“L’unica possibilità per evitare lo sfruttamento e le prepotenze è la rinuncia ad una vita normale” (Tom Morello)
L’intento dei Rage Against The Machine era quello di essere contro il sistema (economico, politico, sociale), e urlarlo al mondo. Questa era la missione che spinse quattro ragazzi a unire le proprie forze: denunciare alle masse le bugie, il malaffare e gli interessi di chi siede alla scrivania nella cosiddetta "stanza dei bottoni". E per farlo pensarono bene di unire due forme artistiche particolarmente rabbiose e cariche di rivendicazioni sociali: il rap, che nacque nei sobborghi americani, soprattutto dove dilagava la delinquenza e l’abbandono sociale, e il metal, carico di tutta la sua forza ultrasonica. Carico di questi sentimenti rabbiosi è il celebre e omonimo disco d’esordio. L'album si presenta come un cartellone di protesta sin dalla durissima copertina, che ritrae un celebre scatto di Malcolm Browne raffigurante l'auto-immolazione del monaco buddhista vietnamita Thich Quang Duc, che si diede fuoco nel 1963 in segno di protesta contro la presidenza del suo Paese e la politica oppressiva attuata nei confronti della sua confessione religiosa. Dal punto di vista strettamente musicale la forza d'urto non è da meno: il mondo del rock non aveva conosciuto ancora nulla di simile. Qualcosa era in fieri nel funky-rock dei Red Hot Chili Peppers che con Give it away avevano sfondato nel panorama musicale dell'epoca, o nelle sperimentazioni dei Faith No More, ma Rage Against the Machine toccò livelli inesplorati e mai più raggiunti. Una sezione ritmica perfetta e quanto mai appropriata; la batteria di Brad Wilk non è incredibile quanto a velocità o tecnica, ma bada al sodo ed è pesante il giusto, non dimenticandosi di assecondare i vari stati d'animo ora dormendo sorniona, ora ripartendo a razzo, ora deflagrando in un'esplosione di piatti a seconda del momento; essa si sposa perfettamente alle linee di basso massicce e allo slap tipico di Tim Commerford, il quale stende un magnifico sottofondo di note su cui va ad appoggiare l'estro di Tom Morello. È in particolare il basso a caratterizzare le canzoni con quel suo sferragliare metallico ma sempre opportuno, protagonista quanto e forse più degli altri strumenti e non relegato a semplice comprimario, fratello gemello di una cassa e rullante magistrali. L’album si apre con la bomba sonora di Bombtrack, funkeggiante e scoppiettante, proseguendo con lo stesso livore in Killing in the name e Take the power back. Settle for nothing invece dal canto suo mette insieme un’ossessiva ripetizione di parole. E la stessa cosa succede nella cruenta Bullet in the head. Know your enemy invece è uno degli inni assoluti della band, oltre che mantra di tutta l’ideologia “contro” degli anni ’90. Wake up dal punto di vista sonoro riprende le tematiche sonore dei Led Zeppelin, e le proietta in una sollevazione di massa contro le ingiustizie. Il disco si proietta verso il finale con gli assalti di Fistful of steel e Township rebellion. E si chiude con l’inno rabbioso di Freedom, che non è il canto appassionato di Joan Baez negli anni ’60, ma la rivendicazione incattivita della nuova generazione. L’album è uno dei capisaldi della cultura rivendicativa degli anni ’90, oltre che perfetto incrocio di due modi di fare musica apparentemente inconciliabili. Col tempo i Rage Against The Machine doppieranno questo grande esordio con l’altrettanto valido Evil empire e The battle of Los Angeles. Poi Zack de La Rocha deciderà di abbandonare la compagnia e il gruppo si divide. Resta comunque un fenomeno straordinario di rabbia ed impegno che abbatterà parecchi muri!