SCALE

Gloria aveva 55 anni: era vedova, sola, casalinga.

Mentre si guardava allo specchio si chiedeva, come sempre senza risposta, che senso avesse portare avanti quella vita vuota e senza scopo. Il marito, buon’anima, l’aveva lasciata da un paio d’anni e si sentiva terribilmente sola. Non avevano avuto figli: li avevano desiderati, ma non erano venuti.

Se non altro, alla morte del consorte aveva incassato il sostanzioso premio dell’assicurazione sulla vita e adesso poteva tirare avanti senza dover lavorare.

“Così va al mondo!” – sussurrò alla sua immagine riflessa, e il suo viso tentò un sorrisetto forzato.

Quel giorno si era truccata e vestita in modo speciale: era una splendida giornata di sole, la prima bella giornata dopo settimane di pioggia ininterrotta, noiosa e sempre uguale, che l’avevano costretta in casa.

“Innanzitutto, un giro al Centro Commerciale… per fare provviste ma anche per comprarmi qualcosa di bello…” – continuò, sempre parlando alla Gloria dentro lo specchio.

Chiuse la porta di casa e si diresse a passo spedito verso il grosso centro commerciale che distava solo pochi isolati dalla sua abitazione.

Il mega supermercato richiamava gente da tutta la provincia ed era il fiore all’occhiello della cittadina in cui Gloria era nata e cresciuta: 9 ingressi su 3 livelli di parcheggio per auto e autobus-navetta, permettevano di accedere ad una struttura di 6 piani + 3 sotto-livelli interrati, che inglobava più di 800 negozi, palestre, ristoranti, 2 cinema, un infinito numero di sale giochi e servizi di tutti i tipi, dalle agenzie di viaggio ai centri-benessere, con piscine e saune incorporate… insomma, un vero monumento al Capitalismo & Consumismo.

Gloria ruotò insieme ad altre 15 persone nella gigantesca porta girevole dell’ingresso principale e si ritrovò all’interno della colorata e luminosa struttura, fatta per lo più di vetro e acciaio.

Invisibili altoparlanti diffondevano musica classica (Mozart o Bach? Gloria era incerta…), di quando in quando intervallata da annunci interni o brevi spot promozionali.

Tutte le classi sociali erano ampiamente rappresentate in quell’incessante andirivieni caotico di persone: dallo studente alla casalinga, dal manager al pensionato; c’era chi procedeva di fretta, chi lentamente, chi carico di pacchetti, chi con le mani in tasca, chi sorrideva felice, chi avanzava col broncio.

Gloria procedeva sicura, guardando senza realmente vedere le decine di persone che incrociava: arrivata davanti ad una vetrina di abbigliamento per signora d’alta classe, si soffermò a lungo sul modello indossato dal manichino in vetrina e, dopo un minuto di riflessione, decise di entrare per acquistarlo.

Dopo quasi due ore, Gloria girovagava ancora per il centro commerciale: aveva acquistato parecchie cose, che ora gonfiavano le due buste che sorreggeva non senza sforzo, una per lato.

Era al piano terra e decise, prima di andarsene, di fare un giro anche ai piani superiori: si accodò pertanto dietro ad una dozzina di persone, in attesa dell’ascensore.

Dopo dieci minuti buoni erano ancora tutti lì, in attesa del benedetto montacarichi che aveva deciso di non scendere più: la gente davanti a lei cominciava ad imprecare sottovoce, mentre il primo della fila aveva ormai consumato il tasto di chiamata, a furia di premerlo; inoltre, Gloria era consapevole che, al massimo, l’ascensore poteva portare dieci persone, per cui lei e qualcun altro avrebbero dovuto aspettare il giro successivo.

Esasperata e un po’ annoiata si guardò attorno: a pochi passi, dietro una colonna e di fianco delle toilettes notò una grande porta metallica sulla quale campeggiava la scritta: “SCALE”.

“Quasi, quasi…”, Gloria si morse il labbro e soppesò mentalmente l’opportunità che quella porta le offriva: un po’ di fatica in cambio di zero attesa. “Ma, si… prendiamo lo scale” – si disse e lasciò gli altri ad aspettare l’ascensore che non arrivava mai.

La porta aveva un grande maniglione anti-panico, che Gloria spinse con l’anca (aveva le mani impegnate dalle borse): l’apertura di spalancò girando su cardini perfettamente oliati, senza il minimo rumore; oltre la porta, un breve corridoio dall’aspetto clinico conduceva al vano scale.

