Luglio 2019: Creedence Clearwater Revival – COSMO’S FACTORY (1970)

Cosmo's factory

 

Data di pubblicazione: 25 luglio 1970
Registrato a: Wally Heider Studios (San Francisco)
Produttore: John Fogerty
Formazione: John Fogerty (voce, chitarre, piano, sassofono, armonica), Tom Fogerty (chitarra ritmica), Stu Cook (basso), Doug Clifford (batteria)

 

Lato A

 

                        Ramble tamble
                        Before you accuse me
                        Travelin’ Band
                        Ooby Dooby
                        Lookin’ out my back door
                        Run through the jungle

 

Lato B

 

                        Up around the bend
                        My baby left me
                        Who’ll stop the rain
                        I heard it through the grapevine
                        Long as I can see the light

 

 

                        Sono quattro gli ingredienti di cui abbisogna una grande canzone rock’n’roll. In questo preciso ordine: titolo, suono, parole e un riff di chitarra che lo ascolti e non te lo scordi più”
(John Fogerty)

 

Chissà se poi realmente hanno beneficiato dei loro effettivi meriti in termini di popolarità visto che nella storia le sono state sempre preferite band come Doors, Led Zeppelin o Rolling Stones, ma una cosa è certa: i Creedence Clearwater Revival sono stati una delle band rock’n’roll più belle e folli di tutta la storia. Senza di loro, forse, personaggi energici e romantici come Bruce Springsteen non esisterebbero. La band californiana ha posto in un certo senso le basi perché il rock fosse qualcosa di veramente trascinante. In effetti la citazione di Fogerty posta poc’anzi riporta la loro filosofia essenziale, e in effetti sono stati quelli gli ingredienti per una formula efficace quanto essenziale. Non vi sono particolari virtuosismi nel rock dei Creedence, semmai tutto si risolve con la secca quadratura di riff efficacissimi e una voce roca e nello stesso tempo molto epica, proprio come quella del Boss. E le loro canzoni… delle vere e proprie cavalcate rock cariche di energia e spontanea vitalità.
In un certo senso i Creedence non hanno inventato chissà quale nuovo liguaggio, anzi, il loro è particolarmente retrò, affidato al connubio di musica folk, country, blues e rock’n’roll, con qualche spruzzata rockabilly, ma suonato con vigore e una forza del tutto inedite per il southern rock degli anni ’60, e che si affacciava al nuovo millennio dove progressive e hard rock stavano prendendo la meglio. Figli di Bo Diddley, guardano al blues e al rock in maniera tanto tradizionale quanto progressista.
San Francisco poi è la capitale solare di un certo tipo di rock che stava prendendo sempre più piede, grazie ai contributi di gente come Jefferson Airplane e Grateful Dead, e i Creedence Clearwater Revival anteponevano alla psichedelia l’antica tradizione folk-rock di efficace impatto.
Quanto ai dischi, potremmo praticamente citarli tutti, tranne lo scialbo e fuori fuoco Mardi gras del 1972, che dei Creedence conteneva il suono ma non l’anima. Optiamo per il più “completo” e straordinario Cosmo’s factory, proprio perché rispetto ai precedenti, mostra un’identità più aperta alla contaminazione e all’osare delle cose nuove. Ma in questa sede vanno perlomeno citati l’eccellente Green River (1969) e il capolavoro Willy and the poor boys (1970), non fosse per altro che per la presenza di due classici sempre verdi come Fortunate son e Effigy.
Cosmo’s factory si manifesta sin da subito come il classico per eccellenza nella discografia dei Creedence, il punto più alto di una discografia sino ad allora generata in un completo stato di grazia. Nello stesso tempo Cosmo’s factory mette in primissima luce tutti gli ingredienti più importanti della band californiana: dai riff micidiali per autentici inni rock, svisate rock e country, ballate rock, ritorni alla terra dei padri nelle radici del folk e del blues e improvvisazioni strumentali dall’animo sperimentale. Tutto questo lo si può apprezzare nel fulminante brano iniziale Ramble tamble, uno dei capolavori assoluti dei Creedence: riff incisivo e voce roca, e nel rallentamento assistiamo ad una metamorfosi del brano del tutto inaspettata e sorprendente, salendo poi sempre più di tono in un vortice elettrico davanti al quale si resta praticamente storditi per tanta bellezza. Dopo questo vortice, la band cerca di dare una qualche certezza nella prima delle cover in scaletta, con una brillante versione di Before you accuse me di Bo Diddley. Travelin’ Band invece mette insieme sia Little Richard che Jerry Lee Lewis, conducendo l’ascoltatore indietro nel tempo. Stessa cosa succede con il rock’n’roll di Ooby Dooby di Roy Orbison, presa dalle tante perle uscite dai mai fin troppo celebrati Sun Studios di Elvis Presley. Dopo queste incursioni nel rock’n’roll di scuola anni ’50, il viaggio prosegue nei territori del country rock, ed è qui che Lookin’ out the back door arriva con il suo ritornello contagioso, la sua melodia efficace eppur semplicissima, e le sue chitarre vivacissime. Di diversa estrazione è invece l’ansiogena Run through the jungle, dove invece il tema del Viet Nam viene fuori con rabbia e livore. Le atmofere sono vagamente psichedeliche, e il terrore della guerra lo si avverte balenare nell’atmosfera.
Il secondo lato si apre da un riff alla Keith Richards che introduce il rock duro di Up around the bend. E anche la martellante My baby left me, ripresa dal catalogo della Sun Records non disdegna un approccio più duro rispetto alla sua anima rockabilly. E dopo queste arriva un altro grande capolavoro del disco, la bellissima Who’ll stop the rain, dove il tema del Viet Nam questa volta è visto con solare serenità, nonostante gli scenari tetri della guerra. Il disco comunque poi si riserva una sorpresa del tutto inaspettata in una lunga e cruda versione di I head it through the grapevine di Marvin Gaye, riagganciando la band alle radici black della musica rock americana. E se la versione dei Creedence preferisce una lunga e abbacinata jam di soul rock trascendentale a discapito della sensualità della versione originale, non si può certo rimproverare a John  Fogerty e compagnia di averne snaturato il senso, facendo perdere il brano in vortice chitarristico incredibile. Chiude il disco il soul rock alla Otis Redding di Long as I can see the light.
Come detto in precedenza, i Creedence non inventano un nuovo linguaggio, ma sentono di dover parlare gli idiomi già esistenti con personale e orgoglioso impeto, facendo del loro suono qualcosa di riconoscibile eppure così splendidamente inimitabile. E saranno in tanti coloro che si abbevereranno a questa fonte di energia e di ispirazione per gente come Bruce Springsteen, John Mellencamp, Tom Petty, Lynyrd Skynyrd, Uncle Tupelo o Wilco.
Dopo il poco fortunato e confuso Mardi Gras decideranno di chiudere baracca e burattini, e John Fogerty preferirà portare avanti un discorso da solista di discreto successo. E se è vero che come disse una volta Doug Clifford: “Sopravviveremo a tutto, tranne che al successo”, è anche altrettanto vero che la loro musica, non solo è sopravvissuta all’oblio del tempo che tutto copre, ma ne è così splendidamente fuori, come tutte le belle cose!

 

Luglio 2019: Creedence Clearwater Revival – COSMO’S FACTORY (1970)ultima modifica: 2019-07-25T13:28:54+02:00da pierrovox

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