Giugno 2019: Santana – ABRAXAS (1970)

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Data di pubblicazione: Settembre 1970
Registrato a: Wally Heider Studios (Los Angeles)
Produttore: Fred Catero & Carlos Santana
Formazione: Carlos Santana (voce, chitarra, cori), Gregg Rolie (voce, tastiere), David Brown (basso), Michael Shrieve (batteria), José Chepito Areas (percussioni, bongo, timpani), Mike Carabello (persuccioni, bongo), Rico Reyes (percussioni, cori), Alberto Gianquinto (piano)

 

Lato A

 

                        Singing winds, crying beasts
                        Black magic woman / Gipsy queen
                        Oye como va
                        Incident at Nashabur

 

Lato B

 

                        Se a cabo
                        Mother’s daughter
                        Samba pa ti
                        Hope, you’re feeling better
                        El Nicoya

 

 

  Il mio lavoro è dare alla gente
un’estasi spirituale attraverso la musica
(Carlos Santana)

 

Il rock non è stato solo un genere musicale capace di rinnovare radicalmente l’approccio alla musica popolare e colta nella seconda metà del ‘900, ma è stato soprattutto capace di fondere in un unico linguaggio espressioni radicalmente diverse, e che solo così, nella musica, potevano avere un verbo comune. Col termine “fusione” si fa quindi riferimento proprio alla capacità di mettere insieme non solo tradizioni diverse, ma anime differenti, e farle dialogare con tanta armonia. E verso la fine degli anni ’60, il circolo di Bill Graham seppe imporre all’attenzione del pubblico amante del rock un gruppo capitanato da giovane chitarrista messicano, che aveva preso il nome proprio dal cognome del suo leader: i Santana. In effetti il gruppo altro non era che una sorta di one-man band, dove la personalità dell’artista leader non era solo carismatica, ma decisamente imponente. Resta che questo gruppo seppe all’epoca coniare un nuovo linguaggio musicale, che attingeva a tante tradizioni, ma soprattutto sapeva unire, abbattendo steccati politici e razziali, che all’epoca separavano il Messico dagli Stati Uniti. Quel linguaggio si è soliti chiamarlo “latin rock”, espressione di un’intelligente fusione di diversi generi, tra la salsa e il rock, il blues e il jazz, aprendo ad una veste sonora poliglotta e impressionante, oltre che eseguito con una tecnica riconoscibile e unica, tanto da diventare fonte stessa di ispirazione per molti altri artisti. E se la musica è da sempre portatrice di grandi ideali, questa fusione sonora operata da Carlos Santana con il suo gruppo seppe dare delle nuove prospettive ad un mondo che ancora concepiva il rapporto tra gli esseri umani in termini di separazione ideologica. Non a caso una delle esibizioni epocali del gruppo la si può ravvisare nello storico festival di Woodstock, dove pace, amore e musica erano le chiavi ideali per aprire all’umanità una speranza nuova, in netto contrasto con i venti di guerra che soffiavano in Vietnam e nel resto del mondo.
La band esordì con un omonimo album nel 1969, che ottenne un discreto successo. L’album era l’espressione autentica di questo nuovo linguaggio che univa musica latina e rock, anche se il vero e proprio salto di qualità di artista e band arriverà col secondo disco, forte anche di un lavoro sulle sonorità più incisivo e raffinato.
Abraxas, che prendeva il nome da una citazione di Demian di Herman Hesse, dalla chiara espressione gnostica, diversamente dal primo disco, vantava un suono fresco e tropicale, ma anche una sperimentazione più acuta nella miscela tra i diversi generi, tanto che si rivelò si da subito un album difficile da catalogare. Tra i suoi solchi ribollono ardori latini, ma anche il blues, il jazz, il rock’n’roll, fondendosi in una formula sorprendente.
Apre il disco il sognante strumentale di Singing winds, crying beasts, echeggiante gli umori jazz e latini di Bitches brew di Miles Davis, e si prosegue col blues tropicale di Black magic woman /Gispy queen, scritta e composta da Peter Green per i Fleetwood Mac, ma scartata dalla band poiché giudicata non all’altezza del resto delle sue composizioni. Qui Carlos Santana ne offre invece una versione suadente e caldamente sensuale, dove pare di respirare il dolce profumo della pelle nera delle donne latine in un’atmosfera dall’alto tasso erotico. A questo punto giunge Oye como va, ballata ballabile in salsa cubana, indiscutibilmente uno degli inni più conosciuti dell’artista messicano, mentre chiude il primo lato il jazz esotico di Incident at Neshabur, spumeggiante e fantasioso.
Apre il secondo lato la ritmata e tribale Se a cabo, e si prosegue con un altro pezzo che fonde blues e salsa: Mother’s daughter, sulfurea e irresistibile, composta da Gregg Rolie, assieme Hope you’re feeling better, quest’ultima più rockeggiante e granitica. Menzione a parte merita Samba pa ti, lenta e suggestiva, incentrata su un’esibizione deliziosa di Santana, che mette in primissima linea la sua chitarra, divenendo uno dei suoi marchi di fabbrica più conosciuti e apprezzati. Chiude la ritmata e brevissima El Nicoya, riportando nuovamente l’ascoltatore sulle sponde cubane.
Abraxas è considerato universalmente il capolavoro assoluto di Carlos Santana, che da lì in poi vedrà crescere la sua popolarità in maniera impressionante, diventando uno dei chitarristi più conosciuti e imitati di sempre. Ma in qualche modo da lì inizierà per Santana un lento ed inesorabile declino, che lo porterà a preferire collaborazioni ed esibizioni sempre più autocompiacenti, perdendo quella magia espressa nei suoi primi due album. Il culmine sarà raggiunto dal celebratissimo Supernatural, pubblicato nel 1999, e che abbracciava un afflato pop più da Mtv che da Woodstock, parodia delle musicalità genuine del latin rock da lui coniato e promosso, che seppe ottenere i suoi enormi riscontri commerciali, ma vide calare mostruosamente quelli emotivi. E da allora in poi la formula è stata più o meno sempre la stessa. Ma se l’odierno Santana suona spesso insopportabile e scontato, quello di Abraxas aveva coniato qualcosa di particolarmente eccitante, grazie ad un tocco mistico e sensuale, elegante e viscerale, primitivo e colto, destinato ad unire. Sempre!

 

Giugno 2019: Santana – ABRAXAS (1970)ultima modifica: 2019-06-06T08:28:32+02:00da pierrovox

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