Ottobre 2018: Francesco Guccini – VIA PAOLO FABBRI 43 (1976)
Data di pubblicazione: 1976
Registrato a: Bologna
Produttore: Pier Farri
Formazione: Francesco Guccini (voce, chitarra acustica), Ellade Bandini (batteria), Riccardo Grigolo (armonica), Deborah Kooperman (chitarra, banjo), Massimo Luca (chitarra classica), Alfrado Mancini (armonica), Giorgio Massini (chitarra elettrica, flauto dolce, dulcimer), Maurizio Preti (percussioni), Ares Tavolazzi (contrabbasso, basso), Vince Tempera (tastiere), Maurizio Vandelli (chitarre, tastiere)
Lato A
Piccola storia ignobile
Canzone di notte n. 2
L’avvelenata
Lato B
Via Paolo Fabbri 43
Canzone quasi d’amore
Il pensionato
“Io, Francesco Guccini, eterno studente (…) chierico vagante,
bandito di strada, solo piccolo baccelliere…”
(da “Addio”)
In un’intervista di fine anni ’80, Fabrizio De André si ritrovò a dover giustificare la sua posizione di poeta. E imbarazzato, pensò bene di prendere in prestito alcune parole di Benedetto Croce: “fino all’età di diciotto anni tutti scrivono poesie. Dai diciotto anni in poi restano solo due categorie a scriverle: i poeti e i cretini”. Lui precauzionalmente preferiva ritenersi un cantautore.
Stessa sorte toccherà ad un graffiante compagno di viaggio emiliano: tale Francesco Guccini, originario di un paesino sull’Appennino Tosco-Emiliano, Pavana. Nasce a Modena ben quattro giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, il 14 giugno 1940, ed in qualche modo quella follia imperialista che serpeggiava nelle strade italiane, e nei sogni di gloria di un duce più ripiegato sulle sue ambizioni che non sul bene comune, impressionerà sin da presto il piccolo Francesco, tanto da fare della pace e della non violenza una delle sue tematiche più appassionate.
La sua passione per la musica e la poetica di strada gli sarà suggerita sin da subito dalla vita contadina, e dalle amarezze della vita di città vissuta a Modena negli anni della sua adolescenza, ma anche dall’incontro dalla nuova musica proveniente dall’America e dai libri beat. Da ragazzo opererà diverse attività tra le quali un’esperienza come cronista presso la Gazzetta di Modena, per la quale realizzerà un’intervista a Domenico Modugno reduce dall’esperienza del festival di Sanremo nell’aprile 1960. Quest’incontro sarà per lui la svolta ad intraprendere la passione per la musica rock in maniera attiva. Da lì in poi tutta una serie di piccole e grandi esperienze in gruppi e comparsate varie che gli permisero di formarsi una prima esperienza, e di prendere confidenza con la scrittura.
Il suo primo album, Folk beat n. 1, pubblicato nel 1967, rivelava un’espressione ancora in ricerca di una maturità estetica, ma di certo poteva vantare un’esuberanza espressiva, densa di ballate e racconti (su tutte spicca Canzone per un’amica, scritta per una sua cara amica morta in un incidente stradale) sostenute da emozione e ricerca di giustizia sociale. Ricerca che gli arrecherà la non sempre comoda etichetta di “cantautore impegnato”. Nello stesso tempo si rafforzerà il rapporto con la band beat I Nomadi, che spesso si ritroveranno ad interpretare alcune delle sue canzoni più belle, tra le quali Aushwitz e Dio è morto, quest’ultima, giudicata blasfema e censurata dalla Rai, venne elogiata da Paolo VI e trasmessa più volte da Radio Vaticana, apriva ad uno scenario umano privo di ingiustizie, e dove non vince l’ideologia, ma la passione per l’umanità.
A questo seguirono altri due album, che non si fatica a definire “di transizione”, ma permeati da un’indole letteraria piuttosto marcata, giungendo a Radici, che può essere definito senza difficoltà alcuna come uno dei suoi massimi capolavori. L’altro suo grande capolavoro è appunto Via Paolo Fabbri 43, che prende il nome appunto dalla strada bolognese dove si trovava l’abitazione di Guccini: una strada dedicata ad un eroe antifascista e partigiano. Quest’album ha il merito di definire ancora di più il lato rock del suo autore, evocando scenari arcaici e senza tempo, e graffiante senza tante cerimonie. Il Guccini di quest’album è un uomo che rivendica il suo diritto di essere un uomo libero, soprattutto dalle logiche ingabbiatrici della critica, ma anche di ritrovarsi ancora a descrivere la sua terra e le sue vicende concrete, senza rinunciare alla ricerca sui versi, sulle parole.
L’album inizia con Piccola storia ignobile, dove Francesco Guccini prova a cimentarsi con un tema delicato e all’epoca fonte di polemica: l’aborto. Guccini cerca di descrivere una storia che possa essere “tipica”, rappresentativa di tutti i casi coinvolti in un tema tanto drammatico quanto discusso. Si procede con Canzone di notte n. 2, divagante ed ironica, in cui nel “vestire una risata” ci si oppone ad ogni forma di potere che scelga di imporsi con la violenza e il ricatto morale. Chiude il primo lato la celeberrima L’avvelenata, dolente e rabbiosa confessione della propria indipendenza artistica, della volontà di essere scevro da qualsivoglia etichettatura critica, e soprattutto una livorosa invettiva contro la critica musicale, ed in particolare verso Riccardo Bertoncelli, “colpevole” di aver massacrato e stroncato il suo disco precedente Stanze di vita quotidiana. Tutto questo però non pregiudicherà chiarimenti successivi tra i due, e la nascita di una lunga amicizia. Resta comunque un manifesto rabbioso di libertà assoluta declamata dall’artista. Nel 2010 Luciano Ligabue, amico intimo di Francesco Guccini (per lui scriverà il pezzo Ho ancora la forza per l’album Stagioni del 2000), riproporrà una sua personale “avvelenata” con Caro il mio Francesco, rivolgendosi proprio all’amico più grande per trovare una spalla nei momenti di difficoltà. Peccato che l’invettiva sia tale solo nelle intenzioni, e non tanto nell’esposizione…
Il secondo lato si apre con una lunga title-track, talmente autobiografica e personale, carica di ironia e sarcasmo, in cui addirittura si prende gioco di alcuni dei suoi colleghi illustri come Antonello Venditti, Francesco De Gregori e Fabrizio De André. Segue l’esistenziale Canzone quasi d’amore, definita dall’autore una “non canzone d’amore, ma del tentativo di prendere coscienza sul perché si scrive una canzone”, e chiude la descrizione desolata del quotidiano incolore de Il pensionato.
Via Paolo Fabbri 43 quindi è l’album personale e rabbioso di un gigante della musica italiana, che proseguirà la sua carriera (dichiarata conclusa nel 2012 col dolente L’ultima Thule) tra versi e suoni, bicchieri di vino ed eskimo logori, e viaggi fantastici tra la via Emilia e il West.
“Ho imparato a prenotare un impegno alla coerenza solo per i valori fondamentali su cui un uomo deve ispirare il loro comportamento: il dovere di onestà , sincerità , il coraggio , la responsabilità . Ma nel regno delle idee sono state proprio l’onestà, la sincerità e il coraggio che hanno costretto me di cambiare ogni volta che ho trovato di fronte all’evidenza del suo inganno, o la mia “
(Indro Montanelli)
Pasquale Pierro