La porta si chiuse automaticamente con un clangore inatteso: Gloria sobbalzò spaventata e si voltò di scatto; sul metallo, bianco e immacolato come le pareti attorno, si leggeva “PIANO 0” a caratteri cubitali; la grande e spessa porta di metallo, una volta chiusa, insonorizzava l’ambiente: Gloria si trovò immersa in un silenzio inquietante e sentì l’impulso fortissimo di tornare indietro, tanto più che un leggero capogiro ed un po’ di nausea si erano improvvisamente manifestati in lei.

Avanzò invece meccanicamente verso le scale, come aveva deciso, e posò il piede sul primo gradino, per salire: il capogiro si fece più forte, le pareti iniziarono a girare e Gloria dovette posare rapidamente una borsa ed aggrapparsi al corrimano, per non cadere.

Così com’era venuto, il capogiro passò, e Gloria si sentì di nuovo bene, anzi molto bene, al punto che un timido sorriso di sollievo comparve sul suo viso: afferrò con rinnovata energia la borsa lasciata cadere e inizio a salire le scale.

Dopo una decina di gradini si ritrovò su un pianerottolo intermedio: un’altra rampa identica saliva ancora nella direzione opposta. Senza pensarci, Gloria riprese la salita. Al termine della seconda rampa, c’era ancora un pianerottolo, identico al precedente, ma nessuna porta: “Che strano…”, pensò Gloria e cercò di guardare attraverso la tromba delle scale, verso l’alto, per capire quanto ci fosse ancora da salire, ma si riusciva ad intravedere solo la rampa successiva e, sotto, quella che aveva appena percorso.

Salì ancora, non senza fatica: ancora un pianerottolo, sempre uguale.

Imprecando sottovoce affrontò l’ennesima rampa, sperando che fosse l’ultima…

La sua fatica fu premiata: sul solito pianerottolo questa volta c’era una grossa porta di metallo chiusa, sulla quale si leggeva, sempre a caratteri cubitali, “PIANO 2”.

“Cavolo, sono salita troppo…pazienza, scenderò con le scale mobili” e si avviò verso la porta ma… qualcosa non quadrava. Ormai davanti all’uscio capì l’origine del suo disagio: non vedeva maniglie, ma solo un ininterrotto piano lucente e compatto di metallo smaltato di bianco. E adesso che ci pensava, anche l’altra porta, quella del piano terra, aveva il maniglione per entrare, ma nessun appiglio per aprirla dall’interno!

Stordita e un po’ confusa da quella scoperta, torno sui suoi passi: soppesò per un instante l’idea di salire ancora e la scarto immediatamente. Scendere era meno faticoso. Imbocco quindi la rampa di scale in discesa.

Rampa, pianerottolo, rampa, pianerottolo.

Ecco il corridoio di prima e la porta… ancora quella sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato: sulla porta, sempre chiusa e senza maniglie, c’era scritto “PIANO -1”.

“Ehi, ma che diavolo succede?” – imprecò. Appoggiò le borse ai lati della porta ed iniziò a martellarla di pugni. “Qualcuno mi sente? Sono rimasta chiusa fuori…!” – gridò, mentre una goccia di sudore si faceva strada in mezzo ai suoi occhi.

Si mise in ascolto ma l’unico suono udibile era il suo respiro, ed il tamburellare del suo cuore nel petto.

L’iniziale disperazione fu sostituita da una rabbia cieca: sarebbe andata a protestare dal Direttore del centro e gli avrebbe fatto passare un brutto quarto d’ora a quel bell’imbusto! Raccolse con frustrazione le buste della spesa e a passo spedito ritornò sulle scale.

“Scendiamo. Uscirò dal garage!” – decise. E si avvio.

Rampa, pianerottolo, rampa, pianerotto e porta senza maniglie intestata “PIANO -2”.

Perplessità, incredulità. Rabbia. Rampa, pianerottolo; rampa, pianerottolo e porta chiusa.

“PIANO -3”.

“C’è nessuno?” – Gloria urlava nella ristretta tromba di quella scala assurda. Doveva già essere al livello del garage, eppure la scala continuava a scendere. E Gloria scese ancora.

Dopo un numero imprecisato di rampe, pianerottoli e porte tutte identiche ugualmente chiuse, fatto salvo per il numero di piano che continuava a scendere, Gloria era esausta e madida di sudore.

Si sedette su un gradino, mollò le buste e si prese la testa fra le mani: “Ma che succede? Dove sono?”. Guardò ancora una volta, sorpresa ed impaurita, il numero che, impietoso e silente, risaltava in nero sulla candida porta di metallo: “PIANO -59”. “Ma che significa?” – singhiozzò Gloria, mentre le lacrime rigavano le sue guance pallide.

Passò una mezz’ora buona lì seduta, nello sconforto più totale: attorno a lei, il silenzio assoluto era rotto solo dal debole ronzio delle lampade al neon, che davano ad ogni pianerottolo la stessa lattiginosa luce biancastra.

