Ottobre 2017: R.E.M. – MURMUR (1983)

R.E.M._-_Murmur

 

Data di pubblicazione: 13 aprile 1983
Prodotto da: Don Dixon & Mitch Easter
Registrato: Reflection Studios (Charlotte, North Carolina)
Formazione: Michael Stipe (voce), Peter Buck (chitarre), Mike Mills (basso, cori), Bill Berry (batteria)

Lato A
Radio Free Europe
Pilgrimage
Laughing
Talk about the passion
Moral kiosk
Perfect circle

Lato B
Catapult
Sitting still
9-9
Shaking through
We walk
West of the fields

 

Abbiamo stipulato un contratto con il mondo che dice: Saremo il miglior gruppo del pianeta;

sarete orgogliosi di noi. Ma dobbiamo farcela a modo nostro

(Peter Buck)

21 settembre 2011. Un comunicato. La fine di un lungo viaggio durato oltre trent’anni. Ormai è ufficiale, anche se qualcosa si era in qualche maniera subodorata nei mesi precedenti… Un ultimo disco con un titolo inequivocabile (Collapse into now), la foto di copertina che ritrae tre persone che ti guardano negli occhi e quella mano che accenna ad un saluto, la decisione di non andare in tour. Ormai è ufficiale: i R.E.M. non ci sono più.
Di fronte ad una notizia del genere la sensazione è che le parole siano incapaci di esprimere il sentimento più profondo che si prova in quel momento. In un attimo affiorano immagini, suoni, parole, ricordi lontani… Si può pensare che quei testi così incomprensibili quanto fascinosi in qualche maniera esprimevano qualcosa di molto profondo che è nascosta nei meandri della vita… Si può pensare che quella voce altro non era che l’eco di un angelo mandato da Dio, perché la vita fosse più calda… Si può pensare che quella timidezza scontrosa, quella danza dall’andamento spastico, quella musica in fondo non era che un linguaggio divino coniato solo per alcuni eletti, e che se qualcuno ne parlava in qualche maniera era legittimo provare un po’ di gelosia… Perché in fondo certe note sono sempre una “questione privata”.
Ma si può anche pensare a giusta ragione che in fondo è grazie ai R.E.M. se la scena alternativa (andata poi al potere con i Nirvana) abbia ricevuto le attenzioni delle major e del grande pubblico, e che in fondo la storia del rock gli sia debitrice non solo del loro grande spessore, ma anche per la loro “silenziosa rivoluzione”.
Giusto quindi celebrarli oggi più che mai, nel momento in cui hanno deciso di defilarsi dal corso di quel grande fiume che chiamiamo rock. Perciò torniamo al 1978, ad Athens, Georgia, dove un ragazzo, taciturno e riflessivo di nome Peter Buck, decide di abbandonare la Emory University, intrapresa qualche anno prima col vago proposito di diventare un insegnante di inglese, per dedicarsi totalmente alla sua più grande passione: la musica. Fu assunto come commesso dalla Wuxtry Records, una piccola catena di distribuzione di dischi. Lì Peter si trovò a fare la cosa che più lo appassionava in assoluto: ascoltare musica. Fu qui che incontrò un certo Michael Stipe, che spesso bazzicava il negozio, con cui strinse un’amicizia basata sull’amore per la musica, e con cui condivideva il sogno di fondare un gruppo. In quello stesso periodo Peter Buck conviveva con una studentessa che si chiamava Kathleen O’Brien in una vecchia chiesa sconsacrata su Oconee Street. Fu lei che presentò a Buck e Stipe due giovani, Bill Berry e Mike Mills, appena trasferitisi ad Athens per iscriversi all’università. Un incontro determinante, poiché definì il quadro per la formazione del gruppo.
I R.E.M. (acronimo che starebbe per rapid eye movement, e che indicherebbe il momento del sonno in cui l’attività onirica è più intensa) dunque muovono i primi passi proprio da quella chiesa sconsacrata su Oconee Street, in una Athens che aveva già dati i natali ai B52’s di Kate Pierson (che collaborerà poi su Out of time duettando con Stipe su Shiny happy people e Me in honey) e ai Pylon, muovendosi tra il jingle-jangle lisergico, frenesie new wave e folk d’altri tempi, unendo quindi tradizione e innovazione, ammiccando tanto ai Byrds quanto ai Velvet Undeground.
Esordio discografico fu un mini, Chronic town (1982), dove il gargoyle che campeggia in copertina, espressione meditabonda e lingua beffardamente sporta fuori, è rappresentazione adeguata del sentire moderatamente gotico trasmesso tra i solchi: chitarra folkeggiante e circolare, intensa base ritmica, e basso e voce che disegnano le melodie. E sono proprio queste gli elementi caratterizzanti che contraddistingueranno la band nel corso della sua carriera: calde e nello stesso tempo arcane, vero e proprio strumento a sé del porgersi ieratico e dalla dizione ai limiti dell’inintelligibile. Cinque pezzi, quelli di Chronic town, che saranno una sorta di trampolino di lancio per il vero e proprio esordio adulto, Murmur, dove i quattro sfoggiano insieme freschezza da esordienti e temperie da veterani.
Trainato dall’inno Radio Free Europe, reincisa e ripubblicata, tutta giocata sul contrapporsi e l’intersecarsi di una chitarra dal sapore decisamente sixties, e un basso debitore tanto alla new wave inglese quanto alla disco music americana, il disco si muove in zone d’ombra piuttosto marcata, tra testi ambigui se non del tutto incomprensibili, e dalle atmosfere plumbee, come quelle che fanno capolino negli echi e nel basso pulsante di Pilgrimage o nella ruvida Laughing, sorretta da un basso in stile Gang of Four. Talk about the passion disegna invece alchimie rarefatte, avvicinando, dopo un’interlocutoria Moral kiosk, una bellissima e quanto incantata Perfect circle che chiude la prima facciata.
Il secondo lato si apre con la pulsante Catapult, che vanta un ritornello immediato, e una trascinante Sitting still, preseguendo per una spigolosa 9-9, la fascinosa filastrocca di We walk approdando a West of the fields, suggellando quello che è uno degli esordi più importanti e seminali di tutta la storia del rock.
Quello che verrà dopo è scritto nella storia, e non solo del rock, ma di ciascuno. Dalla meravigliosa sensazione di piacere sotterraneo del periodo I.R.S. alla consacrazione totale di Out of time; da Patti Smith, primo grande amore di Stipe che compare al loro fianco in E-bow the letter; dall’abbandono di Bill Berry per motivi di salute nel 1997 alla “rinascita” a tre… In tutto questo non c’è solo la musica… in tutto questo c’è e ci sarà sempre quel tono di fascinazione e mistero che resterà sempre qualcosa di incontrollabile, e che muoverà sempre i più profondi moti dell’animo.

“Credavamo davvero non tanto che i R.E.M. fossero il futuro del rock’n’roll, perché ormai era diventato un luogo comune, ma che rappresentassero un riavvicinamento a certi valori stilistici del rock, come l’americanità e il mistero. Tutto era confezionato e patinato, mentre i R.E.M. erano volutamente fumosi, oscuri, sotterranei e allusivi”

(Mat Snow)

Ottobre 2017: R.E.M. – MURMUR (1983)ultima modifica: 2017-10-30T08:01:21+01:00da pierrovox

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