“Io sto dalla parte di Dio, Colui che mi ha creato e ha fatto in modo che venissi generato sia dal bianco che dal nero” (Bob Marley)
La voce della rivoluzione, della rivendicazione dei diritti e della legittimazione del proprio essere in vita trova in Giamaica l'eco universale che si propaga in tutto il mondo con uno stile musicale che non ha bisogno di urlare, non ha i connotati della rabbia schiumante degli scontri di piazza, ma si estende gioiosa ed esuberante tra i proletari di tutto il mondo, che si uniscono quindi al suono della musica, portatrice più che mai di ideali nobili e degni di lotta. Tutto questo si chiama reggae, uno stile che miscela le musicalità latine, cantando delle gesta della gente di strada, degli ultimi. E il profeta indiscusso di questa rivoluzione non violenta era Bob Marley. Molte persone, ascoltando la sua musica hanno potuto intravedere segni di speranza, echi di possibilità non violente e realizzabili solo con la presa di coscienza della situazione umana. Bob Marley non invita ad imbracciare le armi per uccidere il fratello, ma non cede nemmeno al buonismo borghese che porta all'omologazione forzata, all'adeguamento del proprio stile di vita agli interessi dei potenti. E in più la musica nera non era qualcosa “di parte”, ma il tratto universale di una fratellanza realizzabile. Chiamatela pure utopia, ma questi ideali sono vero e proprio sale per la terra, perché vi sia più giustizia, perché l'uomo non ceda alla sete di vendetta e alla cecità dell'odio. Il suo percorso inzia nel lontano 1961, quando il giovane Bob incide il suo primo singolo, Judge not, per poi formare qualche anno più avanti un gruppo, i Wailers, che lo abbandoneranno nei primi anni '70 (le cause dello scioglimento sono ancora del tutto ignote), nonostante lui continuasse a utilizzare quella sigla sociale per i dischi successivi, dovendo però rifondare praticamente la band da zero. Nelle sue canzoni Bob Marley evocherà spesso le sue origini, lui figlio di un capitano della marina, uomo bianco, e di una donna nera. Questa unione così sorprendente alimenterà nel suo animo il desiderio di abbattere ogni pregiudizio, fonte di ogni vera schiavitù. La vena poetica delle tematiche delle sue canzoni è fortemente impregnata di un particolare afflato religioso proveniente dal Rastafarianesimo. E dopo un periodo intenso di formazione, di soggiorni negli Stati Uniti, arriva nel 1973 il suo primo album, Catch a fire, che poteva vantare la presenza di pezzi enormi, che diventeranno dei veri e propri inni della sua rivoluzione: Get up, stand up, I shot a sheriff (di questa poi Eric Clapton più in là ne farà una personale reinterpretazione). L'anno successivo venne pubblicato Natty dread, il primo a nome di Bob Marley & The Wailers, e fu il vero e proprio disco della consacrazione, non solo per il suo autore, ma anche per tutto un movimento musicale che da lì in poi avrebbe fatto irruzione nel mercato discografico di tutto il mondo. L'album si apre con Lively up yourself, reggae che procede come un pacificato mantra fatto di ricerca interiore. La progressione armonica del pezzo è elementare, identica a sé stessa, ma può vantare una straordinaria forza ipnotica, celebrando in particolare il Movimento Rastafari del quale lui era membro autorevole. Segue No woman, no cry, di sicuro il suo pezzo più famoso in assoluto, autentica perla nostalgica, imbevuta di misticismo e leggenda, con una voce delicata e pacata che sciorina ricordi deliziosi delle sue origini nei quartieri poveri, e un organo che disegna un'atmosfera liturgica e misterica. Di questa se ne ricorda una bellissima versione nell'indimenticabile Live! pubblicato nell'anno successivo. Dopo questa arriva la recriminazione politica di Them belly full (but we hungry) rivolta ad una nazione che lascia che i suoi cittadini muoiano di fame. Rebel music (3 o'clock Roadblock) procede sulla stessa invettiva politica, ma si arricchisce del suono incisivo dell'armonica a bocca. E questa chiude il primo lato. Il tono latino di So Jah Seh si ammanta di un particolare tema religioso, sempre legato alla spiritualità del Rastafarianesimo. Stesso afflato liturgico si avverte nella cadenzata title-track che la segue, mentre Bend down low vede Bob Marley cimentarsi nei panni di cantore romantico, seducente e aggraziato. La bellissima Talkin' blues diventa il canto di risurrezione del popolo giamaicano che vuole risollevarsi dalle sue sofferenze, dalla sua povertà estrema, dall'ingiustizia. E questa presa di coscienza è fortemente radicata nelle note di Revolution, che chiude l'album. La musica di Bob Marley non è quindi intrattenimento da salotto, ma rivoluzione vera e propria, il canto di milioni di disperati e desiderosi di riscatto, di vedere la realtà con gli occhi della verità, di valutare la miserevole condizione in cui è costretto a restare, e soprattutto a far emergere quell'istinto di libertà che cova nel cuore di ogni uomo. Queste canzoni quindi sono l'espressione più autentica di un desiderio di libertà, che trova le radici nel cuore del suo popolo, ma anche nella tradizione blues del Mississippi, nel canto dei neri nei campi di cotone e negli occhi di un'umanità che non vuole rassegnarsi alla precarietà. Natty dread quindi fu il vero e proprio manifesto sonoro e politico di un grande uomo, che da lì in poi vedrà crescere esponenzialmente il suo successo, il suo carisma e la sua fama, senza mai svenderla a nessuna logica di mercato. Purtroppo il cancro ce lo portò via molto presto, in un triste 11 maggio 1981. Ma è bello sapere che al suo capezzale, al figlio Ziggy in eredità lascerà queste parole: “Money can't buy life”. Segno che un uomo libero, veramente libero, lo rimane fino alla fine. E quel canto di libertà echeggia ancora nel vento!
“Bob Marley non ha scelto di camminare per il centro, ha corso sempre ai bordi, abbracciando un'unità. Voleva tutto allo stesso tempo, ed era tutto allo stesso tempo: profeta, anima ribelle, rasta-man, erbe-man, mistico, uomo della signora, isola, padre di famiglia e uomo di Rita, sciamano, giamaicano” (Bono)