Luglio 2017: U2 – THE JOSHUA TREE (1987)

The Joshua Tree

Data di pubblicazione: 9 marzo 1987
Registrato a: STS Studios, Danesmoate House, Melbeach, Windmill Lane Studios (Dublino)
Produttore: Daniel Lanois & Brian Eno
Formazione: Bono (voce, chitarre, armonica), The Edge (chitarre, tastiere, cori), Adam Clayton (basso), Larry Mullen Jr. (batteria, percussioni)

Lato A

                        Where the streets have no name
                        I still haven’t found what I’m looking for
                        With or without you
                        Bullet the blue sky
                        Running to stand still

Lato B

                        Red hill mining town
                        In God’s country
                        Trip through your wires
                        One Tree Hill
                        Exit
                        Mothers of disappeared

“Outside is America!”

1985, 13 luglio, Londra, Stadio Webley, (e John F. Kennedy Stadium di Philadelphia) va in scena il Live Aid, ideato e organizzato da Bob Geldof, ex cantante dei Boomtown Rats, band irlandese della scena New Wave di fine anni ’70, con l’intento di raccogliere fondi per i paesi più disagiati del continente africano. L’impegno è quello di coniugare musica e impegno civile, e sensibilizzazione delle masse verso il problema serio della povertà. Vi aderiscono tantissime rock star, alcune delle più note e influenti della scena pop e rock. Tra le più attese vi erano David Bowie, Lou Reed, Mick Jagger, Bruce Springsteen… e ad un certo punto, annunciati da Jack Nicholson, salgono sul palco gli U2, appassionata band irlandese. Attaccano con Sunday bloody sunday, il loro inno pacifista, terminata la quale, Bono, rivolgendosi al pubblico, dice: “Noi siamo di Dublino. Come in tutte le città, anche lì c’è un buono e c’è il cattivo. Questa è Bad”. E qualcosa di irripetibile si impadronì letteralmente del Wembley Stadium. Bad era un pezzo che grondava dolore e senso di risurrezione di fronte al dramma dell’eroina, ma in quel momento divenne l’abbraccio di un piccolo uomo irlandese al mondo intero, esprimendo sentimenti a cuore aperto che le parole non saprebbero descrivere. Nel dipanarsi delle note, Bono saltò dal palco per danzare con una ragazza. La musica non aveva più barriere, e il Live Aid non era solo la retorica e grandiosa messa laica per ricordare al mondo di essere buoni: esprimeva l’anima di un mondo che non resta lì a leccarsi le ferite, ma cerca l’amore, l’amore vero, senza limiti alcuni… E pazienza se quel momento costò la rinuncia ad un terzo pezzo, importante per poter pubblicizzare il loro ultimo album, The unforgettable fire!
Ecco, è quel momento che rappresenta in maniera plastica l’essenza vera degli U2: musica senza barriere! Musica che nasce dal cuore e che parla al cuore, a milioni di persone! Musica che grida a squarciagola parole che si possono appena sussurrare! Musica che non ha paura di mostrarsi a nudo, che non ha pudore della sua parte più intima… Gli U2 sono l’anima del mondo!
Nati nella Dublino operaia, ad opera di Larry Mullen, giovane studente, che nel 1976 appende nella bacheca della sua scuola, la Mount Temple, un volantino in cui esprime il desiderio di mettere su una band, rispondono a quel richiamo un giovane in cerca di sé stesso, Paul Hewson (ribattezzato Bono Vox dal suo amico del Lypton Village, Guggi, prendendo spunto da un negozio per apparecchi acustici su O’Connell Street, Bonavox), i fratelli Dave (presto ribattezzato The Edge) e Dick Evans (quest’ultimo poi abbandonerà presto la compagnia per unirsi ai Virgin Prunes, l’altro gruppo nato nel Lypton Village), e Adam Clayton. Battezzatosi come Feedback, e poi successivamente come Hype, e infine come U2 (nome suggerito dal critico Steve Averill), i quattro muoveranno i primi passi sulla fascinazione del post punk, e delle atmosfere della New Wave, all’epoca in predominio nei paesi anglosassoni, suggeriti dalle sonorità cupe di Manchester, soprattutto dai Joy Division. Dopo una manciata di fortunati e promettenti singoli, i quattro giungono all’esordio Boy (1980), prodotto dal talentuoso Steve Lillywhite, frutto di anni di formazione e impregnato delle tematiche adolescenziali, i dubbi sulla vita e sulla morte, e il destino degli uomini. Si rivelerà uno dei dischi d’esordio più importanti di tutti i tempi, anche se questo merito gli verrà riconosciuto col tempo. Seguiranno i fremiti