Agosto 2017: Franco Battiato – LA VOCE DEL PADRONE (1981)

La voce del padrone

Data di pubblicazione: 1981
Registrato a: Studi Radius (Milano)
Produttore: Angelo Carrara
Formazione: Franco Battiato (voce), Alfredo Golino (batteria), Paolo Donnarumma (basso), Phil Destrieri (tastiere), Alberto Radius (chitarre), Claudio Pascoli (sassofono), Donato Scolese (vibrafono), Madrigalisti Città di Milano (cori), Giusto Pio (direttore d’orchestra)

 

Lato A

 

                        Summer on a solitary beach
                        Bandiera bianca
                        Gli uccelli

 

 

Lato B

 

                        Cuccurucucù
                        Segnali di vita
                        Centro di gravità permanente
                        Sentimiento nuevo

 

 

Ti sei mai chiesto quale funzione hai?
(da Il silenzio del rumore, 1972)

 

 

Artista poliedrico e sfuggente, Franco Battiato è uno degli musicisti tra i più geniali che abbiano mai dato espressione alla sacra arte della musica (e non solo, visti i suoi interessi spaziare anche per il cinema e la pittura) nel Belpaese. Non esiste ambito musicale di cui il musicista siciliano non si sia occupato nel corso della sua carriera, spaziando tanto tra le pieghe del classicismo della lirica e della musica classica quanto in quello dell’avanguardia colta, senza disdegnare approcci col pop da classifica, il rock da stadio, la musica etnica, l’elettronica, il synth pop, e le composizioni minimaliste. In un certo qual modo si direbbe che Franco Battiato è un “artista completo”. Ma la verità è che si tratta di un uomo capace di innamorarsi, stupirsi di fronte alla bellezza sconfinata del creato, dando voce ai moti interiori dell’anima, ai suoi dubbi e alle sue tensioni mistiche.
Figlio della terra dell’Etna, il giovane Battiato cercherà fortuna in terra lombarda negli anni ’60 tentando una carriera di cantante pop, ma con scarsa fortuna e scarsi risultati. Alcune composizioni di quel periodo sono state contenute in un’antologia non autorizzata pubblicata nel 2003, dal titolo Le stagioni del nostro amore. Ciò nonostante quel periodo permetterà al nostro di mettersi in contatto con personaggi del calibro di Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Bruno Lauzi…
E così ad inizio anni ’70 il giovane artista catanese intraprende un particolare percorso di matrice squisitamente sperimentale, abbandonando la compiuta forma canzone per adattarsi all’oscillazione continua delle frequenze e delle sonorità elettroniche. Album come Fetus, Pollution, Sulle corde di Aries, Clic, spaziano tra “sequenze e frequenze”, quanto tra richiami ad una certa elettronica tedesca, alle idee di Karlheinz Stockhausen. La distruzione dei canoni stereotipati della forma canzone lo porta verso un progressive avanguardistico sospeso tra esistenzialismo e questioni sociali, quali l’inquinamento del pianeta e la violenza politica. Album che non hanno avuto all’epoca molto successo, ma che col tempo si sono guadagnati l’aura di piccoli capolavori di visionarietà creativa forse unica in Italia.
Il tempo lo sposta poi verso un’arte ancora più complessa, se possibile, fatta di introspezione pura degli strumenti di composizione e adattamento minimale degli stessi, come nei successivi M.elle “Le” Gladiator o L’Egitto prima delle sabbie.
Al termine degli anni ’70 Battiato opta per un cambiamento di registro in grande stile, chiudendo di fatto una fase molto importante della sua carriera, e si adatta alla cosiddetta “musica leggera”. In seguito esternerà pareri non molto positivi su questo versante creativo che lo portò ad abbandonare la sperimentazione a favore di un pop di classifica di facile fruibilità, liquidandola come un semplice “stare al gioco”. Ma in tutta sincerità non ci sentiamo di condividere questo punto di vista, frutto forse di un senile senso di snobismo verso ciò che gli ha allargato di orizzonti verso un pop si più fruibile, ma nello stesso tempo infarcito di testi colti, intelligenti, spesso difficilmente interpretabili (ancora oggi molti si chiedono cosa sia il famoso “centro di gravità permanente” o dello “shivaismo tantrico di stile dionisiaco”, che milioni di anime hanno cantato mentre passavano per radio o allo stadio).
