Agosto 2017: The Jesus & Mary Chain – PSYCHOCANDY (1985)

Psychocandy

 

Data di pubblicazione: 18 novembre 1985
Registrato a: Southern Studios, Wood Green (Londra)
Produttore: The Jesus & Mary Chain
Formazione: Jim Reid (voce, chitarre), William Reid (chitarre, voce), Douglas Hart (basso), Bobby Gillespie (batteria), Karen Parker (cori), Laurence Verfaillie (cori)

 

Lato A

 

                        Just like honey
                        The living end
                        Taste the floor
                        The hardest walk
                        Cut dead
                        In a hole
                        Taste of Cindy

 

Lato B

 

                        Never understand
                        Inside me
                        Sowing seeds
                        My little underground
                        You trip me up
                        Something’s wrong
                        It’s so hard

 

 

Insomma, quanti grandi gruppi di rock’n’roll
abbiamo avuto dopo i Sex Pistols? Un cazzo di nessuno!
Questa è la verità! Solo i Jesus and Mary Chain!
(Bobby Gillespie)

 

9 giugno 1984: gli scozzesi Jesus and Mary Chain arrivano a Londra, invitati da Alan McGee, noto produttore discografico scozzese, che da anni vive nella capitale britannica, e suonano al Living Room. Quello che avrebbe potuto essere una sorta di lancio importantissimo (del resto Londra era da sempre la meta ambita di tutto il rock anglosassone, e giungere lì in qualche modo equivaleva all’avercela fatta!). Il concerto però si risolve in pochi minuti e una ventina di spettatori scarsi. Sono questi i primissimi passi di una delle band più seminali e importanti di tutta la storia del rock. Innovativa e nello stesso tempo ostinata nel personalissimo stile sonoro, che elevò il rumore al rango di musica. Non che furono i primi in questo, ma la sostanza coniugava psichedelia e sonorità abrasive e distorte, che non gli garantirono da subito il rispetto dell’ambiente. Non per niente il dipartimento marketing della Wea ebbe a celebrare la loro musica con un laconico “I Jesus and Mary Chain sono il gruppo più rivoltante e disgustoso che abbiamo mai udito”. È la prima volta quindi che il pubblico si rivela disattento di fronte ad un fenomeno importantissimo, e che l’ambiente discografico spesso sottovaluta ciò che nel tempo porterà sementi per il lancio di generi e nuovi stili, come ad esempio lo shoegaze che proprio da qui prenderà spunto. Senza i Jesus and Mary Chain non avremmo i My Bloody Valentine, gli Spiritualized, gli Spacemen 3 e altri fenomeni.
Ma i Jesus and Mary Chain sono espressione familiare, visto che gli artefici principali sono i fratellini Reid, Jim e William, che purtroppo per loro otterranno meno consensi dei fratellini Gallagher. A loro si unì prestissimo un imberbe ma già abbastanza smaliziato Bobby Gillespie, e Douglas Hart. La sostanza della loro musica si struttura sulla melodia pop e su quel Wall of sound tanto caro a Phil Spector, deviandola però su un noise/punk rock sostenuto dal feedback e dalle distorsioni delle chitarre e una ritmica minimale, ma efficace, prendendo lezioni tanto dai Velvet Underground quanto dagli Stooges.
Punta di diamante è il disco d’esordio Psychocandy, che seguiva il singolo Upside down, vera e propria pietra miliare di un genere in via di definizione, che accomunava la psichedelia alle incursioni punk, senza dimenticare la dolce melodia pop sognante e fluttuante. Si può dire a giusta ragione che questo disco si pone a crocevia tra la fine della new wave e l’inizio di qualcosa di tutto nuovo per il rock alternativo tutto. Un album devastato dalle scie chimiche delle droghe e dal teppismo giovanile, profondamente scozzese nel suo animo rude, ma nello stesso tempo agli antipodi del tradizionalismo.
Ed è così che Just like honey apre l’album con un suono elettrico e sospeso, con voci echeggiate e spettrali e delle percussioni serrate a tenere il tempo. The living end invece rinverdisce i fasti dei Suicide, tenendo alta la tensione con scariche elettriche, forsennate, isteriche. Taste the floor si sporca ancora di più di un suono degno di un cerimoniale gotico, e una voce che sovrasta tutto quel rumore con un perfetto senso della melodia e dell’insieme delle parti. Percussioni appena percettibili e un frastuono chitarristico a devastare menti e cuori, come ben presto avverrà in maniera ancora più estrema in Loveless dei My Bloody Vantine. The hardest walk accentua magnificamente l’afflato melodico in uno dei punti più alti del disco. Tra le pieghe di Cut dead si nascondono i fantasmi dei Velvet Underground, e i fratelli Reid diventano per un attimo Lou Reed e John Cale che ancora mettono a fuoco le loro ossessioni in una musica pericolosamente innocente. In a hole sprigiona tutto il suo terrorismo sonico, in un’attitudine che presto verrà presa in prestito dai Sonic Youth in deflagrazioni disturbate e valanghe di rumore bianco. E chiude il primo lato il fiume acido di Taste of Cindy.
Never understand aleggia lo spettro di Syd Barrett e di un certo garage rock anni ’60. Inside me pare provenire direttamente dal repertorio dei Cure più cupi ma girati ad acido. Sowing seeds in qualche modo si riaggancia all’elettrica danza psichedelica del brano d’apertura, mentre dagli abissi della terra sgorga il suono lontano e cupo di My little underground, con un suono che non impatta in faccia, ma coglie di sorpresa prendendo l’ascoltatore per le caviglie. Sul versante rumoristico c’è ancora spazio per la terrificante distorsione di You trip me up, mentre sul versante del pop sognante riemerge ancora una suadente Something’s wrong. It’s so hard chiude nel segno della distorsione e del rumore assordante.
Tutto questo compone un grandissimo capolavoro, maturo e degno manifesto della musica in movimento di metà anni ’80, e che ha lasciato un’eredità ben presto raccolta da tantissimi altri artisti, fino ai giorni nostri. Un album talmente grande e irripetibile che i Nostri non saranno più in grado di replicare, anche perché ben presto Bobby Gillespie lascerà la band per fondare i Primal Scream (e quanto deve ad esempio Screamadelica alle incursioni sonore di Psychocandy, immerse però nel siero della club culture? Ma anche XTRMNTR ed Evil heat). Il successivo e sottovalutato Darklands avrà l’unico difetto di succedere ad un album talmente grande da risultare imbattibile. E via via poi i fratelli Reid perderanno mordente fino alla separazione, e a sporadiche reunion, che però non riporteranno più la band a tali livelli. My Bloody Valentine e soci ringraziano. E noi con loro!

 

Quando sei i Jesus and Mary Chain, e la tua vita è delimitata da certe influenze, dando la mano ai Velvet Underground, Stooges, Ramones, Beach Boys… si avrà la tendenza a fare lo stesso disco più e più volte. E se sei Jesus and Mary Chain farai sempre un ottimo lavoro!
(David Quantick)

 

Agosto 2017: The Jesus & Mary Chain – PSYCHOCANDY (1985)ultima modifica: 2017-08-28T07:48:57+02:00da pierrovox

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