Marzo 2019: Morrissey – VIVA HATE! (1988)

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Data di pubblicazione: 14 marzo 1988
Registrato a: The Wool Hall (Bath)
Produttore: Stephen Street
Formazione: Morrissey (voce), Stephen Street (basso, chitarra), Vini Reilly (chitarre, tastiere), Andrew Paresi (batteria), Richard Koster, Fenella Barton (violino), Rachel Maguire, Mark Davies, Robert Woolhard (violoncello), John Metcalf (viola)

 

Lato A

 

                        Alsatian cousin
                        Little man, what now?
                        Everyday is like sunday
                        Bengali in platforms
                        Angel, angel down we go together
                        Late night, Maudin Street

 

Lato B

 

                        Suedehead
                        Break up the family
                        The ordinary boys
                        I don’t mind if you forget me
                        Dial-a-cliché
                        Margaret on the guillotine

 

 

Più che un evento, è stata una conquista!”
(Morrissey)

 

Non è facile ricominciare tutto daccapo soprattutto quando hai avviato una carriera in un gruppo che è destinato a dettare le regole per il nuovo pop anglosassone. Gli Smiths saranno ricordati in eterno per essere stati uno dei gruppi più importanti ed influenti di tutti i tempi: sorti dalle ceneri della new wave britannica ad inizio anni ’80, hanno coniato uno stile completamente nuovo, che lambiva le trame nichiliste e oscure del post punk, ma le convertiva in una leggerezza apparente e dissacrante dettata da melodie e ricami chitarristici. Un disco come The queen is dead ha letteralmente segnato una generazione, quella britannica (e non solo) della prima metà degli anni ’80, quando imperava il consumismo e la Tatcher, la “lady di ferro”, stava letteralmente stravolgendo il settore lavorativo inglese. Tutto sembrava più incerto, e c’era una rabbia lampante, visibile, giù per le strade. Gli Smiths seppero raccoglierla, ma trasformandola in qualcosa di più “accessibile” e meno urticante della furia nichilista e antiestetica del punk. Per loro contava la poetica e la melodia. Ma i continui dissidi tra le menti del gruppo, Morrissey e Johnny Marr, sfoceranno nell’ormai inevitabile scioglimento del gruppo, avvenuta sulla fine del 1987, non appena era stato dato alle stampe il quarto e ultimo album Strangeways, here we come.
Da lì il percorso si fa nuovamente in salita. E mentre Johnny Marr preferirà lavorare più dietro le quinte (il suo primo vero album da solista arriverà solo nel 2013, con lo splendido The messenger, fatta eccezione per Boomslang con Healers del 2003, e altri dischi in progetti paralleli), Moz preferirà ricominciare tutto daccapo, e pertanto si rimette immediatamente al lavoro con Stephen Street, nel marzo del 1988 pubblica il suo primo album da solista, con un titolo perentoriamente nichilista: Viva hate!
Sotto il profilo nettamente stilistico non si discosta molto dalle cose fatte con gli Smiths (come potrebbe d’altronde?), ma nella poetica testuale si può tranquillamente affermare che è un passo in avanti compiuto da Moz verso la sua completa liberazione dal passato, che ormai pareva parecchio ingombrante. Il disco prosegue sulla falsariga del percorso precedente, e cioè continua ad indicare scenari sonori nuovi che verranno ben presto presi ad esempio per il nascente brit-pop (Suede e Blur ancora sentitamente ringraziano).
Si parte con i ritmi martellanti e le chitarre graffiate di Alsatian cousin, figlia diretta delle trame sonore di The queen is dead in particolare, sorretta da un basso pulsante e lineare. Segue una cupa Little man, what now?, brancolante nel buio di una melodia filo medievale, che poi si spinge fino all’apertura di Everyday is like a sunday, decisamente più ariosa ed enfatica, anche grazie all’ausilio della base d’archi. Bengali in platforms è uno spumeggiare di refrain delicati e armonie pop, mentre Angel, angel down we go together è interamente costruita sulla sezione d’archi (i Depeche Mode prendono nota, e faranno la stessa cosa con la loro bellissima One caress su Songs of faith and devotion). La lunga riflessione autobiografica di Late night, Maudin Street chiude il primo lato, tra ambizioni e sofferenze.
Il secondo lato si apre col bellissimo singolo brit-pop di Suedehead, che servì anche da lancio per il disco, e dal cui nome prenderanno spunto i Suede per la loro sigla sociale. Ancora legato ad alcune trame smithsiane, è un pezzo di solare bellezza, dove gli echi nostalgici di Morrissey gli conferiscono una leggera ventata di malinconia. E poi c’è Break up the family con le sue soffici armonie pop, tanto che per un attimo ci viene in mente il Bruce Sprigsteen di Tunnel of love (o forse è solo una suggestione!). The ordinary boys invece riflette uno spirito più soul, grondante di pura emozione, e I don’t mind if you forget me si rivolge invece verso territori sonori battuti da gente come Simple Minds o Duran Duran. Dial-a-cliché è un altro pezzo delicato e sospeso, che poi ci porta dritti alla conclusione tragica di Margaret on a guillotine (outtake degli Smiths di The queen is dead), in cui Morrissey augura all’allora primo ministro inglese un’esecuzione in perfetto stile giacobino. Un po’ come gli XTC di Dear God, qui si unisce terrore e armonia in un matrimonio blasfemo. Ma nello stesso tempo questo condensa lo stile e la poetica di un “pop pericoloso”.
Morrissey proseguirà la sua carriera con dei dischi sempre convincenti e molto buoni, tra i quali spiccano Bona drag e Your arsenal, senza mai scadere nella banalità. Artista con molti aspetti controversi, ma dotato di classe e genialità come pochi, e sempre combattivo come non mai!

 

Viva hate è una stetta vicenda abbastanza disciplinata rispetto a ciò che è stato fatto con gli Smiths
(Mark Coleman)

Marzo 2019: Morrissey – VIVA HATE! (1988)ultima modifica: 2019-03-21T09:05:13+01:00da pierrovox

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