Luglio 2020: The Mama’s & The Papa’s – IF YOU CAN BELIEVE YOUR EYES AND EARS (1966)

The Mamas & The Papas - If you can believe your eyes and ears

 

Data di pubblicazione: 28 febbraio 1966
Registrato a: New York
Produttore: Lou Adler
Formazione: Denny Doherty (voce), Cass Elliot (voce), John Philipps (voce, chitarra), Michelle Philipps (voce), Philip Gary Sloan (voce, chitarre), Larry Knechtel (tastiere, basso), Hal Blaine (batteria), Joe Osborn (basso), Bud Shank (flauto), Peter Pilafian (violino elettrico)

 

Lato A

 

                        Monday, monday
                        Straight shooter
                        Got a feelin’
                        I call your name
                        Do you wanna dance
                        Go where you wanna go

 

Lato B

 

                        California dreamin’
                        Spanish Harlem
                        Somebody groovy
                        Hey girl
                        You baby
                        In crowd

 

 

Sognando la California

Negli anni ’60 il sogno americano in Italia era qualcosa di più del semplice miraggio di Alberto Sordi nel suo Un americano a Roma. L’America non era più solo il miraggio della ricchezza e del benessere, ma l’ideale della libertà di pensiero e dei costumi. In particolare l’ideale hippy, caratterizzato dai vestiti decorati con fiori o da colori particolare vivace, e da slogan pacifisti che richiamavano la ricerca sfrenata della libertà, scevra dai preconcetti della vita medio borghese e da tutti i suoi legami. Questo ideale divenne una vera utopia che faceva vibrare il cuore delle giovani generazioni, che nella musica, nell’amore libero, nelle droghe e nel pacifismo cercavano una via nuova per la propria identità. E fu così che nel 1966 nelle radio italiane girava la famosissima canzone Sognando la California dei Dik Dik. Il pezzo non era loro, ma era una cover di un gruppo americano, che Mogol presentò a Pietro Montalbetti, che ne restò pressoché folgorato per quelle radiose soluzioni vocali e quelle armonie del tutto nuove. La California in particolare allora, col suo sole, il suo miraggio di libertà divenne così quel luogo ideale per questa ricerca. Ma non è dei Dik Dik che vogliamo parlare in questa sede, bensì dei fautori veri di quell’insieme di melodie che raggiunsero milioni di cuori: quel gruppo erano i Mama’s & The Papa’s.
Il gruppo si formò a metà anni ’60 ad opera dei coniugi John e Michelle Philipps, assieme agli amici Cass Elliot e Denny Doherty. La loro soluzione sonora era particolarmente semplice: un folk ammantato di melodie easy, soffici e romantiche melodie corali alla Beatles, atteggiamenti decisamente provocatori per i tempi, come quello dell’eccesso delle droghe, di un amore promiscuo e un abbigliamento eccentrico. In un certo senso avevano tutte le carte in regola per rappresentare la quintessenza stessa della cosiddetta cultura hippy.
L’incontro col produttore discografico Lou Adler fu la chiave di svolta per la loro carriera, ponendo la band in una dimensione folk che abbracciasse tanto la musica soul quanto il gospel, in bilico tra propensione mistica e rivoluzione culturale dichiaratamente pop. E fu grazie a lui che si incasellarono le tematiche sia sonore che liriche dell’indimenticabile disco d’esordio If you can believe your eyes and ears, ossia “se si può credere ai propri occhi e alle proprie orecchie”, insomma una sorta di manifesto tematico di ciò che stava accadendo nella controcultura americana, che aveva già fatto squillare le trombe dylaniane dei “tempi che stanno cambiando”. E quelle melodie, tanto semplici quanto efficaci, accompagnata da una inusuale copertina che ritraeva il gruppo in una vasca da bagno, che tanto fece storcere il naso ai puritani, ne erano le prove più conclamate.
