che sembrava un maniaco, ma poi si rivelava essere un’entità maligna.

“Caspita Jack, davvero terrificante… soprattutto la parte quando la ragazza urla e non c’è nessuno che possa sentirla… del resto, in pieno deserto, se qualcuno urla chi può sentirlo?”

“Già…” – annui Jack, mentre osservava con la coda dell’occhio lo sguardo entusiasta del ragazzo.

“Beh, visto che questo genere di storielle ti piacciono, ne ho per te una ancora più terrificante!”

E senza ulteriori incoraggiamenti da parte di Bill, iniziò la seconda storiella, quella della vecchia che compone un puzzle nel soggiorno di casa sua e, man mano che va avanti, si accorge che la figura che viene fuori è quella di se stessa mentre compone il puzzle, seduta nel suo soggiorno, ma alla finestra, pezzo dopo pezzo, si materializza l’immagine di un pazzo omicida con la bava alla bocca.

“L’ultima cosa che sentì la vecchia signora, sistemando tremante l’ultimo tassello, fu il rumore dei vetri infranti…” – disse Jack con voce profonda al suo terrorizzato passeggero, che lo squadrava con occhi sgranati.

“Accidenti… che paura!” – disse Bill rilassandosi un poco sul sedile; Jack sottolineò il momento con una fragorosa risata, lieto e fiero di avere impressionato il suo giovane amico.

Passarono alcuni minuti in silenzio: il deserto scorreva fuori dai finestrini, buio e spettrale; uniche luci quelle dei fari, che si riflettevano sull’infinito nastro di asfalto.

Nessuno nei paraggi.

Nessuno a vederli passare.

“Ehi, amico” – d’improvviso Bill si rianimò – “Io di storielle non ne conosco, ma la vuoi vedere una cosa veramente, ma VERAMENTE, terrorizzante?”. Gli occhi di Bill vibravano d’impazienza e imploravano il suo autista di rispondere con un “si”.

“D’accordo. Ma guarda che io sono uno smaliziato: non mi impressiono facilmente…” – ribatté Jack con un leggero tono di sfida nella voce.

L’auto sfrecciava sicura nella notte e non c’era nessuno a guardarla passare.

Nessuno quindi sentì il ruggito infernale e, subito dopo, il grido disumano, che scaturirono dall’abitacolo.

E non c’era nessuno per vedere il fiotto di sangue che, un secondo dopo, imbrattava il finestrino del guidatore, insieme a brandelli di cervello umano.

Nessuno vide l’auto fermarsi pian piano e accostare lentamente, come se il guidatore avesse di colpo smesso di premere sull’acceleratore. E, di nuovo, non c’era nessuno a vedere uscire lo strano essere dallo sportello del passeggero, un mostro simile ad un granchio gigante, con grosse chele imbrattare di sangue…

L’essere uscì agilmente dall’auto con tutte e sei le zampe di cui era dotato e, allungando un tentacolo viscido, recuperò lo zainetto dal sedile posteriore dell’auto: dopo pochi minuti, sembrò sfarfallare nella notte e scomparire nell’oscurità.

Nessuno vide che, pochi passi più avanti, il granchio immondo di chissà quale inferno si era trasformato nuovamente nel giovane ed innocuo autostoppista.

Ma ben presto, qualcun altro lo avrebbe incontrato.