Anima Fiammeggiante

Marzo 2018: Leonard Cohen - SONGS OF LEONARD COHEN (1967)


  Data di pubblicazione: 27 dicembre 1967 Registrato a: Columbia Studios (New York) Produttore: John Simon Formazione: Leonard Cohen (voce, chitarra), David Linday (chitarre, batteria), Chester Crill (violino, viola), Solomon Feldthouse (chitarra, bouzouki, clavicembalo, flauto, xilofono, fisarmonica, tastiere), Chriss Darrow (basso), Nancy Priddy (cori)   Lato A                           Suzanne                         Master song                         Winter lady                         The stranger song                         Sisters of mercy   Lato B                           So long, Marianne                         Hey, that’s no way to say goodbye                         Stories of the streets                         Teachers                         One of us cannot be wrong    

Per sua natura, una canzone deve muovere da cuore a cuore” (Leonard Cohen)

 

Non si scrivono e si declamano poesie perché è una cosa carina; si scrivono e si declamano poesie perché si è membri della razza umana. E la razza umana avverte dentro di sé questo appassionato bisogno di vivere a contatto con la parte più bella e più nobile del suo animo. La poesia poi investe qualsiasi ambito della vita umana, dalle cose più umili e rintanate nel quotidiano, ai momenti cruciali. La poesia si sa esprimere in tutti i modi, dai gesti ai colori, dalle espressioni al suono, dalle arti figurative alla musica. Leonard Cohen può tranquillamente essere considerato un poeta, un vero poeta capace di toccare corde profonde dell’animo umano, e di armonizzarle con tutto il resto del creato e con il Creatore, esplorando e cantando di tematiche tra le più disparate, dalla religione al senso di isolamento, dalla sessualità alle tematiche più incentrate sulla persona umana e tutte le problematiche connesse. Leonard Cohen nasce a Montreal nel 1934 da una famiglia ebrea di origini polacche emigrata in Canada. Da studente mostra tutto il suo interesse verso la poesia, giungendo alla pubblicazione di un suo primo volume nel 1956 dal titolo Let us compare mythologies. La sua seconda raccolta di poesie dal titolo The spice box of the earth, uscita nel 1961, gli dona una certa popolarità e un certo prestigio. La sua curiosità culturale e la sua intelligenza gli procurano alla Columbia University di New York una borsa di studi per l’Europa, e così parte per la Grecia e si stabilisce nell’isola di Hydra, dove scriverà e pubblicherà due romanzi: The favourite game e Beautiful losers. Nello stesso tempo i suoi interessi non si limitano alla sola arte scritturistica, ma spaziano anche verso la musica, mostrando una certa familiarità con la musica folk, country e western, soprattutto di matrice dylaniana. Ed è così che in piena rivoluzione culturale giunge il suo primo album di canzoni. E pare andare in completa controtendenza, perché mentre il folk all’epoca era impegnato e politico, Leonard Cohen si divincola da questi temi, e affronta direttamente le tematiche legate alla persona umana, cercando di far ruotare la sua poetica e la sua musica attraverso dei binomi molto contrastanti quali i rapporti tra sesso e religione, peccato e redenzione, schiavitù e dominazione, e via dicendo… L’album si apre con le gesta e il ricordo di Suzanne, una ragazza vagabonda considerata pazza che diventa suo malgrado strumento di redenzione. L’interpretazione scarna di Cohen trova leggeri puntelli nei gemiti del violino, nell’arpeggio delicato della chitarra e negli angelici cori femminili. Una ballata talmente bella che Fabrizio De André ne offrirà una sua particolare reinterpretazione nell’album Canzoni. In Master song predomina la dicotomia tra schivo e padrone, e lo stravolgimento dei ruoli. Winter lady si adagia dolcissima come una ninna nanna aiutata dall’apporto del flauto e del clavicembalo. The stranger song dal canto suo sfodera un arpeggio di chitarra classica, un sussurro tipico della dolcezza di un menestrello medievale, da diventare una sorta di marchio di fabbrica coheniana Chiude il primo lato Sister of mercy, bellissima con i tocchi di sonagli, xilofono e fisarmonica. E questa canzone darà anche il nome anni più tardi aduna delle band più oscure e importanti degli anni ’80: i Sisters of Mercy. Il secondo lato si apre con la trascinante serenata di So long, Marianne, e segue la ballata intrisi di umori country Hey that way to say goobye, e il realismo tragico di Stories of the street. L’album poi si chiude nel segno della mestizia nelle cupe e gelide Teachers e One of us cannot be wrong. Crooner perfetto e aria distaccata, Leonard Cohen non cerca di alzare mai il tono in questo disco, semmai preferisce sussurrare parole che parlano al cuore dell’uomo di tutti i tempi. Non vuole tanto analizzare la situazione storico-sociale del suo tempo, quanto invece parlare al cuore dell’uomo. In un certo senso la sua poesia non cede al romanticismo, o all’utopia, quanto invece al mood maledetto e cupo di certe scuole di pensiero. E questa poetica è la base di un album universalmente riconosciuto come pietra miliare vera e propria e di un artista che anche nei momenti meno ispirati, non ha mai voluto cedere alla banalità, ma cercando di mantenere sempre vive quelle visioni metafisiche e quelle profonde meditazioni sulla condizione umana. Come un uccello su un filo…