Il suo stomaco brontolò. Certo, doveva essere ora di pranzo la fuori! Gli occhi si posarono sulla busta di plastica di sinistra, che era piena di cose commestibili: allungò una mano, la affondò nel sacchetto del pane e ne usci con una pagnottina, che inizio a sgranocchiare mentre si guardava attorno sempre più confusa.

Ma, in fondo, non aveva molto appetito. E poi non voleva mangiare lì, sulle scale. Si alzò con rinnovata risolutezza: “Devo uscire di qui!”.

Considerò che era meglio scendere senza borse, avrebbe fatto più in fretta e si sarebbe fatta rimborsare la spesa da quell’idiota del Direttore, una volta chiarita tutta la faccenda. Posò ordinatamente le borse in un angolo del locale, annotò mentalmente che erano al sottolivello 59 (che follia!) e imboccò la rampa successiva in discesa.

Gradini, pianerottoli, gradini pianerottoli.

Ormai Gloria scendeva a rotta di collo, spesso a due gradini alla volta. Una rapida occhiata alla porta, ogni due pianerottoli, ormai ignorando il numero di piano che, follemente, continuava a scendere, ma guardando solo con una rapida occhiata se era chiusa e se c’erano maniglie…

Gradini, gradini, gradini: il corrimano, ad ogni curva, la teneva in piedi, e poi giù per la rampa successiva… giravolta e giù… gradini, gradini, giravolta e giù, giù, giù…

Si fermò, con il fiatone, ancora più sudata (era un’impressione o faceva più caldo?): considerò di essere ormai ad almeno un chilometro sotto la superficie stradale… ma come poteva essere???!??

Guardò il numero sulla porta: “PIANO -347”. Disperata si accasciò contro il metallo: “Aiuto… qualcuno mi aiuti…”, riuscì a gemere mentre perdeva i sensi.

Si svegliò di soprassalto: quanto tempo era passato? Minuti o ore? Era sempre sul pianerottolo, uno degli infiniti pianerottoli tutti uguali di quella scala infinita e assurda. Ed era affamata.

Si mise a sedere e ripensò alla borsa con i viveri, ma… era rimasta quasi trecento piani più in alto!!! Impossibile anche solo pensare di risalire a prenderla: “Se solo me la fossi portata dietro…” – si rimproverò, inutilmente.

Con grande sforzo si rimise in posizione eretta: piedi, gambe, schiena gridavano il loro dolore.

Mosse con immensa fatica qualche passo, passandosi la lingua secca e gonfia sulle labbra aride.

Scale, scale e ancora scale. Pian piano ma inesorabilmente riprese a scendere. E scendere. E scendere ancora. Ormai non aveva più importanza: sarebbe morta scendendo, a costo di arrivare a piedi all’Inferno.

All’ultima rampa perse l’equilibrio e cadde: ruzzolò sugli ultimi gradini e si ritrovò sull’ultimo pianerottolo. Prima di svenire nuovamente, si rese conto di essere al fondo: non c’erano altre rampe da fare! “Chissà a che piano siamo…”, fu il suo ultimo pensiero prima che l’oscurità la inghiottisse.

Sognò che era sulle scale e scendeva, scendeva… scendeva…

Quando riprese conoscenza, si rese conto di essere allo stremo delle forze, ciò nonostante si costrinse ad aprire gli occhi. Roteò la testa e la vide: una porta diversa, colorata di rosso, sulla quale c’era scritto “ASCENSORE” e, sul fianco ad altezza d’uomo, un bottone di chiamata al quale era appeso un piccolo cartellino.

Con l’ultimo briciolo di energia si trascinò verso la parete dell’ascensore. Dopo un tempo che parve lunghissimo, riuscì ad avvicinarsi abbastanza per allungare la mano verso il bottone di chiamata: lo premette, ma quel dannato non si illuminò come si aspettava: rimase spento.

Schiacciò ancora, con tutta la forza che aveva, con tutta la rabbia che aveva. Niente.

Il cartellino appeso al tasto cadde a terra con la traiettoria zigzagante di una foglia morta: si rigirò in aria e atterrò vicino al suo petto, ormai esanime.

Sul cartellino c’era scritto: “GUASTO”.

Al piano terra, una guardia della sicurezza imboccò la porta delle scale, per il solito giro di sorveglianza: ormai il supermercato era chiuso e, a breve, anche lui sarebbe tornato a casa.

Accasciata sul primo gradino, senza vita, in mezzo a due borse della spesa, stava una donna di mezza età, con un’espressione agghiacciante sul volto: l’uomo capì immediatamente che era morta e uscì di corsa da dove era entrato per chiamare i soccorsi.