Dicembre 2019: The White Stripes – WHITE BLOOD CELLS (2001)

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Data di pubblicazione: 3 luglio 2001
Registrato a: Easley-McCain Recording (Memphis)
Produttore: Jack White
Formazione: Jack White (voce, chitarre, piano, organo), Meg White (batteria, percussioni, voce, cori)

 

Tracklist

 

                        Dead lives and the dirty ground
                        Hotel Yorba
                        I’m finding it harder to be a gentlemen
                        Feel in love with a girl
                        Expecting
                        Little room
                        The union forever
                        The same boy you’ve always known
                        We’re going to be friends
                        Offend in every way
                        I think I smell a rat
                        Aluminium
                        I can’t wait
                        Now Mary
                        I can learn
                        This protector

 

Ognuno la bellezza se la cerca dove vuole
(Jack White)

 

Marito e moglie? Fratello e sorella? Boh… Chi lo sa? Resta ancora il dubbio di quale sia realmente il legame di parentela tra Jack e Meg White, ma una cosa è certa: i White Stripes restano una delle più scoppiettanti e travolgenti accoppiate che il rock del nuovo millennio abbia mai potuto vantare. Per certi versi tradizionalisti, considerato che hanno portato nel nuovo millennio uno stampo punk-rock garage di impatto violento e devastante, sulla scuola degli Stooges in primis, senza però misconoscere le radici della folk music nell’alveo della protest song, i White Stripes hanno introdotto il rock’n’roll nel nuovo millennio con fierezza e sagacia, divenendone uno dei punti cardini, oltre che fenomeno generazionale, senza peraltro svendersi nemmeno quando la febbre mondiale nel 2006 fece di Seven nation army il tormentone del “po po po po”, che poteva avvallare ambizioni di ben altro tipo. Hanno saputo dire la loro, e quando è servito in punta di piedi hanno chiuso una storia lunga quasi quindici anni, annunciando lo scioglimento il 2 febbraio del 2011.
Ognuno dei loro album è un vero e proprio monumento all’arte di fare rock, fondendo garage, punk, blues, folk in una soluzione ora scoppiettante (erano in due, ma facevano più rumore di una band composta da quattro matti), ora intimista, struggente, toccante. E nello stesso tempo però Jack White non ha mai nascosto il suo lato più eclettico e aperto all’esplorazione: si contino le sue innumerevoli collaborazioni e progetti, dai Raconteurs ai Dead Weather, fino ad una interessante carriera da solista, che comprende pure una curiosa rivisitazione di Love is blindness degli U2 per un tributo ad Achtung baby per la rivista britannica Q. Tradizione quindi e innovazione, e due menti aperte alle fascinazioni della musica.
Di tutti gli album dei White Stripes, quello che potrebbe riflettere meglio e in senso storico la loro leggendaria importanza è il terzo: White blood cells, dedicato tra le altre cose a Loretta Lynn. Seguiva di un anno il bellissimo De Stijl, ispirato nel titolo ad un’omonima rivista olandese, che approcciava con un suono particolarmente lo-fi e caratterizzato da metodi di registrazioni di altri tempi. White blood cells otterrà ai White Stripes un successo ancora più corposo, che poi si confermerà con esiti ancora più sorprendenti col successivo e celebratissimo Elephant, grazie a canzoni secche, energiche fino a fare male a sangue, e alcune ballate che paiono così brillantemente essere fuori dal tempo. In un certo qual modo White blood cells è un piccolo monumento del “nuovo rock” del 2000, un piccolo capolavoro di tradizione e innovazione, qualcosa destinata a rimanere.
Apre con fierezza la distorta ed efficacissima Dead leaves and the dirty ground, pregna di lugubre fascinazione e cattive intenzioni. Iggy Pop e gli Stooges sono appena dietro l’angolo. Spezza il country schizoide di Hotel Yorba, e si ripiomba nel garage contaminato di folk-country di I’m finding it harder to be a gentlemen, con roboanti ceffoni chiarristici e un motivetto pianistico strumentale a fare da ritornello. Neanche il tempo di respirare che arriva la travolgente furia punk di Feel in love with a girl per neanche due minuti di passionale energia. Se c’è qualcosa che potrebbe spiegare cosa ti combina l’amore, ecco che arriva puntualmente questo pezzo bellissimo con i suoi “aaaaaahhhh ahhhhhh ahhhhh” e i suoi ritmi irresistibili che non possono non farti muovere il culo. Ne fornirà una rivisitazione particolare Joss Stone nel suo esordio The soul sessions virandola in Feel in love with a boy. Expecting, aperta da un torrido riff blues a la Jon Spencer, richiama le passioni cattive di PJ Harvey del primo periodo. I cinquanta secondi di Little room legano con le trame oscure e vagamente psichedeliche di The union forever, frutto di ossessioni e passioni urlate. The same boy you’ve always knows è una bellissima ballata elettrica dall’incedere romantico e lievemente pacificato.
A questo punto il disco spezza la sua tensione elettrica e si concede una “pausa” folk nella melodia scarna e scheletrica di We’re going to be friends. Subito dopo il viaggio procede col blues malato di Offend in every way, cadenzata e scoppiettante, e trova fascinazioni latine nella spagnoleggiante I think I smell a rat, con tanto di scariche elettriche. Trame noir e vagamente noise per Aluminium, “metallica” sin dal titolo, mentre I can’t wait è un’altra bellissima ballata elettrica che tiene sempre alto il tasso energico del disco. Now Mary incede con allegra e gioia spensieratezza, I can learn torna in zone più oscure, e si chiude con This protector, pianistica, languida e sognante.
Come detto poc’anzi, White blood cells è un piccolo capolavoro. E i White Stripes una delle band chiave del rock del nuovo millennio, dotata di grandi ambizioni e grande senso della realtà, oltre che di un’umiltà non comune a tutti. Pochi avrebbero resistito alla tentazione del successo di massa, quando il richiamo delle masse era come l’eco di una sirena bastarda che si ergeva dalle curve degli stadi. Pochi avrebbero resistito alla tentazione di monetizzare in fretta e furia la loro fama, e di esempi “eccellenti” e presto caduti in disgrazia se ne potrebbero fare moltissimi. E forse Get behind me Satan e Icky thump qualche incertezza cominciavano a mostrarla, ma di certo non si può rimproverare al duo di Detroit la mancanza di ispirazione. E quando questa ha mostrato il proprio volto, hanno deciso di chiuderla lì e basta. Il resto lo dice la storia, e quei riff micidiali che ancora ci faranno muovere il culo al suono di quella musica!

 

Questi due ci sanno fare e si fanno apprezzare per carica vitale e spontaneità; per carità, niente di nuovo sotto la luce del sole, ma solo quaranta minuti di sano, eccellente, antiquariato”
(Giuseppe Fabris)

Dicembre 2019: The White Stripes – WHITE BLOOD CELLS (2001)ultima modifica: 2019-12-02T07:55:05+01:00da pierrovox

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