Luglio 2018: Roger Waters – IS THIS THE LIFE WE REALLY WANT? (2017)

Roger Waters - Is this the life we really wants

 

Data di pubblicazione: 2 giugno 2017
Registrato a: United Recording Studios (Hollywood), Fivestar Studio (Los Angeles), Electric Lady Studios (New York), Wack Formula (Londra)
Produttore: Nigel Godrich
Formazione: Roger Waters (voce, chitarra acustica, basso), Nigel Godrich (tastiere, chitarra, effetti sonori), Gus Seyffert (chitarra, tastiere, basso), Jonathan Wilson (chitarra, tastiere), Roger Joseph Manning Jr (tastiere), Lee Pardini (tastiere), Joey Waronker (batteria), Jessica Wolfe (cori), Holly Leassig (cori), David Campbell (arrangiamenti archi)

 

Tracklist

 

                        When we were young
                        Dejà vu
                        The last refugee
                        Picture that
                        Broken bones
                        Is this the life we really want?
                        Bird in a gale
                        The most beautiful girl
                        Smell the roses
                        Wait for her
                        Oceans apart
                        A part of me died

 

Siamo ancora legati all’idea che possiamo
raggiungere lo scopo solo con la guerra
(Roger Waters)

 

Il rapporto con il padre perduto, la violenza e la tensione, la guerra e il senso della distruzione hanno da sempre tormentato la mente di Roger Waters, sin dai tempi dei Pink Floyd. Chi non ricorda, ad esempio, il senso di “lucida follia” che trasudava dalle note tormentate di The wall? Chi non ha bene impresse le immagini del film-musical di Alan Parker?
Ma chi è veramente Roger Waters? Un musicista onnipotente, prepotente, dominato da un ego spropositato, o un conclamato genio, scontroso e ribelle, lontanissimo anni luce dall’autocelebrazione della propria popolarità?
Per anni è stato il padre padrone della band da lui fondata assieme a Syd Barrett, amico e “crazy diamond”, gestendo le cose a modo suo, decidendo chi e come doveva rimanere (una delle sue vittime sacrificali sarà il povero Richard Wright, che cacciò malamente fuori dalla band durante le registrazioni di The wall), e alimentando non pochi scontri con l’amico/nemico di sempre, David Gilmour.
La sua carriera da solista ha avuto pochi, ma importanti dischi, e quasi tutti sono dominati dalle tematiche ossessive e claustrofobiche, ma sviluppate di volta in volta con un senso diverso della concezione artistica. Si pensi, ad esempio, al celebrato Amused to death, pubblicato nel 1992. Il disco si sviluppava sulle manifestazioni di Piazza Tien-An-Men, represse con la violenza, e la Guerra del Golfo. Waters era ossessionato dall’idea stessa di Dio, e di come potesse mai permettere che persone innocenti rimanessero vittime del fanatismo e della violenza. Del resto lui stesso viveva il senso del vuoto e della perdita dopo che suo padre fu ucciso durante la Seconda Guerra Mondiale.
Con lo stesso spirito, venticinque anni dopo, Roger Waters torna sulle stesse tematiche, ma con sviluppi differenti. La tematica è sempre quella della guerra, ma l’attenzione si sposta sulle “guerre preventive”, il fanatismo religioso, la radicalizzazione estremista, e la chiusura nell’individualismo. Roger Waters, ad oltre settant’anni, si chiede se è questa la vita che si vuole vivere, e lo fa con un lavoro certosino, le cui registrazioni sono durate sette anni, e avvalendosi della collaborazione di un gigante come Nigel Godrich, famoso per i suoi lavori con i Radiohead.
Il quinto album di Waters si apre con uno strumentale (When we were young), che nasce quasi dal nulla, come una nebbia sonora che diventa sempre più fitta, per poi scaturire nella ballata acustica di Dejà vu, che sembra la Mother del nuovo millennio, ed in un certo senso sposa le trame melodiche di The final cut. Waters si chiede se lui stesso fosse Dio, recuperando il nichilismo estremo di What God wants di venticinque anni prima. The last refugee si apre ad uno scenario di speranza, con le armi che finalmente vengono deposte. In Picture that invece si condanna senza appello la radicalizzazione politica, il rifugiarsi negli estremismi. Broken bones è la riflessione sull’utopia spezzata: la fine della Seconda Guerra Mondiale e la dissoluzione del nazismo avevano dato coraggio e speranza all’umanità, ma questa ha preferito nuovamente la violenza alla pace. La lugubre title-track è emblematica dei tempi che viviamo: parte con la voce di Donald Trump e cerca di spiegare i motivi per cui un imbecille può diventare presidente.
Bird in a gale si rivolge al disastro umano che ha portato al sacrificio di Aylan, il bambino siriano morto in mare e ritrovato sui bagnasciuga turchi. Le trame sonore ricordano Sheep. The most beautiful girl prova ad ammorbidire le trame, seppur lo faccia con una dolente ballata malinconica. Smell the roses, tra una citazione doorsiana e le prospettive apocalittiche, torna ad Orwell, e vede come i maiali prenderanno il potere e faranno di tutto carne da macello. Nelle ultime tre canzoni, Roger Waters riflette sulla perdita della donna amata, e quasi per analogia, riflette su questo il destino dell’umanità ferita, dilaniata dalla violenza.
Is this the life we really wants? è un album sublime e toccante, angosciante e senza speranza. Per Waters tutti sono colpevoli, non ci sono soluzioni, e il destino dell’umanità è quello dell’autodistruzione e della chiusura, esattamente come aveva predetto nel capolavoro The wall.

 

Un disco d’altri tempi, di bellezza dolorosa e vertiginosa, con vette inaudite e l’universo watersiano di sempre: gli orologi, le bombe, i gabbiani, la guerra, il padre (qui meno del solito), i cani, la tecnologia, l’urlo (quel suo urlo), la radio, la tv accesa, i cori. E una voce mai così profonda e definitiva
(Andrea Scanzi)

Luglio 2018: Roger Waters – IS THIS THE LIFE WE REALLY WANT? (2017)ultima modifica: 2018-07-16T09:53:56+02:00da pierrovox

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