“La rabbia delle donne nella musica era diventata, per me, una questione di principio” (Joan Jett)
Chi l'ha detto che il rock'n'roll deve essere per forza qualcosa che appartiene alla sfera maschile? Dov'è scritto che una donna non possa pestare a sangue sulla batteria, graffiare sulle corde della chitarra, urlare come una dannata, e impattare col suono violento il pubblico con quella carica di insana energia? Ecco, le Runaways della possente e aggressiva Joan Jett erano lì a porre queste domande, e nello stesso tempo a suon di sberle e calci nel culo, hanno voluto ribadire l'assoluta importanza della donna nella cultura rock, che a loro modo dire spesso è pervasa da uno strisciante maschilismo. Non a caso la loro popolarità e la loro importanza fu riconosciuta col tempo, quando altre degne figliole raccolsero la lezione impartita da queste madri rock'n'roll, e imposero la cultura delle riot girls, della femminilità aggressiva e del linguaggio sboccato. Le Runaways non volevano essere la parte dolce e amorevole della società, come spesso si relega la figura femminile nei vari contesti stereotipati; loro volevano essere delle selvagge figlie di puttana, con dentro il sangue bollente di chi vuole urlare al mondo la propria rabbia, e farlo con la sensualità aggressiva tipica della loro più sfrenata femmilità (riecheggiano ancora frasi come “Che me ne faccio delle palle quando ho le ovaie?”). Eppure, si dirà che in circolazione c'erano state già Janis Joplin ma con la sua morte si era portata nella tomba tutta una serie femminili utopie; Suzi Quatro, basso alla mano, e indossando le sue tutine di pelle nera stava cercando di imporre una nuova figura femminile nel rock, fatta di muscoli e sensualità; Patti Smith stava però infiammando parecchio la scena, quindi come cazzo venne in mente a queste “sgallettate” di parlare di “Girl power” nel rock'n'roll? Il punto non era non riconoscere quanto era avvenuto prima o stava avvenendo. Il punto era ribadire che le donne possono suonare il rock, e su questo Joan Jett e le sue compari non si tiravano affatto indietro, e nonostante le ridicolizzazioni del periodo da parte di una critica snob. Ma la rivalutazione negli anni più dietro non tardò comunque ad arrivare, e queste simpatiche signorine si presero addosso la croce del rock'n'roll e la portarono con devozione. Il gruppo partì in circostanze piuttosto particolari, quando nel 1975 Alice Cooper organizzò un party, e uno dei più importanti manager del periodo, Kim Fowley, vi incontrò una cantautrice ancora adolesccente: Kari Krome. Si parla del più e del meno, e Kim resta folgorato dalla sua bravura a tal punto da offrirle un contratto. Kari presenta poi al manager una sua amica, Joan Jett, innamorata folle del glam rock di Suzi Quatro, giovane chitarrista, e Sandy West, batterista. La cosa però diventerà un boomerang per Kari Krome, perché Fowley resterà impressionato dalle due amiche, e metterà alla porta proprio lei, mettendosi subito alla ricerca di una sostituta. Quando si dice che il destino alle volte è bastardo... Comunque all'annuncio risponde un'altra giovane chitarrista, Linda Ford, e più tardi arriva Cherie Curie. Al basso fu chiamata Micki Steele, ma poi costei messa alla porta, entrerà nelle Bangles, e in sostituzione arriverà Jackie Fox. Il primo passo della band sarà l'omonimo album pubblicato l'anno seguente. Il disco fu realizzato in appena due settimane, ed è una continua esplosione di energia. Non c'è spazio per il lento, per la riflessione, ma è tutto un inseguirsi di canzoni impazzite e di energia malsana, con delle ragazze sboccate che sbraitano la loro passione per il rock'n'roll, tirando in ballo un hard rock tanto di scuola Led Zeppelin, tanto di sapore Black Sabbath. Apre l'impazzita Cherrie bomb (prendendo ovviamente spunto dal nome di Cherie Curie), energico rock'n'roll fatto di energia e lingerie. Si è immediatamente travolti da una potente energia sessuale, da un ancestrale vortice dei sensi. Un pezzo che farà immediatamente scuola ai Blondie. Subito dopo vi piazzano una serrata You drive me wild, e una selvaggia Is it day or night? scritta dal produttore e manager Fowley. Thunder marcia a colpi secchi di riff e ritmica serrata, e chiude il primo lato una curiosa versione di Rock and roll dei Velvet Underground. Il lato B si apre con la cavalcata rock di Lovers, e procede col glam impazzito di American night, unendo tanto il suono graffiante delle chitarre quanto le linee melodiche a presa rapida. Abbiamo ancora spazio per le serrate Blackmail e Secrets, prima della chiusura affidata alla mini suite di Dead end justice, lasciando intravedere alcune distorsioni sonore che col tempo saranno patrimonio dei Sonic Youth. The Runaways quindi è un album importantissimo, molto bello e seminale, ma soprattutto un'icona del rock al femminile che diventerà un vero e proprio manifesto sonoro per tutte le donzelle che col tempo vorranno imbracciare la chitarra e fare rock, da Debbie Harry alle Hole, dalle L7 ad addirittura Britney Spears che riproporrà una personale e orribile reinterpretazione di I love rock'n'roll, dove l'unico sussulto viene dal peraltro fiacco videoclip dove la Spears si atteggia a biker con tanto di pantaloni di pelle e motocicletta, senza purtroppo per lei avere né l'aggressività selvaggia, né tanto meno la classe indomita di Joan Jett. I dissapori che verranno presto fuori tra le Runaways porteranno la band ad un precoce scioglimento, e la furia di questo esordio non sarà più la stessa.