Il disco si apre con la celeberrima Monday, monday, imbastita su un arrangiamento barocco e vagamente rinascimentale tale da richiamare i Beach Boys più solari. Una canzone solare, romantica e incalzante da diventare una sorta di inno dei nuovi tempi. Straight shooter invece guarda con occhio benevolo ai primi tempi dei Beatles, rievocandone la spensieratezza e la vivacità. Got a feelin’ dal canto suo si adagia su armonie più estatiche, come una sorta di ninna nanna densa di lisergica pacificazione. I Beatles tornano in auge nella rivisitazione country western di I call your name, con tanto da atmosfere da saloon dei vecchi film western. La rilettura di Do you wanna dance dal canto suo investe un’atmosfera vagamente psichedelica, senza rinunciare alla coralità gospel e all’emotività soul della canzone americana. Chiude il primo lato la libertaria Go where you wanna go, psichedelica e orchestrale, mettendo insieme tanto i Beatles quanto i Walker Brothers.
Il secondo lato si apre con un inno generazionale vero e proprio: California dreamin’, esattamente quella che i Dik Dik e Mogol gireranno nella loro Sognando la California. Il pezzo si erge su una superba melodia gospel, intonando il proprio inno religioso alla nuova terra promessa: la California, terra della libertà. Particolare menzione merita l’assolo del flauto di Bud Shank che le conferisce quel tono primitivo e arcaico. Un pezzo che non è solo un grande successo commerciale della band, ma l’inno vero e proprio che rappresentava lo spirito di quei tempi e di quella generazione. Per Spanish Harlem tornano nuovamente le trame sonore tanto care a Brian Wilson, e un’interpretazione vocale densa e sensuale. Somebody groovy è un altro piacevolissimo pezzo corale, leggero e brioso. Per Hey girl ci si concede un’andatura soul decisa e imponente, mentre le chitarre di You baby fanno venire in mente i Byrds. Chiude il disco la psichedelica In crowd, che in qualche modo anticipa le incursioni più acide di certi Jefferson Airplane.
L’album ottenne un successo enorme, oltre ad essere considerato uno dei dischi più in linea con lo spirito hippy, con il suo acume libertario e il suo ideale rivoltoso. Questo però non portò longevità al gruppo, che si sciolse nel 1968, dopo che la band si esibì in uno storico concerto per il Festival di Monterey nel ’67, per via delle crisi matrimoniali tra John Philipps e Michelle. Questo però non impedì al gruppo di pubblicare altri dischi, come l’omonimo The Mama’s & The Papa’s nel 1966, Deliver nel 1967, The Papa’s & The Mama’s nel 1968, e People like us nel 1971, pubblicato dopo un’improbabile reunion.
La storia ci confermerà comunque che l’ideale hippy, per quanto affascinante, altro non fu che un’utopia e un’illusione, che ebbe la sua più alta celebrazione dell’indimenticabile Festival di Woodstock, ma che fu impietosamente uccisa nell’altrettanto indimenticabile (ma per ben altri motivi, e di certo molto meno nobili) Festival di Altamont, entrambi del 1969. E il gruppo che maggiormente caratterizzò quel periodo lì fu lacerato dai dissidi interni, oltre che scandali imbarazzanti, come quello raccontato raccontato da Mackenzie Philipps, che ha riportato dei continui abusi subiti da suo padre John nel corso della sua vita. Droga e mancanza di responsabilità non fanno la libertà, ma ne costruiscono l’illusione, e quando queste svaniscono resta solo il dolore. In un certo senso è proprio quell’illusione che ha colpito tanti. Ma se la realtà di un’utopia perduta ci induce a restare con i piedi per terra, e ad apprezzare la vita per il suo reale valore, la bellezza della musica può sempre darci le ali per volare e cercare di realizzare i nostri sogni. E quella musica corale può sempre permetterci di poterlo fare! Quindi sogniamo ancora!

Luglio 2020: The Mama’s & The Papa’s – IF YOU CAN BELIEVE YOUR EYES AND EARS (1966)ultima modifica: 2020-07-02T11:32:45+02:00da pierrovox

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