Anima Fiammeggiante

Marzo 2018: John Lee Hooker - FOLK BLUES (1959)


  Data di pubblicazione: 1959 Registrato a: Detroit Produttore: John Lee Hooker Formazione: John Lee Hooker (voce, chitarra), Eddie Kirkland (chitarra), Tom Whitehead (batteria), Bob Thurman (piano), Otis Finch (sassofono tenore), Everett McCray (basso), Richard Johnson (batteria), Eddie Taylor (chitarra), Frankie Bradford (piano)   Lato A                           Baby, I'm gonna miss you                         Half a stranger                         Shake holler and run                         Down child                         Gonna boogie                         Lato B                           Bad boy                         Rock house boogie                         Let's talk it over                         Baby you ain't no good                         Lookin' for a woman  

"Il blues racconta una storia. Ogni riga del blues ha un significato" (John Lee Hooker)

 

Lo chiamano "Urban Blues" il suo. Un blues scarno, sanguigno, fatto di cose tolte, senza orpelli né abbellimenti (o presunti tali). Una chitarra nervosa e indisciplinata, che spesso preferisce alle rassicuranti sequenze di accordi blues l'incedere selvaggio di un unico accordo ritmico. Una predilezione per tonalità scure e riff ipnotici, ripetuti in maniera ossessiva e indolente. Una voce profonda e cavernosa, cruda e viscerale, prepotente e maleducata, evocativa e sensuale, in una parola ineguagliabile. John Lee Hooker ha attraversato il Mississippi e tutta la storia del blues, dal "modello campagnolo" al boogie elettrico degli anni ‘50, per continuare in seguito come virtuoso con le piccole formazioni americane dei '60 e terminando con il revival contaminato dalla "psichedelia" dei Canned Heat e nei vari duetti con artisti coevi. Folk blues, il suo aggressivo album d'esordio, rimane uno dei suoi dischi essenzialmente più brillanti. Hooker in studio suona in presa diretta con il solo ausilio della chitarra e della voce, grazie all'approccio drammaticamente recitativo che lo contraddistingue, una serie di brani già da tempo presenti nel suo originalissimo repertorio. Aiuta la ritmica, già abbondantemente presente nell'intenso modo di porsi all'elettrica, con i piedi segnando il tempo, cadenzato e costante. L'atmosfera è ipnotica grazie soprattutto al riverbero meccanico e ai giusti dosaggi di delay; il suono esprime, con una miscela alternata di durezza e riflessività, la cruda e dolorosa vita nel ghetto nero in contrapposizione con l'immagine di copertina che sembrerebbe riportare la questione alle origini campestri a Clarksdale e quindi alle primitive sonorità. In realtà il disco trasmette proprio attraverso il controsenso figurativo tanto la carica di violenza repressa di Hooker quanto la sua compassionevole nostalgia.