IL CULLAR DELL’ARACNIDE

ragno-yin-yang-lavorato

Poverino, ti vien da piangere
ma dovresti lottare da uomo
per affermarte la futilità
dell’Ego transitorio
in un gioco di cui non afferri il senso
indeciso nell’illusione da scegliere
da qual canto di sirena lasciarsi rapire:
se la concretizzazione dell’effimero
o lo sciogliersi nel caos del Tutto.

Alla fine devi ammetterlo:
è la Forma che attrae la Sostanza
una questione di aderire
ad una schiavitù autoimposta
fatta su misura per la tua essenza.

…oppure liberarsi nell’annullamento
esser zero ed infinito
allo stesso tempo:
è questo lo scopo ultimo
o soltanto la cadenza finale?

Pensavi forse di star bene
prima di andare a visitare
l’antro della tua follìa
arrivando a scoprir quella
dell’intera umanità?
gloriose miserie della Storia
vicende crude ed intricate
con radici molto antiche
che si perdono nei cieli

Pensieri parole opere ed omissioni
sedimentate nell’inconscio collettivo
lo sgabuzzino dell’eggregore
non riesce più a contenerle:
il troppo negato alla fine ritorna
in un sonoro crepitìo d’attrito
odi la realtà scricchiolare
non può essere stabile per sempre
lo disse già il serpente autofago:
la stagnazione è mortifera
ed il pesce è marcio dalla testa.

Addavenì l’Anfora Cosmica
ma l’aratore ancora indugia
l’è a pescar le fiabe pure
preme con escatologiche
sonnolenze d’equinozio
anime magnificate
dal paradosso ittico-siderale:
se c’è “ahia!” c’è gioia

Non c’è trucco, non c’è inganno
è Natale tutto l’anno
la befana vien di notte
Carnevale se la fotte
ma nell’Atanor quaresimale
sotto la cenere resta
una gran perversa che sversa,
riversa in versi diversi, dispersi
per germogliar l’ignoto terso,
Cenerentola e principe di sé stessa,
danzando tarantolata,
ascendendo nell’abisso,
nel gran ballo di buona fine
e buon principio.

Troppo terrorizzato per restare
troppo affascinato per fuggire
nato non fosti per collezionar virtù
come fossero figurine
né per perderle al gioco
cercando verità nella menzogna
giustizia nell’ignominia
bellezza nell’orrido.
Quante volte hai mangiato del frutto
dopo la tua cacciata dall’Eden?
le rondini vermiglio
son da tempo volate via
dall’argine ormai glabrificato
da quell’ouverture d’Autunno

Nell’odierna miseria rimane
una fastidiosa sensazione
di vulnerabilità incombente,
il cammino sempre più
stentato e penoso
al buio in un campo minato
fintantoché il tanto rimandato
gioire nell’andare a fondo
non è più pigro indulgere
nella rinuncia alla lotta
ma liberatorio urlo interiore
al tramonto della speranza.

Una consapevole demenza
a lungo temuta e rifiutata,
un tempo imprigionata
nelle segrete dell’infanzia,
ha sciolto i suoi lacci
negli anni la sua tela ha steso
e passo dopo passo ti ha ghermito.
il cullar dell’aracnide,
il tuo personale Ragna-Rock,
l’agognato incontro
con la propria nemesi
lo si gioca entrambi in casa,
scambiando un bacio
all’angolo del quartiere.
nel tuo sgambettar lieto e frenetico
in giù la curva della forma antica
guardo lo scalino
che spigoloso t’accoglie.

Tutto ciò è irrazionale,
è sprofondare nell’assurdo?
Non puoi farne a meno:
è gemma preziosa
nello squallore diffuso
spettra-colare bellezza
nell’insensato orrore
per ritrovarti perduto,
e perso ritrovato
nell’Apocalisse autoprodotta
di un Ego malato in lotta con sé stesso.
Quindi sorgi, muori e risorgi
migliaia di volte
il viaggio è appena cominciato
ed è sempre all’inizio
anche se vedi un’infinita conclusione
ma è solo il rogo delle tue sovrastrutture
Bruci il Walhalla con le sue iniquità
il suo disco rigido frammentato
da patti e promesse
in conflitto tra loro
il sistema operativo
era difettoso dal principio
formattazione dei paradigmi esistenti,
un lungo processo
senza vincitori né vinti.
Anche tu dalle fiamme consunto
Tornerai sotto nuova forma.

{Fabrizio Fulvio Fausto Fiale /
Elayph Oyzjr Baph, 2017/19}