religiosi di October (1981), che tra atmosfere crepuscolari e qualche segnale di crescita (seppur ancora acerba), affronta il delicato tema della pace religiosa che tanto divide l’Irlanda (Bono stesso sarà spesso diviso in tema, essendo stato figlio di un cattolico e di una protestante). E si giungerà alla prima vera consacrazione con War, dove, tra mille divisioni, gli U2 scelgono di stare dalla parte dei pacifisti. Ma sarà con l’incontro con Brian Eno, ex Roxy Music, e già all’opera con David Bowie e i Talking Heads, che gli U2 raggiungeranno la piena maturità dell’estetica rock, definiranno una volta per tutte il loro suono, e Bono troverà la sua voce, nell’incantevole capolavoro, registrato allo Slane Castle, The unfogettable fire.
Manca ancora un tassello però per completare l’opera… Ed è qui che arriva puntualmente la consacrazione definitiva di The Joshua Tree, nato dalla suggestione dei quattro giovani irlandesi con la fascinazione americana. La copertina in bianco e nero, con lo sfondo del deserto, ritrae i nostri con i loro volti seri e misteriosi, che pare siano scolpiti nella pietra. Ed in qualche modo verranno scolpiti una volta e per tutte nella storia, grazie ad un album che non ha perduto un briciolo della sua grandezza, della sua bellezza e della sua attualità.
L’album si apre con l’arido calore soul di Where the streets have no name, nata dall’esperienza di Bono con sua moglie in Etiopia, e che non pochi grattacapi diede a Brian Eno in fase di ridefinizione (infatti il mixaggio finale fu ad opera di Steve Lillywhite), proseguendo col gospel di I still haven’t found what I’m looking for, dove la fede degli U2 si traduce nel continuo senso di ricerca e nella certezza del Regno di Dio. With or without you è una dolcissima canzone d’amore figlia di un certo Scott Walker, dove Edge sviluppa la sua tecnica dell’infinite guitar, mentre Bullet the blue sky, a metà tra Led Zeppelin e Jimi Hendrix, porta la band nelle terre del San Salvador, bagnate dal sangue delle vittime di una dittatura disumana e dilaniate dalle bombe made in U.S.A. Chiude la prima facciata la bellissima Running to stand still, aperta dalla chitarra di Ry Cooder di Paris, Texas, e che affronta ancora una volta la delicata questione dell’eroina e il dolore che aleggia tra le sette torri del Ballymun, con atmosfere che Edge stesso definisce “cinematiche”.
L’impegnata Red hill mining town apre la seconda facciata, trattando della questione del lavoro in miniera, mentre In God’s country affronta il sogno americano. Il country di Trip through your wires porta direttamente all’accorato e struggente saluto a Greg Carroll, roadie e amico della band, deceduto tragicamente in un incidente stradale nel 1986, nell’emozionante One Tree Hill. Si va verso la chiusura con la nevrotica e doorsiana Exit, e con il ricordo struggente di Mothers of disappeared che, tra le percussioni trattate e gli echi vicini a Biko di Peter Gabriel, chiede dove siano finiti di desaparecidos.
Sono pochi gli album intensi ed eterni come The Joshua Tree degli U2. Le chitarra riverberata ed eterea di Edge, la voce intensa e lirica di Bono, la secca e quadrata base ritmica di Larry e Adam, consegnano alla storia un album bellissimo ed eterno. L’America è la terra dei Padri, il sogno di ogni irlandese, ma qui è più di un luogo fisico: è qualcosa che è vivo nel cuore di un uomo, e che lo domina, nonostante tutte le sue contraddizioni.
Gli U2 proseguiranno la loro carriera girando in lungo e in largo l’America nel film e album Rattle and hum, e col tradimento elettronico e squisitamente europeo/teutonico del capolavoro Achtung baby, che inaugurerà i loro anni ’90, e una nuova fase artistica della band. Ma è con questo disco che si raggiunge lo zenit perfetto tra sogno e realtà, pacificazione e tormento, poesia e musica. Sarà qui che gli U2 imprimeranno a fuoco il loro nome nella storia… In nome dell’amore!

Gli U2 sono parte dell’Irlanda! Gli irlandesi non sono diversi perché pregano o perché combattono, ma perché sono sensibili, perché hanno immaginazione, perché sono ricchi di spirito in quella parte della loro cultura che non è intrisa di sangue”.

                                                                                  (Eamon Dunphy)

                 

  

 

 

Luglio 2017: U2 – THE JOSHUA TREE (1987)ultima modifica: 2017-07-13T20:16:09+02:00da pierrovox

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