Con L’era del cinghiale bianco, nel 1979, Battiato torna alla forma canzone, ma non alle canzonette banali dalle quali voleva partire a inizio carriera (e che giustamente ha quasi ripudiato). L’esperienza della sperimentazione gli permette di imbastire arrangiamenti che spaziano dal jazz-rock alla musica sacra, senza perdere un briciolo della loro brillante immediatezza. E prosegue con l’ancora più riuscito Patriots, primo vero capolavoro della sua seconda vita artistica. Ma l’album manifesto dell’arte di Battiato resta il celebratissimo La voce del padrone del 1981, uno dei dischi italiani più venduti di sempre (si parla di oltre un milione di copie nel solo anno di pubblicazione). Questo disco presenta testi intelligenti e sfuggenti imbastiti su sette canzoni dagli arrangiamenti orecchiabili, alcuni persino ballabili. Uno sposalizio con la cultura pop (forse di sponda Warhol?) che non avrà nulla a che spartire con il “rincoglionimento precoce” di un certo Alan Sorrenti, che dal prog d’avanguardia dei primi bellissimi dischi si spostò sulla canzonetta da Festivalbar senza ritegno alcuno.
L’album si avvale di una grande presenza di strumenti spesso suonati in modo “orchestrale”, come una sorta di piccole sinfonie pop, ma senza eccessi barocchi, ma nello stesso tempo non disdegna piccoli ammiccamenti alle sonorità dell’epoca, come la new wave.
Apre una briosa Summer on a solitary beach, bagnata dallo schiumare delle onde che si infrangono sulle scogliere. Ma il primo capolavoro lo abbiamo nella sarcastica Bandiera bianca, che tra riferimenti espliciti a canzoni di grandi artisti del passato (Bob Dylan e i Doors sul finale) e macchiette del giorno d’oggi (Alan Sorrenti), e le citazioni delle Minima moralia di Adorno, scarica una spietata critica sociale alla cultura dei mass media, e alla società del benessere e del denaro, lobomotizzata e instupidita. Ma nello stesso tempo vi è spazio per una sorta di autoironia nel verso “c’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero”. Non vi sono eroi da celebrare, semmai c’è una realtà da dissacrare e snaturare in un pezzo rimasto nella storia della cultura pop italiana. Chiude il primo lato la delicatezza orchestrale de Gli uccelli, che nell’osservazione del volo intravede possibilità di elevazione anche per l’animo umano.
Il secondo lato si apre invece con la celeberrima Cuccurucucù, ispirata dalla Cuccurucucù Paloma di Tomas Mendez, Il poema dell’Iliade e Il mondo è grigio e il mondo è blu di Nicola Di Bari, cita a manetta classici dei Rolling Stones, Beatles e Bob Dylan. Una brillante sequenza di citazioni su un motivo catchy azzeccatissimo e scintillante! Si prosegue con l’atmosfera nostalgica e irreale della riflessiva Segnali di vita, e l’altro capolavoro del disco che è Centro di gravità permanente, sospesa tra ironia e psicoanalisi (il sé reale). Si citano i gesuiti euclidei e la dinastia dei Ming, e il motivo è di una brillantezza pop invidiabile! Chiude la romantica Sentimiento nuevo, un autentico inno ai sensi e alla loro celebrazione.
La voce del padrone è uno dei dischi pop perfetti, dove si può apprezzare l’immediatezza disarmante e l’alto valore culturale. Battiato qui non ha voluto solo “giocare”, ma si è sforzato di portare una buona fetta del grande pubblico dalla sua parte, conducendolo nelle sue vite, fatte di sonorità colte, e di riflessioni che spaziano dalla religione alla fisica, dalla filosofia alla psicologia, ecc… Il cammino proseguirà con altre vette, forse anche più grandi di questo disco, che comunque resterà emblematico di un pop di altissimo livello, delle quali vale la pena ricordare il pop mistico di Fisiognomica, Come un cammello in una grondaia e Caffé de la paix, toccando vette di un’eccellenza stupefacente, e avendo anche la possibilità di esibirsi per Giovanni Paolo II. Merita particolare menzione anche la terza vita artistica nata dal connubio con filosofo siciliano Manlio Sgalambro (deceduto il 6 marzo 2014) dalla quale sono state concepite opere come L’imboscata o Gommalacca.
Franco Battiato resta un vero e proprio monumento all’arte popolare e non solo italiana. Un artista capace di elevare il gusto delle masse fino all’empireo, importante e influente anche per l’ispirazione di altri illustri colleghi quali Giovanni Lindo Ferretti o la conterranea Carmen Consoli. Resterà sempre un affascinante uomo che ha permesso l’incredibile connubio tra arte popolare e poesia colta.

 

 

“Mio padre aveva avuto Salgari, io Battiato. Lui: Sandokan, Yanez, la Perla di Labuan, Tremal-Naik. Io: una vecchia bretone, gli studenti di Damasco, le prostitute libiche e i contrabbandieri macedoni. Generazioni a confronto, modi diversi di evadere”
(Riccardo Storti)

Agosto 2017: Franco Battiato – LA VOCE DEL PADRONE (1981)ultima modifica: 2017-08-14T10:17:49+02:00da pierrovox

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